Kontàkion.

Tono 2. Cercando le cose.

O anima, pensa all’ora della fine, temi la recisione del fico e traffica perciò laboriosamente il talento che ti è stato dato, o miserabile, vigilando e gridando: Non ci accada di restare fuori dal talamo di Cristo!

Ikos

Perché resti nell’indolenza, infelice anima mia? Perché fantasticare senza scopo su inutili preoccupazioni? Perché occuparti di ciò che passa? Questa è già l’ultima ora e stiamo per separarci dalle cose di quaggiù. Finché ne hai il tempo, rientra in te e grida: Ho peccato, o mio Salvatore! Non recidermi come il fico senza frutto, ma nella tua compassione, o Cristo, abbi pietà di me, che con timore grido: Non ci accada di restar fuori dal talamo di Cristo!

Sinassario

Il 27 di questo mese memoria del santo ieromartire Simeone, vescovo di Gerusalemme, parente del Signore.
Stichi. Pasci i fratelli per il Signore, o Simeone, appeso al legno come fratello del Signore. Il ventisette Simeone venne crocifisso.

Lo stesso giorno memoria del nostro santo padre Giovanni il confessore, igumeno del monastero dei Càtari.
Stichi. Purificato dalle passioni, o beato Giovanni, ragionevolmente presiedevi il monastero dei Càtari.

Lo stesso giorno memoria del santo martire Publione, ucciso da una spada.
Stichi. Assassinato effondi il tuo sangue per Cristo, tu che fosti comprato un tempo dal sangue di Cristo, o Publione.

Lo stesso giorno memoria di santo Eulogio, l’ospedaliere, che morì in pace.
Stichi. Non invano Eulogio accolse i suoi ospiti: lo ha accolto Abramo, che ospitò Dio.

Lo stesso giorno memoria del santo martire Lollione il giovane, che morì sepolto sotto terra.
Stichi. Si polverizza il corpo, o martire Lollione, per mischiarsi alla polvere di colui che ha dato la polvere.

 

 
• 27.04: memoria del santo ieromartire SIMEONE, parente del Signore, vescovo di Gerusalemme
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Secondo la tradizione ecclesiastica san Simeone era uno dei quattro figli che Giuseppe aveva avuto dal primo matrimonio, è perciò che si chiama così, secondo la tradizione giudea di quell’epoca, “fratello del Signore”. Dopo il martirio di san Giacomo (62) e la presa di Gerusalemme dalle armate romane (70), i cristiani che si erano rifugiati a Pella, fecero Simeone secondo vescovo della Madre delle Chiese. Essendo egli stesso divenuto tempio del Santo Spirito, distrusse con zelo i templi degli idoli e condusse Giudei e pagani alla luce della conoscenza di Dio, disprezzando pericoli e persecuzioni.
Durante la persecuzione di Traiano (106), quando su ordine del consolare Attico, si perseguitavano non solo i cristiani ma anche tutti i discendenti di Davide, alcuni eretici, che avevano combattuto, denunciarono ai romani il santo gerarca che aveva passato ventisei anni nell’episcopato. Egli fu tormentato in varie maniere per molti giorni, mostrando un tale coraggio che il consolare e coloro che lo circondavano si chiesero come questo anziano di 120 anni poteva sopportare i tormenti. Essi lo condannarono comunque al supplizio della croce e fu nella gioia d’imitare il suo Maestro che san Simeone partì per riportare la corona della vittoria. Egli ebbe per successore Giusto, un giudeo convertito (+ 111).

• 27.04: Memoria di San Liberale eremita in Veneto
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/51000
Una leggenda, che secondo R. degli Azzoni Avogari, studioso trevigiano, sarebbe stata composta nel sec. X, sfruttando anche elementi tolti da leggende d’altri santi, ed è conservata in un ms. della fine del sec. XIV e in diversi compendi, dei quali alcuni anteriori al ms., racconta che Liberale, nato ad Altino da famiglia appartenente all’ordo equester, fu educato nella fede cristiana da Eliodoro, primo vescovo della città. Allo studio della dottrina cristiana, alle preghiere prolungate e alle dure mortificazioni della carne egli univa l’assistenza ai poveri e agli ammalati e l’azione vigorosa per sostenere il coraggio dei credenti, convertire i pagani e gli ariani e opporsi alle loro prepotenze. Ogni giorno, assisteva alla s. Messa e ogni domenica si comunicava e, presso cibo solo in quel giorno, restava completamente digiuno il resto della settimana. Crescendo l’opposizione dei pagani e degli ariani, Eliodoro affidò la sua sede al vescovo Ambrogio e si ritirò nelle isole della laguna. Liberale, rimasto sulla breccia, dopo qualche fempo, preoccupato dell’incapacità di Ambrogio a tener testa a pagani ed eretici, decise d’andare alla ricerca di Eliodoro, ma volle prima chiedere lumi al Signore. Mentre pregava nella cattedrale s’addormentò e nel sonno gli apparve il suo angelo custode in forma d’uomo dall’aspetto risplendente, che lo incoraggiò e gli preannunciò vicina la morte. Liberale, visitate un’ultima volta le chiese della città e dei dintorni, andò a Castrazone ove era una chiesa dedicata a s. Lorenzo. Non trovando modo di raggiungere l’isola ov’era Eliodoro, si fermò là conducendo vita eremitica; ma colpito da grave malattia, poco dopo morí, il 27 aprile. Clero e popolo lo seppellirono in quella chiesa entro un’arca marmorea.
Attorno a queste linee essenziali e primitive della leggenda, delle quali però è pur difficile provare l’attendibilità, s’incrostarono in seguito miracoli ed episodi tolti per lo piú da leggende analoghe. Secondo R. degli Azzoni Avogari, il corpo di s. Liberale come quello dei martiri Teonisto, Tabra e Tabrata sarebbe stato portato a Treviso dagli abitanti di Altino, quando, nel 452, sotto la minaccia degli Unni di Attila o piú tardi sotto quella dei Longobardi, si rifugiarono numerosi in quella città, nella cui diocesi restarono incorporati definitivamente anche Altino e il suo territorio.
Invece, la sede vescovile nel 639, se non anche piú tardi, passò a Torcello, dove il doge Andrea Dandolo (m. 1354) e poco dopo il domenicano Pietro Calò affermarono essere stati portati anche i corpi di Liberale, Teonisto, Tabra e Tabrata, per essere collocati in quella cattedrale. Però la presenza e il culto a Treviso di quei corpi santi sono attestati, a cominciare dal 1082, da un crescendo di testimonianze monumentali ed archivistiche man mano che ci si avvicina alla fondazione, nel 1360 o nel 1365 della Confraternita di S. Liberale da parte del b. Enrico di Treviso.
Fin dal sorgere del libero comune nel sec. XII Liberale, cavaliere di Altino, era stato proclamato patrono di Treviso, pur restando gli apostoli Pietro e Paolo titolari della cattedrale. E patrono di Castelfranco Veneto lo vollero fin da principio i cittadini mandati da Treviso nel 1199 a fondare quel castello.
La sua tomba a Treviso è nella cripta della cattedrale e la sua festa è al 27 aprile.
La piú antica iconografia lo rappresenta vestito d’una lunga sottana simile al camice liturgico e d’una sopravveste più corta simile al colobion o alla tunicella o alla dalmatica. Invece nella figurina, scolpita intorno al sepolcro del b. Enrico di Treviso, è rivestito della clamide dei soldati. Giorgione nella celebre tela del duomo di Castelfranco lo rappresenta addirittura rivestito di corazza con in mano la bandiera sella città.
Tratto da
http://www.trevisotoday.it/blog/patrono-san-liberale-treviso-febbraio-2016.html
Il simbolo di Treviso e il suo patrono
Patrono delle città di Treviso e Castelfranco Veneto, San Liberale nacque ad Altino, nell’antica città romana posizionata tra Padova e Aquileia. Di ricca famiglia pagana, Liberale fin da giovane volle arruolarsi come soldato, convertitosi al cristianesimo con lo scopo di soccorrere i poveri e pregare, venne educato nella fede cristiana da Eliodoro, primo vescovo della città. Quando l’opposizione dei pagani e degli ariani, divenne insostenibile, Eliodoro decise di affidare la sua sede al vescovo Ambrogio, per ritirarsi poi nelle isole della laguna di Venezia. Dopo qualche tempo, preoccupato per l’incapacità di Ambrogio di fronteggiare pagani ed eretici, Liberale decise di intraprendere la ricerca di Eliodoro, chiedendo prima consiglio al Signore. Durante la preghiera nella cattedrale si addormentò e nel sonno gli apparve il suo angelo custode, che lo incoraggiò e gli preannunciò la vicina morte. Liberale decise così di recarsi a Castrazone, dove vi era una chiesa dedicata a S. Lorenzo, non trovando modo di raggiungere l’isola dove risiedeva Eliodoro, si fermò là conducendo vita eremitica. Colpito da grave malattia, dopo poco tempo, morí il 27 aprile del 437.

Pala di Santa Cristina di Quinto di Treviso (1506) – Chiesa Parrocchiale
Riconosciuto subito come santo, il suo corpo venne seppellito nella chiesa di S. Lorenzo entro un’arca marmorea, la leggenda afferma che in seguito alla sua morte, si verificarono episodi di miracoli. Il suo corpo, secondo fonti storiche, sarebbe stato portato a Treviso dagli abitanti di Altino nel 452 quando, sotto la minaccia degli Unni di Attila, si rifugiarono numerosi in quella città, nella cui diocesi restarono incorporati definitivamente anche Altino e il suo territorio. Intorno al VII sec. la sede vescovile passò a Torcello, dove vennero portati corpi di Liberale e degli altri martiri Teonisto, Tabra e Tabrata, per essere collocati in quella cattedrale. La presenza ed il culto di quei corpi santi a Treviso sono attestati, a cominciare dal 1082, da un crescendo di testimonianze monumentali ed archivistiche man mano che ci si avvicina alla fondazione, nel 1360 o nel 1365 della Confraternita di S. Liberale, da parte del beato Enrico di Treviso. I resti si trovano tuttora nella cripta del Duomo di San Pietro a Treviso.
Consultare anche
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA DIREZIONE GENERALE DEL VENETO
LABORATORIO DI DISEGNO, STORIA DELL’ARTE, EDUCAZIONE ARTISTICA E IMMAGINE
IL SANTO CON LO STENDARDO: STORIA ED ICONOGRAFIA DI SAN LIBERALE
http://www.webalice.it/alfredo.sabato/ICONOGRAFIA%20DI%20SAN%20LIBERALE.htm

ed anche
http://digilander.libero.it/librettimusica/San.Liberal.pdf

• 27.04: Memoria di Sant’Anastasio I Papa e Patriarca di Roma
Tratto dal Quotidiano Avvenire
(Papa dal 27/11/399 al 19/12/401)
Il «Liber Pontificalis» lo dice romano di origine. Edificò a Roma la basilica Crescenziana, individuata, oggi, in San Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa, ratificando le decisioni del Concilio di Toledo del 400. Questo Pontefice è conosciuto specialmente per la controversia origenista. Nel 399 gli amici di san Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le proposizioni presentategli. Fu in ottimi rapporti con Paolino, poi vescovo di Nola. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere. Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401.
I
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/82250
il Liber Pontificalis lo dice romano di origine; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa: ratificò le decisioni del Concilio di Toledo del 400, nel quale alcuni vescovi galiziani che avevano sconfessato Priscilliano, furono conservati nel loro ufficio, purché la reintegrazione fosse stata approvata da Anastasio. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l’arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell’Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Sull’origenismo scrisse parecchie lettere, di cui una indirizzata a Venerio di Milano.
Fu in ottimi rapporti con s. Paolino, poi vescovo di Nola, anzi si credette obbligato a riparare i dispiaceri recatigli dal suo predecessore. Dopo avere, infatti, scritto ai vescovi della Campania, facendo loro i suoi elogi, lo invitò direttamente a Roma per prender parte alla festa anniversaria della sua consacrazione, festa cui i papi solevano invitare solamente i vescovi. L’eccezione costituiva per Paolino un favore specialissimo e anche una riparazione. Quantunque egli non potesse in questa occasione andarvi, il papa accettò la sua lettera di scusa. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere.
Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontificalis. Fu sepolto sulla Via Portuense in un monumento sepolcrale posto fra le basiliche di S. Candida e dei SS. Abdon e Sennen. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano.
Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis, che qui richiede una revisione.

Sulla venerazione del santo Anastasio papa in Turturano

Sul culto del santo Anastasio papa in Turturano

Turturano, abitato sin dall’epoca romana e, come farebbero pensare alcuni ritrovamenti archeologici, addirittura in epoca messapica dal quale il toponimo del paese sembra derivare, è un territorio ricco di storia e archeologia.
Scarse sono le notizie in epoca romana, che cominciano a diventare più “chiare” in epoca alto-medievale quando Tutorius viene nominato in alcune carte geografiche. All’epoca il paese doveva presentarsi come un semplice villaggio alto-medievale di campagna, in cui le abitazioni erano prevalentemente in materiale deperibile, fango e paglia ma anche legno. Non essendoci attestazioni archeologiche, il dato lo si può ricavare dai documenti i quali concordano che le abitazioni del paese almeno fino al XV secolo vengono realizzati in materiali “poveri”. Con la dominazione normanna, le documentazioni riportano la dicitura locus Tuturanus nel 1097 e vicus Tuturanii nel 1107. Entrambi “aggettivi” si ritrovano nelle donazioni fatte dal Conte Goffredo di Conversano e dalla Contessa Sichelgaita al monastero delle monache Benedettine di Brindisi, alle quali il casale fu donato.
Tuturano si trova in una zona particolarmente fertile e nel medioevo, intorno alla cittadina, si trovavano numerose zone paludose. Qui l’agricoltura ha conosciuto un forte sviluppo grazie all’opera dei monaci greco-orientali, che sin dal VIII secolo si stanziano in zona, sfuggendo alle “persecuzioni iconoclaste” di Leone III Isaurico, patriarca di Costantinopoli. Detti monaci si stabiliscono prima in anfratti naturali, o grotte, successivamente, passato il pericolo iconoclasta, vi edificano numerosi monasteri, il più importante dei quali è quello di San Nicola di Casole a Otranto.
Nella zona di Tuturano-Brindisi, in località Saline esiste ancora una masseria denominata “Villanova” risalente al secolo IX (anche se oggi la struttura è fortemente modificata), la quale era un antico monastero basiliano denominato Santa Maria “de Ferurellis”. Era una delle più importanti abbazie greco-orientali in zona e costituì un elemento importante nella riorganizzazione del territorio in epoca alto-medievale. I monaci greco-orientali (erroneamente definiti dalla storiografia Basiliani la quale è un’ ”invenzione” della chiesa latina), prendono appunto la loro regola da San Basilio il Grande, che con la sua opera di promozione dei valori del monachesimo orientale, influenzò la cultura monastica occidentale e in particolare quella Benedettina. I monaci “greci” vivevano talvolta in piccoli gruppi comunitari sparsi nelle campagne, post riforma iconoclasta, oppure anche in grotte e ipogei scavati nella roccia.
La storia del monachesimo greco-orientale è fondamentale per capire le argomentazione della seguente tesi, che intendono discernere i motivi della presenza del Santo Anastasio, Papa della Chiesa e venerato come Santo, presente sulla torre medievale omonima sita nella piazza principale del paese. Nella stessa piazza già dall’epoca medievale sorgeva una delle due chiese medievali di Tuturano citate nei documenti, in cui il nome di Sant’Anastasio non compare, i nomi delle chiese erano infatti S.Eustachio e S.S Cosma e Damiano, nomi che se analizzati secondo le discipline agiografiche potrebbero fornire interessanti “chiavi di lettura” della cultura tuturanese in epoca medievale. Obiettivo della tesi è quindi come si è detto, quello di discutere la presenza di un santo, quale è Sant’Anastasio, e rintracciarne culto e origini che risalgono al V secolo d.C. Tenendo presente la “tradizione” culturale della cittadina, che come tutto il Salento medievale si rifà alla tradizione greco-bizantina, il santo in questione, pare una “nota stonata” essendo un santo prettamente latino. E pur vero che a Tuturano, vi convivevano sia il rito greco che quello latino, qui introdotto probabilmente dai Longobardi. Siamo in effetti qui al confine, dal “cosiddetto” Limitone dei Greci che in realtà non era un enorme muro come si pensa, ma una strada che divideva le due fazioni appunto longobarde e bizantine nel Sud Salento. Il territorio del paese viene a collocarsi quindi in una area di intensi traffici attraversato a est dalla Via Traiana Calabra (impropriamente detta) che collegava Brindisi a Otranto, a nord dalla Via Pubblica che da Brindisi conduceva a Porto Cesareo (odierna Via Vittorio Emanuele, Via Colemi), a ovest una strada la collegava a Mesagne, importante centro messapico, romano e nel periodo medievale importante sotto gli svevi e sede di una commenda dell’Ordine Teutonico. Dal medioevo si ha menzione di una “via de Sancto Martino” che doveva passare nei pressi dell’odierno centro storico dove doveva trovarsi l’antico casale medievale, e che la collegava al Tempio di San Miserino presso il casale scomparso di Monticello, in agro di San Donaci. Proprio la chiesa di San Miserino, doveva in realtà chiamarsi secondo gli studiosi proprio San Martino “in locus Monticelli”, peraltro un santo fortemente venerato sul territorio in epoca medievale. Dopo aver quindi brevemente sintetizzato il di per se già complesso quadro storico, culturale, sociale e religioso del locus Tuturanus in età medievale, ci apprestiamo ora ad entrare nel “vivo della questione”, provando a rispondere già alla prima domanda: chi era quindi Sant’Anastasio?
Complessa appare la figura di questo pontefice della Chiesa di Roma. Fu infatti egli persona molto colta. Successe a Papa Siricio. Fu pontefice dal 27 novembre 399 al 19 dicembre del 401, quindi tra le fine del IV e i primi anni del V secolo. Le notizie tratte dal Liber Pontificalis romano lo dice romano di origine dalla famiglia De Massimo; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Il Liber Pontificalis riferisce inoltre di alcune disposizioni atte a regolare gli appelli dei chierici africani alla Sede romana, motivandole con la presenza di manichei a Roma, il numero delle ordinazioni presbiteriali, diaconali ed episcopali effettuate. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l’arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell’Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Egli tradusse molte opere dal greco, in particolare scritti di alcuni Padri della Chiesa tra i quali appunto Origene. Rufino replicò ad Anastasio con un sua lettera polemica Apologia ad Anastasium papam.
Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontificalis romano. Fu seppellito lungo la Via Portuense nelle catacombe di Ponziano. L’itinerario alto-medievale di Roma più famoso per il culto ai santi e ai martiri, la Notitia Ecclesiarum informa che “Tunc ascendis et pervenies ad sanctum Anastasium papam et martyrem”. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano. Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis e che richiede probabilmente una revisione al 19 dicembre. Le notizie che abbiamo sin qui riportato ci fanno conoscere quindi Anastasio come un pontefice strettamente “rigido” nella dottrina ecclesiastica, con un intenso spirito polemico contro Tirannio Rufino.
Tornando nella frazione di Tuturano, come detto in precedenza né nei secoli alto-medievali né per quelli basso medievali si hanno notizie del culto di Sant’Anastasio papa. La sua iconografia, tra l’altro, non ha una specifica base iconografica con cui rappresentare il Santo. L’unico esemplare che conosciamo è datato al VII secolo e si trova nell’oratorio di San Veneziano presso il Battistero Lateranense.
A Tuturano l’unica effige che ci parla del culto di Sant’Anastasio si trova in cima alla torre medievale omonima del XIII secolo, che prende il nome proprio dall’effige di reimpiego del Santo posta sulla sua sommità. La lastra in pietra reca scolpita l’immagine del Santo, indossante una tiara papale, abito pontificale e bastone pastorale, con la mano benedicente alla latina, identificato dalla scritta “Anastasius I”. La lastra è di epoca post-medievale, probabilmente di XVI secolo e potrebbe appartenere alla antica chiesa dedicata proprio a S.Anastasio che si trovava nella piazza principale del paese, proprio di fronte la torre medievale. A questo punto viene spontanea una domanda: esisteva quindi una chiesa di S.Anastasio? La risposta è positiva, benchè questo attributo lo si conosca solo però in epoca post-medievale, e soprattutto si hanno notizie del culto di S.Anastasio a Tuturano in epoca post Tridentina. La chiesa, che un tempo si trovava in piazza, era di culto greco e di origine medioevale e dopo molte vicissitudini, anche burocratiche, crollò nel secolo scorso.
Scarse le notizie provenienti dagli archivi, in cui si ricorda la celebrazione del culto greco nella chiesa fino al 1600, quando morì l’ultimo prete greco a Tuturano.
Si è prima parlato di Rufino, duramente attaccato proprio da Anastasio, e se Madre Storia non è un’opinione, non si può andare lontano da una conclusione leggendo alcune notizie proprio su Tirannio Rufino, monaco, storico e teologo cristiano; si è parlato di monaci basiliani nella zona, onnipresenti fin dal VIII secolo. Insomma ebbene si, Rufino pare proprio legato ai Monaci greco-orientali, conosciuti come Basiliani dalla storiografia ecclesiastica e non solo. Prima comunque di fare delle ipotesi, ebbene riportare anche qualche notizia storica su Tirannio Rufino e capire qualche “collegamento” in più con la presenza di Sant’Anastasio e, se ve ne sono, nella frazione di Tuturano.
Tirannio Rufino (345-410) nacque a Concordia, presso Pordenone, da genitori cristiani. Mentre attendeva agli studi in Roma fece conoscenza con S.Girolamo. Ebbe una grande importanza per lo sviluppo culturale dell’Occidente, in quanto con le sue traduzioni egli rese accessibile ai latini il pensiero dei padri greci, particolarmente quello di Origene. Dotato di una buona preparazione letteraria, si prefisse lo scopo morale e intellettuale di ricercare il vantaggio di quanti sono sulla via del progresso. Si possono suddividere le opere di Rufino in due gruppi distinti: opere originarie (composizioni personali, per lo più occasionali) e opere di traduzione. Monaco ad Aquileia, in Egitto, in Palestina, poi ancora in Italia (Aquileia e infine Messina); amico e condiscepolo di s. Girolamo, venne con lui in polemica all’ortodossia di Origene, decisamente affermata da Rufino, che aveva fatto una traduzione del De principiis. Per la nostra analisi, è importante sapere che egli tradusse, tra l’altro, diverse omelie di Origene; il primo libro dell’Apologia a favore di Origene di Panfilo; orazioni di s. Basilio Magno e s. Gregorio di Nazianzo; tradusse e aggiornò la Storia ecclesiastica di Eusebio. Percorse i deserti del Basso Egitto, incontrando molti celebri monaci: questi amici gli insegnarono tutto ciò che essi apprendevano da Dio. Ad Alessandria frequentò maestri rinomati per scienza e santità e soprattutto Didimo il Cieco, che gli fece scoprire i tesori dell’esegesi e della teologia di Origene; si avvicinò anche ad altre opere di altri Padri greci, tra cui Atanasio di Alessandria e i Cappadoci.
Gli anni passati in Egitto furono per Rufino importanti nella sua formazione spirituale e intellettuale. Egli visitò il deserto egiziano insieme a santa Melania l’Anziana. Verso il 377 Rufino tornò a Gerusalemme e, sul Monte Oliveto, accanto al monastero femminile eretto da Melania, gli fu affidato quello maschile. Queste due comunità divennero un centro di attività spirituale, intellettuale e caritativa. Verso il 390 Rufino fu ordinato sacerdote dal vescovo Giovanni di Gerusalemme. Sembra, che proprio per queste due comunità, egli adottò fortemente le “regole” già dettate da San Basilio Magno, per le comunità monastiche.
Basilio scrisse le sue “regole” intorno al 356 sulle rive del fiume Iris in Egitto, chiamate la Grande Regola e la Piccola Regola. Altresì lo stesso Basilio, scrisse la “regola”, per dare uno stile di vita unitario ai tanti anacoreti che vivevano nel deserto egiziano, da lui visitati sempre intorno al 359-360. Vissuto alla fine dell’era delle persecuzioni, detiene un posto di grande importanza nella storia della liturgia cristiana. I riti della Chiesa che prima erano affidati alla memoria e alla estemporaneità iniziarono a strutturarsi, la liturgia iniziò ad essere influenzata da brevi rituali. L’influenza di Basilio in questi rituali è ben attestata nelle fonti. Restano dubbi su quali parti della Divina Liturgia di Basilio Magno siano state composte o riviste da lui e quali si ispirano alle sue opere. Con il suo esempio e i suoi insegnamenti Basilio esercitò una notevole influenza nella vita monastica del tempo, moderando l’austerità che fino ad allora aveva caratterizzato la vita monastica. Fornì anche un grande contributo nel coordinare le attività di lavoro e quelle di preghiera per assicurarne un più equilibrato ritmo nella giornata del monaco. Basilio figura tra le più influenti figure che hanno dato sviluppo al monachesimo nella cristianità. Non solo è riconosciuto come il padre del monachesimo orientale, ma gli storici gli attribuiscono anche una grande importanza per lo sviluppo di quello occidentale, in particolare per l’influsso che ebbe su San Benedetto. Benedetto stesso ne riconosce l’importanza quando nella sua “Regola” chiede ai monaci di leggere oltre che la Bibbia anche i Padri della Chiesa e la vita e la «Regola del nostro Santo Padre, Basilio». A riprova di questa influenza restano i molti ordini religiosi della Chiesa orientale che si rifanno ancora alla sua regola o che portano il suo nome, nell’ambito della chiesa latina si annovera un istituto religioso fondato nel XVIII secolo in Francia, i Preti di San Basilio.
Sembra interessante notare, da quanto sopra detto, lo stretto collegamento tra le figure di Tirannio Rufino, Basilio e Anastasio Papa. Uno, grande teologo e traduttore, tradusse gli scritti di Origene, a cui rimase fedele, e le opere di San Basilio Magno, colui che diede vita al cosiddetto “monachesimo Basiliano” in realtà greco-orientale. Queste due figure confluiscono nelle dure critiche che Papa Anastasio I mosse proprio nei confronti di Tirannio Rufino che da quella antica Tradizione orientale pare servirsi per ordinare la vita dei suoi monaci.
Tuturano, terra da sempre posta a confine, anche grazie alla vicinanza di Brindisi e del suo eccellente porto, ai rapporti con l’Oriente Cristiano, ha risentito come tutto il Salento dell’influsso greco-bizantino, il cui culto è rimasto vivo fino alla metà del 1600.
Nonostante già nel III-IV secolo cominci il processo di “monarchizzazione” della Chiesa di Roma, periodo questo in cui vivono i personaggi qui discussi, il Salento e la terra di Brindisi e intorno alla città (già all’arrivo del vescovo Leucio intorno al II-III secolo, la cui agiografia è una delle più sicure in Puglia, seppur da usare sempre con cautela, insieme a quella dei vescovi Lorenzo di Siponto e Sabino di Canosa) risulta essere ancora essenzialmente più vicina ai rituali “pre-cristiani” che non quelli della Nuova Fede. Leucio nel II-III secolo, infatti, quando arriva a Brindisi, vi trova una popolazione che adora il Sole e la Luna. Più precisamente, come sottolinea nel suo contributo sul web Filippo Caraffa, “si può pensare al culto del dio Mitra, il sole invincibile, i cui misteri, celebrati in ipogei, prevedevano una complessa iniziazione che, al pari di quella gnostica, si articolava in sette gradi. Commistioni, somiglianze e analogie fra cristianesimo e mitraismo, anche sul piano cultuale, furono per tempo rilevate da Giustino ciò che, di fatto, potrebbe aver reso maggior efficacia all’azione evangelizzatrice di Leucio dalla cattedra brindisina.
Il santo conferì alla chiesa locale una strutturazione forse prima sconosciuta e che i documenti del V secolo lasciano intravedere; da qui la convinzione che Leucio avesse fondato la sede episcopale di Brindisi sposata all’altra, questa non errata, che a lui si dovesse la prima massiva evangelizzazione del Salento”. Ciò fa capire quindi come il Salento, la terra di Brindisi, sia stata sempre una terra di “difficile conquista cristiana” proprio soprattutto per il suo carattere rurale, in cui le città sono poche e concentrate tutte lungo le coste da cui si dipartono le vie di comunicazione con l’interno. E’ chiaro che anche il territorio circostante abbia subito una influenza, se non diretta, almeno parziale di ciò che nelle città si andava affermando.
Con l’arrivo dell’età alto-medievale, a partire dal VIII secolo, il Salento, con le persecuzioni iconoclaste di Leone III Isaurico, vede affermarsi il monachesimo greco-orientale. L’Editto del 796 emanato dall’Isaurico contro il culto delle immagini scatenerà una lotta senza precedenti, che porterà ad una “frattura” tra la chiesa di Oriente, Bizantina, e quella di Occidente, Latina, nel 1054. In età post-medievale, il potere di Roma, dopo la Riforma Tridentina del 1545-1563, affermò nuovamente la sua egemonia, la Chiesa ne uscì rinnovata e chiunque dovette, in ogni ambito della liturgia e del costume cristiano, adattarsi ai Canoni stabiliti dal Concilio. Nel Salento il monachesimo orientale, cominciò lentamente a esautorarsi, il rito greco-bizantino ad abbandonarsi. Piccoli focolai rimanevano proprio nell’area di Tuturano – San Donaci – Mesagne – Campi Salentina – Veglie ancora nel XVI secolo. Durante il XVI secolo, il culto greco, ancora esistente in Tuturano, venne man mano sostituito dal culto latino.
La chiesa “greca” di S.Anastasio, era situata nella Piazza Regina Margherita, venne progressivamente abbandonata, chiusa, e come dimostrano monumenti d’archivi, nel secolo scorso ci fu il crollo. Ciò che ne resta, è solo un acquerello depositato in Archivio di Stato a Brindisi. E ci sono notizie reperite in uno studio del prof. Pasquale Cordasco, dell’Università di Bari, che cita espressamente dei “processi” veri e propri per riformare al rito latino i monaci greci, nel XVI secolo a Tuturano.
Da Annibale De Leo, fonte storica delle più importanti per la città di Brindisi e per la storia del suo territorio, apprendiamo che alla fine del XI secolo i “Greci”, cioè coloro che praticavano il rito bizantino, crescono sotto il placido consenso della Contessa Sichelgaita allora già vedeova del marito il Conte Goffredo di Conversano. Il loro figlio Tancredi di Conversano fu spogliato del possesso di Brindisi dal Re Ruggero. I Greci odiarono fortemente questo sovrano e ci fu una “ribellione” contro costui dal quale la città ne uscì “espugnata e distrutta”. Il Conte Goffredo morì nel 1101, come attesta Lupo Protospatario, notizia confermata anche in una lettera della Contessa Sichelgaita del 1107 alle Monache di San Benedetto in cui si attesta che il conte Goffredo è già morto. La chiesa brindisina, come si apprende sempre dal De Leo, mantenne il Rito Latino dalla sua nascita fino al IX secolo, in cui fu totalmente devastata dai Longobardi nell’838. I Bizantini nel secolo XI riprendono in mano la città ricostruendola e quindi importando l’uso del Rito Greco a Brindisi e nella sua zona.
Facendo un salto nella documentazione disponibile, dall’arcivescovo di Brindisi Bernardino de Figueroa (1571-1586) ci perviene una esposizione di una indagine da lui compiuta tra il 17 e 21 marzo 1575 sulle comunità greche della sua diocesi. Il primo giorno si presentò Antonio Pirico, prete greco di Brindisi che dichiarò di essere stato consacrato dal vescovo di Corone inviato dal patriarca di Costantinopoli. Attualmente egli considerava come suo vescovo ordinario Timoteo Gravinensis inviato dall’arcivescovo di Ocrida con giurisdizione su tuti i Greci di Puglia, al suo vicario un certo Cesare Capuziniado. Questo vescovo Gravinesis non si vedeva in Terra d’Otranto secondo il Pirico da circa dodici anni ma si diceva che comunque si trovava ancora in Puglia. Il giorno dopo il 18 marzo 1575 Pirico fu di nuovo ascoltato dalla Commissione recitando il Simbolo in greco (credo ndr) con l’omissione del Filioque, presentando l’Orologhion , che conteneva il testo in Greco. Tra i sacramenti egli non riconosceva quelli della Confermazione e dell’Estrema Unzione, ma ammetteva di imitare se richiesto le usanze latine. Il 20 marzo 1575 si presentano davanti alla Commissione, insieme al loro prete i laici di rito greco viventi a Brindisi: sono 34 in tutto e in buona parte “schiavoni” o immigrati da poco dalle regioni greche sotto controllo veneziano.
Il giorno successivo è la volta di due preti greci del casale di Tuturano, Demetrio Pretori e Procano Spata, le cui risposte non differiscono molto da quello del prete brindisino su menzionato, salvo che si dichiarano consacrati rispettivamente a Mesagne e Tuturano, 14 anni prima da un Gabriele, vescovo Gravinensis, cui subentro Timoteo.
Alla fine tutti e tre i preti greci accettarono di essere sottomessi all’autorità della chiesa di Roma e di accogliere le correzioni elencate dall’arcivescovo, sotto pena di scomunica. Dove infatti si conservava il rito greco da secoli, e la popolazione si era “italianizzata”, le forze della Chiesa di Roma, la latina, decretarono l’estinzione del rito, mediante la sospensione delle ordinazioni sacerdotali e la graduale sostituzione dei preti greci defunti con clero latino.
Queste notizie, ci fanno capire l’enorme portata di questo “movimento riformatore”, che attuato fin da subito, dopo il Concilio Tridentino, smantellò tutto ciò che fosse estraneo al rito latino. Chiese di rito geco, furono quindi latinizzate, o ridedicate, come sembra appunto il caso della chiesa medievale di S.Anastasio, il cui culto non è attestato nel medioevo, ma solo in epoca post-medievale e post-tridentina. Sopravvivono ancora oggi nel basso Salento, tradizioni legate all’uso del “griko” questo antico dialetto, che non è di origine greca bensì bizantina, e con cui si celebrava messa fin dal Medioevo in tutto il Salento. Un uso che oggi è scomparso, una Tradizione che sembra lontana, ma ancora viva nella cultura e nelle mente di un popolo.
Della chiesa di S.Anastasio, di culto greco, che probabilmente era quella dedicata di rito greco, a S.Eustachio, non rimane nulla, rimane in piedi la chiesa “vecchia”, di origine medievale del XIII secolo, dedicata alla Vergine del Giardino, che nel passato medievale della cittadina di Tuturano, doveva essere dedicata a SS.Cosma e Damiano. Scavi sotto la piazza, durante lavori di sistemazione della stessa, nel secolo scorso hanno messo in evidenza tracce di sepolture medievali e addirittura, forse una messapica. A ciò si aggiunge la tradizione, tramandata dagli abitanti del posto, che vuole sotto la Torre di S. Anastasio una grotta sede di culto basiliano. Per la verifica di queste situazioni ed emergenze, che potrebbero fare chiarezza sulla storia della cittadina, ad oggi non è possibile accedere, chiuse come scrigni di “tesori”, che potrebbero contenere pagine interessanti di storia e cultura, di questa comunità.
BIBLIOGRAFIA
Pietro Bradascio, Tuturano, Amici della “De Leo”, Brindisi, 1989
Dell’origine del rito greco nella Chiesa di Brindisi, a cura di Rosario Jurlaro, Brindisi: Amici della A. de Leo, 1974
Codice diplomatico brindisino [raccolto da] Annibale de Leo. Vol. 1: 492-1299, a cura di Gennaro Maria Monti e collaboratori, Trani: Vecchi e C., 1940
Sophia Boesch Gajano, Storia della Santità nel Cristianesimo Occidentale, Viella Edizioni, 2005 (volume utile a capire le dinamiche di “santificazione” e i processi nel territorio)
Ada Campione, Brindisi, San Leucio, In Santuari d’Italia a cura di Giorgio Otranto e Immacolata Aulisa, De Luca Editore d’Arte, Roma 2012
Comunità bizantine in Terra d’Otranto, Pasquale Corsi in “Ad Ovest di Bisanzio: il Salento medioevale, atti del Seminario Internazionale di Studi, a cura di Benedetto Vetere, Galatina, Congedo Editore, 1990
Enciclopedia dei Santi, Biblioteca Sanctorum, Pontificia Università Lateranense, Vol. 1, Roma, Città Nuova, 1987
FONTI WEB
Filippo Caraffa, S.Anastasio I Papa in www.santibeatietestimoni.it/dettaglio/82250.
consultare anche
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-anastasio-i_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/

Kontàkion.

Tono 2. Cercando le cose.

O anima, pensa all’ora della fine, temi la recisione del fico e traffica perciò laboriosamente il talento che ti è stato dato, o miserabile, vigilando e gridando: Non ci accada di restare fuori dal talamo di Cristo!

Ikos

Perché resti nell’indolenza, infelice anima mia? Perché fantasticare senza scopo su inutili preoccupazioni? Perché occuparti di ciò che passa? Questa è già l’ultima ora e stiamo per separarci dalle cose di quaggiù. Finché ne hai il tempo, rientra in te e grida: Ho peccato, o mio Salvatore! Non recidermi come il fico senza frutto, ma nella tua compassione, o Cristo, abbi pietà di me, che con timore grido: Non ci accada di restar fuori dal talamo di Cristo!

Sinassario

Il 27 di questo mese memoria del santo ieromartire Simeone, vescovo di Gerusalemme, parente del Signore.
Stichi. Pasci i fratelli per il Signore, o Simeone, appeso al legno come fratello del Signore. Il ventisette Simeone venne crocifisso.

Lo stesso giorno memoria del nostro santo padre Giovanni il confessore, igumeno del monastero dei Càtari.
Stichi. Purificato dalle passioni, o beato Giovanni, ragionevolmente presiedevi il monastero dei Càtari.

Lo stesso giorno memoria del santo martire Publione, ucciso da una spada.
Stichi. Assassinato effondi il tuo sangue per Cristo, tu che fosti comprato un tempo dal sangue di Cristo, o Publione.

Lo stesso giorno memoria di santo Eulogio, l’ospedaliere, che morì in pace.
Stichi. Non invano Eulogio accolse i suoi ospiti: lo ha accolto Abramo, che ospitò Dio.

Lo stesso giorno memoria del santo martire Lollione il giovane, che morì sepolto sotto terra.
Stichi. Si polverizza il corpo, o martire Lollione, per mischiarsi alla polvere di colui che ha dato la polvere.

 

 
• 27.04: memoria del santo ieromartire SIMEONE, parente del Signore, vescovo di Gerusalemme
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Secondo la tradizione ecclesiastica san Simeone era uno dei quattro figli che Giuseppe aveva avuto dal primo matrimonio, è perciò che si chiama così, secondo la tradizione giudea di quell’epoca, “fratello del Signore”. Dopo il martirio di san Giacomo (62) e la presa di Gerusalemme dalle armate romane (70), i cristiani che si erano rifugiati a Pella, fecero Simeone secondo vescovo della Madre delle Chiese. Essendo egli stesso divenuto tempio del Santo Spirito, distrusse con zelo i templi degli idoli e condusse Giudei e pagani alla luce della conoscenza di Dio, disprezzando pericoli e persecuzioni.
Durante la persecuzione di Traiano (106), quando su ordine del consolare Attico, si perseguitavano non solo i cristiani ma anche tutti i discendenti di Davide, alcuni eretici, che avevano combattuto, denunciarono ai romani il santo gerarca che aveva passato ventisei anni nell’episcopato. Egli fu tormentato in varie maniere per molti giorni, mostrando un tale coraggio che il consolare e coloro che lo circondavano si chiesero come questo anziano di 120 anni poteva sopportare i tormenti. Essi lo condannarono comunque al supplizio della croce e fu nella gioia d’imitare il suo Maestro che san Simeone partì per riportare la corona della vittoria. Egli ebbe per successore Giusto, un giudeo convertito (+ 111).

• 27.04: Memoria di San Liberale eremita in Veneto
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/51000
Una leggenda, che secondo R. degli Azzoni Avogari, studioso trevigiano, sarebbe stata composta nel sec. X, sfruttando anche elementi tolti da leggende d’altri santi, ed è conservata in un ms. della fine del sec. XIV e in diversi compendi, dei quali alcuni anteriori al ms., racconta che Liberale, nato ad Altino da famiglia appartenente all’ordo equester, fu educato nella fede cristiana da Eliodoro, primo vescovo della città. Allo studio della dottrina cristiana, alle preghiere prolungate e alle dure mortificazioni della carne egli univa l’assistenza ai poveri e agli ammalati e l’azione vigorosa per sostenere il coraggio dei credenti, convertire i pagani e gli ariani e opporsi alle loro prepotenze. Ogni giorno, assisteva alla s. Messa e ogni domenica si comunicava e, presso cibo solo in quel giorno, restava completamente digiuno il resto della settimana. Crescendo l’opposizione dei pagani e degli ariani, Eliodoro affidò la sua sede al vescovo Ambrogio e si ritirò nelle isole della laguna. Liberale, rimasto sulla breccia, dopo qualche fempo, preoccupato dell’incapacità di Ambrogio a tener testa a pagani ed eretici, decise d’andare alla ricerca di Eliodoro, ma volle prima chiedere lumi al Signore. Mentre pregava nella cattedrale s’addormentò e nel sonno gli apparve il suo angelo custode in forma d’uomo dall’aspetto risplendente, che lo incoraggiò e gli preannunciò vicina la morte. Liberale, visitate un’ultima volta le chiese della città e dei dintorni, andò a Castrazone ove era una chiesa dedicata a s. Lorenzo. Non trovando modo di raggiungere l’isola ov’era Eliodoro, si fermò là conducendo vita eremitica; ma colpito da grave malattia, poco dopo morí, il 27 aprile. Clero e popolo lo seppellirono in quella chiesa entro un’arca marmorea.
Attorno a queste linee essenziali e primitive della leggenda, delle quali però è pur difficile provare l’attendibilità, s’incrostarono in seguito miracoli ed episodi tolti per lo piú da leggende analoghe. Secondo R. degli Azzoni Avogari, il corpo di s. Liberale come quello dei martiri Teonisto, Tabra e Tabrata sarebbe stato portato a Treviso dagli abitanti di Altino, quando, nel 452, sotto la minaccia degli Unni di Attila o piú tardi sotto quella dei Longobardi, si rifugiarono numerosi in quella città, nella cui diocesi restarono incorporati definitivamente anche Altino e il suo territorio.
Invece, la sede vescovile nel 639, se non anche piú tardi, passò a Torcello, dove il doge Andrea Dandolo (m. 1354) e poco dopo il domenicano Pietro Calò affermarono essere stati portati anche i corpi di Liberale, Teonisto, Tabra e Tabrata, per essere collocati in quella cattedrale. Però la presenza e il culto a Treviso di quei corpi santi sono attestati, a cominciare dal 1082, da un crescendo di testimonianze monumentali ed archivistiche man mano che ci si avvicina alla fondazione, nel 1360 o nel 1365 della Confraternita di S. Liberale da parte del b. Enrico di Treviso.
Fin dal sorgere del libero comune nel sec. XII Liberale, cavaliere di Altino, era stato proclamato patrono di Treviso, pur restando gli apostoli Pietro e Paolo titolari della cattedrale. E patrono di Castelfranco Veneto lo vollero fin da principio i cittadini mandati da Treviso nel 1199 a fondare quel castello.
La sua tomba a Treviso è nella cripta della cattedrale e la sua festa è al 27 aprile.
La piú antica iconografia lo rappresenta vestito d’una lunga sottana simile al camice liturgico e d’una sopravveste più corta simile al colobion o alla tunicella o alla dalmatica. Invece nella figurina, scolpita intorno al sepolcro del b. Enrico di Treviso, è rivestito della clamide dei soldati. Giorgione nella celebre tela del duomo di Castelfranco lo rappresenta addirittura rivestito di corazza con in mano la bandiera sella città.
Tratto da
http://www.trevisotoday.it/blog/patrono-san-liberale-treviso-febbraio-2016.html
Il simbolo di Treviso e il suo patrono
Patrono delle città di Treviso e Castelfranco Veneto, San Liberale nacque ad Altino, nell’antica città romana posizionata tra Padova e Aquileia. Di ricca famiglia pagana, Liberale fin da giovane volle arruolarsi come soldato, convertitosi al cristianesimo con lo scopo di soccorrere i poveri e pregare, venne educato nella fede cristiana da Eliodoro, primo vescovo della città. Quando l’opposizione dei pagani e degli ariani, divenne insostenibile, Eliodoro decise di affidare la sua sede al vescovo Ambrogio, per ritirarsi poi nelle isole della laguna di Venezia. Dopo qualche tempo, preoccupato per l’incapacità di Ambrogio di fronteggiare pagani ed eretici, Liberale decise di intraprendere la ricerca di Eliodoro, chiedendo prima consiglio al Signore. Durante la preghiera nella cattedrale si addormentò e nel sonno gli apparve il suo angelo custode, che lo incoraggiò e gli preannunciò la vicina morte. Liberale decise così di recarsi a Castrazone, dove vi era una chiesa dedicata a S. Lorenzo, non trovando modo di raggiungere l’isola dove risiedeva Eliodoro, si fermò là conducendo vita eremitica. Colpito da grave malattia, dopo poco tempo, morí il 27 aprile del 437.

Pala di Santa Cristina di Quinto di Treviso (1506) – Chiesa Parrocchiale
Riconosciuto subito come santo, il suo corpo venne seppellito nella chiesa di S. Lorenzo entro un’arca marmorea, la leggenda afferma che in seguito alla sua morte, si verificarono episodi di miracoli. Il suo corpo, secondo fonti storiche, sarebbe stato portato a Treviso dagli abitanti di Altino nel 452 quando, sotto la minaccia degli Unni di Attila, si rifugiarono numerosi in quella città, nella cui diocesi restarono incorporati definitivamente anche Altino e il suo territorio. Intorno al VII sec. la sede vescovile passò a Torcello, dove vennero portati corpi di Liberale e degli altri martiri Teonisto, Tabra e Tabrata, per essere collocati in quella cattedrale. La presenza ed il culto di quei corpi santi a Treviso sono attestati, a cominciare dal 1082, da un crescendo di testimonianze monumentali ed archivistiche man mano che ci si avvicina alla fondazione, nel 1360 o nel 1365 della Confraternita di S. Liberale, da parte del beato Enrico di Treviso. I resti si trovano tuttora nella cripta del Duomo di San Pietro a Treviso.
Consultare anche
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA DIREZIONE GENERALE DEL VENETO
LABORATORIO DI DISEGNO, STORIA DELL’ARTE, EDUCAZIONE ARTISTICA E IMMAGINE
IL SANTO CON LO STENDARDO: STORIA ED ICONOGRAFIA DI SAN LIBERALE
http://www.webalice.it/alfredo.sabato/ICONOGRAFIA%20DI%20SAN%20LIBERALE.htm

ed anche
http://digilander.libero.it/librettimusica/San.Liberal.pdf

• 27.04: Memoria di Sant’Anastasio I Papa e Patriarca di Roma
Tratto dal Quotidiano Avvenire
(Papa dal 27/11/399 al 19/12/401)
Il «Liber Pontificalis» lo dice romano di origine. Edificò a Roma la basilica Crescenziana, individuata, oggi, in San Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa, ratificando le decisioni del Concilio di Toledo del 400. Questo Pontefice è conosciuto specialmente per la controversia origenista. Nel 399 gli amici di san Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le proposizioni presentategli. Fu in ottimi rapporti con Paolino, poi vescovo di Nola. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere. Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401.
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Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/82250
il Liber Pontificalis lo dice romano di origine; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa: ratificò le decisioni del Concilio di Toledo del 400, nel quale alcuni vescovi galiziani che avevano sconfessato Priscilliano, furono conservati nel loro ufficio, purché la reintegrazione fosse stata approvata da Anastasio. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l’arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell’Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Sull’origenismo scrisse parecchie lettere, di cui una indirizzata a Venerio di Milano.
Fu in ottimi rapporti con s. Paolino, poi vescovo di Nola, anzi si credette obbligato a riparare i dispiaceri recatigli dal suo predecessore. Dopo avere, infatti, scritto ai vescovi della Campania, facendo loro i suoi elogi, lo invitò direttamente a Roma per prender parte alla festa anniversaria della sua consacrazione, festa cui i papi solevano invitare solamente i vescovi. L’eccezione costituiva per Paolino un favore specialissimo e anche una riparazione. Quantunque egli non potesse in questa occasione andarvi, il papa accettò la sua lettera di scusa. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere.
Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontificalis. Fu sepolto sulla Via Portuense in un monumento sepolcrale posto fra le basiliche di S. Candida e dei SS. Abdon e Sennen. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano.
Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis, che qui richiede una revisione.

Sulla venerazione del santo Anastasio papa in Turturano

Sul culto del santo Anastasio papa in Turturano

Turturano, abitato sin dall’epoca romana e, come farebbero pensare alcuni ritrovamenti archeologici, addirittura in epoca messapica dal quale il toponimo del paese sembra derivare, è un territorio ricco di storia e archeologia.
Scarse sono le notizie in epoca romana, che cominciano a diventare più “chiare” in epoca alto-medievale quando Tutorius viene nominato in alcune carte geografiche. All’epoca il paese doveva presentarsi come un semplice villaggio alto-medievale di campagna, in cui le abitazioni erano prevalentemente in materiale deperibile, fango e paglia ma anche legno. Non essendoci attestazioni archeologiche, il dato lo si può ricavare dai documenti i quali concordano che le abitazioni del paese almeno fino al XV secolo vengono realizzati in materiali “poveri”. Con la dominazione normanna, le documentazioni riportano la dicitura locus Tuturanus nel 1097 e vicus Tuturanii nel 1107. Entrambi “aggettivi” si ritrovano nelle donazioni fatte dal Conte Goffredo di Conversano e dalla Contessa Sichelgaita al monastero delle monache Benedettine di Brindisi, alle quali il casale fu donato.
Tuturano si trova in una zona particolarmente fertile e nel medioevo, intorno alla cittadina, si trovavano numerose zone paludose. Qui l’agricoltura ha conosciuto un forte sviluppo grazie all’opera dei monaci greco-orientali, che sin dal VIII secolo si stanziano in zona, sfuggendo alle “persecuzioni iconoclaste” di Leone III Isaurico, patriarca di Costantinopoli. Detti monaci si stabiliscono prima in anfratti naturali, o grotte, successivamente, passato il pericolo iconoclasta, vi edificano numerosi monasteri, il più importante dei quali è quello di San Nicola di Casole a Otranto.
Nella zona di Tuturano-Brindisi, in località Saline esiste ancora una masseria denominata “Villanova” risalente al secolo IX (anche se oggi la struttura è fortemente modificata), la quale era un antico monastero basiliano denominato Santa Maria “de Ferurellis”. Era una delle più importanti abbazie greco-orientali in zona e costituì un elemento importante nella riorganizzazione del territorio in epoca alto-medievale. I monaci greco-orientali (erroneamente definiti dalla storiografia Basiliani la quale è un’ ”invenzione” della chiesa latina), prendono appunto la loro regola da San Basilio il Grande, che con la sua opera di promozione dei valori del monachesimo orientale, influenzò la cultura monastica occidentale e in particolare quella Benedettina. I monaci “greci” vivevano talvolta in piccoli gruppi comunitari sparsi nelle campagne, post riforma iconoclasta, oppure anche in grotte e ipogei scavati nella roccia.
La storia del monachesimo greco-orientale è fondamentale per capire le argomentazione della seguente tesi, che intendono discernere i motivi della presenza del Santo Anastasio, Papa della Chiesa e venerato come Santo, presente sulla torre medievale omonima sita nella piazza principale del paese. Nella stessa piazza già dall’epoca medievale sorgeva una delle due chiese medievali di Tuturano citate nei documenti, in cui il nome di Sant’Anastasio non compare, i nomi delle chiese erano infatti S.Eustachio e S.S Cosma e Damiano, nomi che se analizzati secondo le discipline agiografiche potrebbero fornire interessanti “chiavi di lettura” della cultura tuturanese in epoca medievale. Obiettivo della tesi è quindi come si è detto, quello di discutere la presenza di un santo, quale è Sant’Anastasio, e rintracciarne culto e origini che risalgono al V secolo d.C. Tenendo presente la “tradizione” culturale della cittadina, che come tutto il Salento medievale si rifà alla tradizione greco-bizantina, il santo in questione, pare una “nota stonata” essendo un santo prettamente latino. E pur vero che a Tuturano, vi convivevano sia il rito greco che quello latino, qui introdotto probabilmente dai Longobardi. Siamo in effetti qui al confine, dal “cosiddetto” Limitone dei Greci che in realtà non era un enorme muro come si pensa, ma una strada che divideva le due fazioni appunto longobarde e bizantine nel Sud Salento. Il territorio del paese viene a collocarsi quindi in una area di intensi traffici attraversato a est dalla Via Traiana Calabra (impropriamente detta) che collegava Brindisi a Otranto, a nord dalla Via Pubblica che da Brindisi conduceva a Porto Cesareo (odierna Via Vittorio Emanuele, Via Colemi), a ovest una strada la collegava a Mesagne, importante centro messapico, romano e nel periodo medievale importante sotto gli svevi e sede di una commenda dell’Ordine Teutonico. Dal medioevo si ha menzione di una “via de Sancto Martino” che doveva passare nei pressi dell’odierno centro storico dove doveva trovarsi l’antico casale medievale, e che la collegava al Tempio di San Miserino presso il casale scomparso di Monticello, in agro di San Donaci. Proprio la chiesa di San Miserino, doveva in realtà chiamarsi secondo gli studiosi proprio San Martino “in locus Monticelli”, peraltro un santo fortemente venerato sul territorio in epoca medievale. Dopo aver quindi brevemente sintetizzato il di per se già complesso quadro storico, culturale, sociale e religioso del locus Tuturanus in età medievale, ci apprestiamo ora ad entrare nel “vivo della questione”, provando a rispondere già alla prima domanda: chi era quindi Sant’Anastasio?
Complessa appare la figura di questo pontefice della Chiesa di Roma. Fu infatti egli persona molto colta. Successe a Papa Siricio. Fu pontefice dal 27 novembre 399 al 19 dicembre del 401, quindi tra le fine del IV e i primi anni del V secolo. Le notizie tratte dal Liber Pontificalis romano lo dice romano di origine dalla famiglia De Massimo; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Il Liber Pontificalis riferisce inoltre di alcune disposizioni atte a regolare gli appelli dei chierici africani alla Sede romana, motivandole con la presenza di manichei a Roma, il numero delle ordinazioni presbiteriali, diaconali ed episcopali effettuate. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l’arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell’Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Egli tradusse molte opere dal greco, in particolare scritti di alcuni Padri della Chiesa tra i quali appunto Origene. Rufino replicò ad Anastasio con un sua lettera polemica Apologia ad Anastasium papam.
Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontificalis romano. Fu seppellito lungo la Via Portuense nelle catacombe di Ponziano. L’itinerario alto-medievale di Roma più famoso per il culto ai santi e ai martiri, la Notitia Ecclesiarum informa che “Tunc ascendis et pervenies ad sanctum Anastasium papam et martyrem”. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano. Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis e che richiede probabilmente una revisione al 19 dicembre. Le notizie che abbiamo sin qui riportato ci fanno conoscere quindi Anastasio come un pontefice strettamente “rigido” nella dottrina ecclesiastica, con un intenso spirito polemico contro Tirannio Rufino.
Tornando nella frazione di Tuturano, come detto in precedenza né nei secoli alto-medievali né per quelli basso medievali si hanno notizie del culto di Sant’Anastasio papa. La sua iconografia, tra l’altro, non ha una specifica base iconografica con cui rappresentare il Santo. L’unico esemplare che conosciamo è datato al VII secolo e si trova nell’oratorio di San Veneziano presso il Battistero Lateranense.
A Tuturano l’unica effige che ci parla del culto di Sant’Anastasio si trova in cima alla torre medievale omonima del XIII secolo, che prende il nome proprio dall’effige di reimpiego del Santo posta sulla sua sommità. La lastra in pietra reca scolpita l’immagine del Santo, indossante una tiara papale, abito pontificale e bastone pastorale, con la mano benedicente alla latina, identificato dalla scritta “Anastasius I”. La lastra è di epoca post-medievale, probabilmente di XVI secolo e potrebbe appartenere alla antica chiesa dedicata proprio a S.Anastasio che si trovava nella piazza principale del paese, proprio di fronte la torre medievale. A questo punto viene spontanea una domanda: esisteva quindi una chiesa di S.Anastasio? La risposta è positiva, benchè questo attributo lo si conosca solo però in epoca post-medievale, e soprattutto si hanno notizie del culto di S.Anastasio a Tuturano in epoca post Tridentina. La chiesa, che un tempo si trovava in piazza, era di culto greco e di origine medioevale e dopo molte vicissitudini, anche burocratiche, crollò nel secolo scorso.
Scarse le notizie provenienti dagli archivi, in cui si ricorda la celebrazione del culto greco nella chiesa fino al 1600, quando morì l’ultimo prete greco a Tuturano.
Si è prima parlato di Rufino, duramente attaccato proprio da Anastasio, e se Madre Storia non è un’opinione, non si può andare lontano da una conclusione leggendo alcune notizie proprio su Tirannio Rufino, monaco, storico e teologo cristiano; si è parlato di monaci basiliani nella zona, onnipresenti fin dal VIII secolo. Insomma ebbene si, Rufino pare proprio legato ai Monaci greco-orientali, conosciuti come Basiliani dalla storiografia ecclesiastica e non solo. Prima comunque di fare delle ipotesi, ebbene riportare anche qualche notizia storica su Tirannio Rufino e capire qualche “collegamento” in più con la presenza di Sant’Anastasio e, se ve ne sono, nella frazione di Tuturano.
Tirannio Rufino (345-410) nacque a Concordia, presso Pordenone, da genitori cristiani. Mentre attendeva agli studi in Roma fece conoscenza con S.Girolamo. Ebbe una grande importanza per lo sviluppo culturale dell’Occidente, in quanto con le sue traduzioni egli rese accessibile ai latini il pensiero dei padri greci, particolarmente quello di Origene. Dotato di una buona preparazione letteraria, si prefisse lo scopo morale e intellettuale di ricercare il vantaggio di quanti sono sulla via del progresso. Si possono suddividere le opere di Rufino in due gruppi distinti: opere originarie (composizioni personali, per lo più occasionali) e opere di traduzione. Monaco ad Aquileia, in Egitto, in Palestina, poi ancora in Italia (Aquileia e infine Messina); amico e condiscepolo di s. Girolamo, venne con lui in polemica all’ortodossia di Origene, decisamente affermata da Rufino, che aveva fatto una traduzione del De principiis. Per la nostra analisi, è importante sapere che egli tradusse, tra l’altro, diverse omelie di Origene; il primo libro dell’Apologia a favore di Origene di Panfilo; orazioni di s. Basilio Magno e s. Gregorio di Nazianzo; tradusse e aggiornò la Storia ecclesiastica di Eusebio. Percorse i deserti del Basso Egitto, incontrando molti celebri monaci: questi amici gli insegnarono tutto ciò che essi apprendevano da Dio. Ad Alessandria frequentò maestri rinomati per scienza e santità e soprattutto Didimo il Cieco, che gli fece scoprire i tesori dell’esegesi e della teologia di Origene; si avvicinò anche ad altre opere di altri Padri greci, tra cui Atanasio di Alessandria e i Cappadoci.
Gli anni passati in Egitto furono per Rufino importanti nella sua formazione spirituale e intellettuale. Egli visitò il deserto egiziano insieme a santa Melania l’Anziana. Verso il 377 Rufino tornò a Gerusalemme e, sul Monte Oliveto, accanto al monastero femminile eretto da Melania, gli fu affidato quello maschile. Queste due comunità divennero un centro di attività spirituale, intellettuale e caritativa. Verso il 390 Rufino fu ordinato sacerdote dal vescovo Giovanni di Gerusalemme. Sembra, che proprio per queste due comunità, egli adottò fortemente le “regole” già dettate da San Basilio Magno, per le comunità monastiche.
Basilio scrisse le sue “regole” intorno al 356 sulle rive del fiume Iris in Egitto, chiamate la Grande Regola e la Piccola Regola. Altresì lo stesso Basilio, scrisse la “regola”, per dare uno stile di vita unitario ai tanti anacoreti che vivevano nel deserto egiziano, da lui visitati sempre intorno al 359-360. Vissuto alla fine dell’era delle persecuzioni, detiene un posto di grande importanza nella storia della liturgia cristiana. I riti della Chiesa che prima erano affidati alla memoria e alla estemporaneità iniziarono a strutturarsi, la liturgia iniziò ad essere influenzata da brevi rituali. L’influenza di Basilio in questi rituali è ben attestata nelle fonti. Restano dubbi su quali parti della Divina Liturgia di Basilio Magno siano state composte o riviste da lui e quali si ispirano alle sue opere. Con il suo esempio e i suoi insegnamenti Basilio esercitò una notevole influenza nella vita monastica del tempo, moderando l’austerità che fino ad allora aveva caratterizzato la vita monastica. Fornì anche un grande contributo nel coordinare le attività di lavoro e quelle di preghiera per assicurarne un più equilibrato ritmo nella giornata del monaco. Basilio figura tra le più influenti figure che hanno dato sviluppo al monachesimo nella cristianità. Non solo è riconosciuto come il padre del monachesimo orientale, ma gli storici gli attribuiscono anche una grande importanza per lo sviluppo di quello occidentale, in particolare per l’influsso che ebbe su San Benedetto. Benedetto stesso ne riconosce l’importanza quando nella sua “Regola” chiede ai monaci di leggere oltre che la Bibbia anche i Padri della Chiesa e la vita e la «Regola del nostro Santo Padre, Basilio». A riprova di questa influenza restano i molti ordini religiosi della Chiesa orientale che si rifanno ancora alla sua regola o che portano il suo nome, nell’ambito della chiesa latina si annovera un istituto religioso fondato nel XVIII secolo in Francia, i Preti di San Basilio.
Sembra interessante notare, da quanto sopra detto, lo stretto collegamento tra le figure di Tirannio Rufino, Basilio e Anastasio Papa. Uno, grande teologo e traduttore, tradusse gli scritti di Origene, a cui rimase fedele, e le opere di San Basilio Magno, colui che diede vita al cosiddetto “monachesimo Basiliano” in realtà greco-orientale. Queste due figure confluiscono nelle dure critiche che Papa Anastasio I mosse proprio nei confronti di Tirannio Rufino che da quella antica Tradizione orientale pare servirsi per ordinare la vita dei suoi monaci.
Tuturano, terra da sempre posta a confine, anche grazie alla vicinanza di Brindisi e del suo eccellente porto, ai rapporti con l’Oriente Cristiano, ha risentito come tutto il Salento dell’influsso greco-bizantino, il cui culto è rimasto vivo fino alla metà del 1600.
Nonostante già nel III-IV secolo cominci il processo di “monarchizzazione” della Chiesa di Roma, periodo questo in cui vivono i personaggi qui discussi, il Salento e la terra di Brindisi e intorno alla città (già all’arrivo del vescovo Leucio intorno al II-III secolo, la cui agiografia è una delle più sicure in Puglia, seppur da usare sempre con cautela, insieme a quella dei vescovi Lorenzo di Siponto e Sabino di Canosa) risulta essere ancora essenzialmente più vicina ai rituali “pre-cristiani” che non quelli della Nuova Fede. Leucio nel II-III secolo, infatti, quando arriva a Brindisi, vi trova una popolazione che adora il Sole e la Luna. Più precisamente, come sottolinea nel suo contributo sul web Filippo Caraffa, “si può pensare al culto del dio Mitra, il sole invincibile, i cui misteri, celebrati in ipogei, prevedevano una complessa iniziazione che, al pari di quella gnostica, si articolava in sette gradi. Commistioni, somiglianze e analogie fra cristianesimo e mitraismo, anche sul piano cultuale, furono per tempo rilevate da Giustino ciò che, di fatto, potrebbe aver reso maggior efficacia all’azione evangelizzatrice di Leucio dalla cattedra brindisina.
Il santo conferì alla chiesa locale una strutturazione forse prima sconosciuta e che i documenti del V secolo lasciano intravedere; da qui la convinzione che Leucio avesse fondato la sede episcopale di Brindisi sposata all’altra, questa non errata, che a lui si dovesse la prima massiva evangelizzazione del Salento”. Ciò fa capire quindi come il Salento, la terra di Brindisi, sia stata sempre una terra di “difficile conquista cristiana” proprio soprattutto per il suo carattere rurale, in cui le città sono poche e concentrate tutte lungo le coste da cui si dipartono le vie di comunicazione con l’interno. E’ chiaro che anche il territorio circostante abbia subito una influenza, se non diretta, almeno parziale di ciò che nelle città si andava affermando.
Con l’arrivo dell’età alto-medievale, a partire dal VIII secolo, il Salento, con le persecuzioni iconoclaste di Leone III Isaurico, vede affermarsi il monachesimo greco-orientale. L’Editto del 796 emanato dall’Isaurico contro il culto delle immagini scatenerà una lotta senza precedenti, che porterà ad una “frattura” tra la chiesa di Oriente, Bizantina, e quella di Occidente, Latina, nel 1054. In età post-medievale, il potere di Roma, dopo la Riforma Tridentina del 1545-1563, affermò nuovamente la sua egemonia, la Chiesa ne uscì rinnovata e chiunque dovette, in ogni ambito della liturgia e del costume cristiano, adattarsi ai Canoni stabiliti dal Concilio. Nel Salento il monachesimo orientale, cominciò lentamente a esautorarsi, il rito greco-bizantino ad abbandonarsi. Piccoli focolai rimanevano proprio nell’area di Tuturano – San Donaci – Mesagne – Campi Salentina – Veglie ancora nel XVI secolo. Durante il XVI secolo, il culto greco, ancora esistente in Tuturano, venne man mano sostituito dal culto latino.
La chiesa “greca” di S.Anastasio, era situata nella Piazza Regina Margherita, venne progressivamente abbandonata, chiusa, e come dimostrano monumenti d’archivi, nel secolo scorso ci fu il crollo. Ciò che ne resta, è solo un acquerello depositato in Archivio di Stato a Brindisi. E ci sono notizie reperite in uno studio del prof. Pasquale Cordasco, dell’Università di Bari, che cita espressamente dei “processi” veri e propri per riformare al rito latino i monaci greci, nel XVI secolo a Tuturano.
Da Annibale De Leo, fonte storica delle più importanti per la città di Brindisi e per la storia del suo territorio, apprendiamo che alla fine del XI secolo i “Greci”, cioè coloro che praticavano il rito bizantino, crescono sotto il placido consenso della Contessa Sichelgaita allora già vedeova del marito il Conte Goffredo di Conversano. Il loro figlio Tancredi di Conversano fu spogliato del possesso di Brindisi dal Re Ruggero. I Greci odiarono fortemente questo sovrano e ci fu una “ribellione” contro costui dal quale la città ne uscì “espugnata e distrutta”. Il Conte Goffredo morì nel 1101, come attesta Lupo Protospatario, notizia confermata anche in una lettera della Contessa Sichelgaita del 1107 alle Monache di San Benedetto in cui si attesta che il conte Goffredo è già morto. La chiesa brindisina, come si apprende sempre dal De Leo, mantenne il Rito Latino dalla sua nascita fino al IX secolo, in cui fu totalmente devastata dai Longobardi nell’838. I Bizantini nel secolo XI riprendono in mano la città ricostruendola e quindi importando l’uso del Rito Greco a Brindisi e nella sua zona.
Facendo un salto nella documentazione disponibile, dall’arcivescovo di Brindisi Bernardino de Figueroa (1571-1586) ci perviene una esposizione di una indagine da lui compiuta tra il 17 e 21 marzo 1575 sulle comunità greche della sua diocesi. Il primo giorno si presentò Antonio Pirico, prete greco di Brindisi che dichiarò di essere stato consacrato dal vescovo di Corone inviato dal patriarca di Costantinopoli. Attualmente egli considerava come suo vescovo ordinario Timoteo Gravinensis inviato dall’arcivescovo di Ocrida con giurisdizione su tuti i Greci di Puglia, al suo vicario un certo Cesare Capuziniado. Questo vescovo Gravinesis non si vedeva in Terra d’Otranto secondo il Pirico da circa dodici anni ma si diceva che comunque si trovava ancora in Puglia. Il giorno dopo il 18 marzo 1575 Pirico fu di nuovo ascoltato dalla Commissione recitando il Simbolo in greco (credo ndr) con l’omissione del Filioque, presentando l’Orologhion , che conteneva il testo in Greco. Tra i sacramenti egli non riconosceva quelli della Confermazione e dell’Estrema Unzione, ma ammetteva di imitare se richiesto le usanze latine. Il 20 marzo 1575 si presentano davanti alla Commissione, insieme al loro prete i laici di rito greco viventi a Brindisi: sono 34 in tutto e in buona parte “schiavoni” o immigrati da poco dalle regioni greche sotto controllo veneziano.
Il giorno successivo è la volta di due preti greci del casale di Tuturano, Demetrio Pretori e Procano Spata, le cui risposte non differiscono molto da quello del prete brindisino su menzionato, salvo che si dichiarano consacrati rispettivamente a Mesagne e Tuturano, 14 anni prima da un Gabriele, vescovo Gravinensis, cui subentro Timoteo.
Alla fine tutti e tre i preti greci accettarono di essere sottomessi all’autorità della chiesa di Roma e di accogliere le correzioni elencate dall’arcivescovo, sotto pena di scomunica. Dove infatti si conservava il rito greco da secoli, e la popolazione si era “italianizzata”, le forze della Chiesa di Roma, la latina, decretarono l’estinzione del rito, mediante la sospensione delle ordinazioni sacerdotali e la graduale sostituzione dei preti greci defunti con clero latino.
Queste notizie, ci fanno capire l’enorme portata di questo “movimento riformatore”, che attuato fin da subito, dopo il Concilio Tridentino, smantellò tutto ciò che fosse estraneo al rito latino. Chiese di rito geco, furono quindi latinizzate, o ridedicate, come sembra appunto il caso della chiesa medievale di S.Anastasio, il cui culto non è attestato nel medioevo, ma solo in epoca post-medievale e post-tridentina. Sopravvivono ancora oggi nel basso Salento, tradizioni legate all’uso del “griko” questo antico dialetto, che non è di origine greca bensì bizantina, e con cui si celebrava messa fin dal Medioevo in tutto il Salento. Un uso che oggi è scomparso, una Tradizione che sembra lontana, ma ancora viva nella cultura e nelle mente di un popolo.
Della chiesa di S.Anastasio, di culto greco, che probabilmente era quella dedicata di rito greco, a S.Eustachio, non rimane nulla, rimane in piedi la chiesa “vecchia”, di origine medievale del XIII secolo, dedicata alla Vergine del Giardino, che nel passato medievale della cittadina di Tuturano, doveva essere dedicata a SS.Cosma e Damiano. Scavi sotto la piazza, durante lavori di sistemazione della stessa, nel secolo scorso hanno messo in evidenza tracce di sepolture medievali e addirittura, forse una messapica. A ciò si aggiunge la tradizione, tramandata dagli abitanti del posto, che vuole sotto la Torre di S. Anastasio una grotta sede di culto basiliano. Per la verifica di queste situazioni ed emergenze, che potrebbero fare chiarezza sulla storia della cittadina, ad oggi non è possibile accedere, chiuse come scrigni di “tesori”, che potrebbero contenere pagine interessanti di storia e cultura, di questa comunità.
BIBLIOGRAFIA
Pietro Bradascio, Tuturano, Amici della “De Leo”, Brindisi, 1989
Dell’origine del rito greco nella Chiesa di Brindisi, a cura di Rosario Jurlaro, Brindisi: Amici della A. de Leo, 1974
Codice diplomatico brindisino [raccolto da] Annibale de Leo. Vol. 1: 492-1299, a cura di Gennaro Maria Monti e collaboratori, Trani: Vecchi e C., 1940
Sophia Boesch Gajano, Storia della Santità nel Cristianesimo Occidentale, Viella Edizioni, 2005 (volume utile a capire le dinamiche di “santificazione” e i processi nel territorio)
Ada Campione, Brindisi, San Leucio, In Santuari d’Italia a cura di Giorgio Otranto e Immacolata Aulisa, De Luca Editore d’Arte, Roma 2012
Comunità bizantine in Terra d’Otranto, Pasquale Corsi in “Ad Ovest di Bisanzio: il Salento medioevale, atti del Seminario Internazionale di Studi, a cura di Benedetto Vetere, Galatina, Congedo Editore, 1990
Enciclopedia dei Santi, Biblioteca Sanctorum, Pontificia Università Lateranense, Vol. 1, Roma, Città Nuova, 1987
FONTI WEB
Filippo Caraffa, S.Anastasio I Papa in www.santibeatietestimoni.it/dettaglio/82250.
consultare anche
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-anastasio-i_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/