• 06 Festa dell’icona della Santissima Theotokos di Tikhvin

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

Secondo una tradizione, questa icona fu dipinta dall’Evangelista Luca. Era dapprima nella chiesa delle Blacherne a Costantinopoli. Nel 1383 comparve sulle acque del Lago Ladoga, da cui viaggiò miracolosamente attraverso l’aria alla città di Tikhvin; qui, rimase presso il fiume Tikhvinka, e un monastero fu costruito per dare riparo all’icona. Nel 1613-14 questo monastero resistette miracolosamente ai ripetuti attacchi degli invasori Svedesi. All’inizio del ventesimo secolo fu trasferita in America e tornò in Russia nel 2004. La santa icona è rinomata per la gran quantità di miracoli che ha compiuto, specie nella guarigione di bambini.

 

  • 06 Memoria di San Giovanni, vescovo di Gothia

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

San Giovanni di Gothia nacque agli inizi del VIII secolo, all’epoca dell’imperatore Leone Isaurico. Proveniva da una famiglia gota di Partenit: i suoi devoti genitori si chiamavano Leone e Fotinì e Giovanni assorbì pienamente la loro pietà religiosa. Dopo aver effettuato un pellegrinaggio a Gerusalemme, ed esservi rimasto per circa tre anni, divenne vescovo in Georgia nel 758, per tornare in Gothia e diventare vescovo metropolita di Doros. In questo ruolo fu attenta guida nella fede e pastore pronto alla filantropia. Rimase semplice, umile, non interessato alle ricchezze, fratello dei sacerdoti e padre della sua gente. Infatti si mise a capo di una rivolta del suo popolo contro il dominio sulla Crimea dei Cazari, popolo turco di religione ebraica. Riuscì nell’impresa, ma dopo circa un anno i Cazari ebbero di nuovo la meglio, e Giovanni venne imprigionato. In seguito, il buon pastore riuscì a scappare, riparando con molti altri cristiani ad Amasra sulla costa meridionale del Mar Nero, nel territorio dell’Impero Bizantino. Lì rimase per quattro anni, beneficiando il suo popolo fino alla sua morte, avvenuta intorno al 790. Chierici e popolo lo seppellirono con grandi onori.

 

  • 06: memoria del santo venerabile Padre DAVIDE di TESSALONICA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Questo angelo terrestre e uomo celeste rinunciò presto alla sua patria, la Mesopotamia e ad ogni attaccamento del mondo per prendere la sua Croce e seguire il Signore diventando monaco al Monastero dei Santi Teodoro e Mercurio, detto dei Koukoullates [1], a Tessalonica. Egli affliggeva i suoi slanci carnali con una ascesi sostenuta e camminava nella scienza delle virtù con la meditazione delle Scritture e le vite dei santi. I santi stiliti: Simeone l’Anziano, Simeone del Monte Ammirabile, Daniele, Patapio e i loro emuli ricevevano, in particolare, la sua ammirazione e, bruciando dal desiderio di imitarli, salì sul mandorlo che si trovava alla destra della chiesa e si installò su un ramo come uno stilita di gene nuovo (dendrida).

 

Offrendosi in spettacolo agli Angeli e agli uomini affrontava con pazienza tutti i rigori del clima: battuto dai venti, bruciato dal sole, colpito dalla pioggia ed esposto d’inverno alla neve e al freddo. Egli era sprovvisto della stabilità che gli stiliti avevano sulle loro colonne e stava sul suo ramo come un uccello che eleva verso Dio, giorno e notte, le dolci melodie delle sue preghiere e delle sue lodi ininterrotte.

 

Uomini pii e zelanti delle virtù divennero suoi discepoli e lo supplicarono di scendere per guidarli nella vita monastica. Ma Davide rispose loro che non sarebbe sceso prima di tre anni, dopo aver ricevuto un segno da Dio. Trascorso questo tempo, un Angelo gli apparve e gli annunciò che era piaciuto a Dio il suo genere di vita celeste ma che era ormai il tempo di scendere per ritirarsi in cella prima di vedersi affidare un’altra missione. Davide disse di questa visione ai suoi discepoli che, dopo avergli preparato la nuova dimora, un minuscolo antro, lo fecero scendere dall’albero in presenza dell’Arcivescovo di Tessalonica, Doroteo, e molto clero. Si celebrò la Divina Liturgia, poi il santo entrò in reclusione, tra un concerto di festa spirituale e inni di ringraziamento. Pregando continuamente, senza distrazione, il santo acquistò ancor più grazia e favore presso Dio. Una notte, soldati che montavano la guardia sul bastione videro del fuoco che usciva dalla finestra della sua cella ma al mattino, andandovi, rimasero stupefatti nel trovare la sua cella senza danni e l’uomo di Dio sano e salvo. Lo stesso miracolo si ripeteva spesso e tutta la città ne era testimone. Uno degli abitanti, Palladio, avendo assistito più volte a questo prodigio, si disse:<< Se Dio accorda una tale gloria ai suoi discepoli, cosa riserverà loro nel secolo a venire, quando i loro visi risplenderanno come il sole? >>. E partì per farsi monaco in Egitto.

 

Di questa gloria di Dio, che era l’oggetto della sua contemplazione, san Davide ricevette il potere di scacciare i demoni, dava anche la vista ai ciechi e guariva tutte le malattie invocando il Nome di Cristo, cosicché tutta la città lo considerava come il suo Angelo Custode. In quel periodo, le orde congiunte di Slavi ed Avari, che avevano già invaso e saccheggiato quasi tutta la Macedonia, minacciavano Sirmio, seggio del prefetto dell’Illirico. Costui scrisse allora al Metropolita di Tessalonica, Aristide, raccomandandogli di inviare come ambasciatore presso l’imperatore Giustiniano un uomo virtuoso per chiedergli di trasferire la sua residenza a Tessalonica, i cui bastioni impedivano le imprese dei barbari. Riuniti dal vescovo, i notabili ed il clero gridarono ad una sola voce che solo Davide il recluso era degno di rappresentarli presso il sovrano. Il santo, protestando la sua età avanzata, subito rifiutò ma ricordandosi il messaggio dell’Angelo si sottomise predicendo avrebbe reso l’anima al suo ritorno poco lontano dalla cella, tutti gli abitanti si prostrarono vedendo la sua andatura imponente: i capelli e la barba gli scendevano fino ai piedi e il suo viso, simile a quello del Patriarca Abramo, era ridondante di gloria. Egli si imbarcò per Bisanzio con due discepoli ma essendo assente l’imperatore quando arrivò a palazzo, fu ricevuto dall’imperatrice Teodora che gli chiese di pregare per la salvezza dell’impero e della città. Al suo ritorno, l’imperatore Giustiniano, apprendendo che un uomo di Dio era presente a corte, riunì il Senato per ascoltare la sua richiesta. San Davide prendendo a piene mani dei carboni ardenti e posandovi incenso a profusione, incensò allora il sovrano e tutto il Senato, per circa un’ora senza soffrire alcuna bruciatura [2]. L’imperatore, fortemente impressionato, accolse con piacere la supplica del metropolita di cui Davide era portatore ed accettò di trasferire a Tessalonica il seggio della prefettura dell’Illirico (535) poi rinviò il santo nella sua patria con grandi segni d’onore. Quando la nave arrivò in prossimità del faro di Tessalonica, in un luogo da cui si poteva vedere il monastero del santo, Davide annunciò ai suoi discepoli che l’ora era arrivata e dopo aver dato la il bacio di pace a aver indirizzato a Do una ultima preghiera, gli rese la sua anima benemerita (540). Malgrado un vento violento, la nave si arrestò di colpo e un profumo d’incenso si sparse mentre voci celesti si facevano sentire. Quando esse cessarono, la nave riprese il suo corso. Il metropolita e tutti gli abitanti accolsero il santo sulla riva e, conformemente alle sue ultime volontà, andarono a seppellirlo nel suo monastero.

 

Centocinquanta anni più tardi, l’egumeno, desiderando prendere una parte delle sue reliquie, fece aprire la tomba, ma la lastra che le ricopriva si ruppe n mille pezzi. Trenta anni più tardi, l’egumeno successivo riuscì ad aprire la tomba e vi scoprì il corpo del santo incorrotto. Per molti secoli queste preziose reliquie continuarono ad operare miracoli [3].

 

Note:

 

1) Cioè, “dei monaci incappucciati”, situato un po’ fuori città. Il monastero oggi conosciuto come “Osios David”, è infatti l’antico Monastero di Latomos.

 

2) Come san Gregorio d’Agrigento (23 nov.) san Giovanni Acatsios (4 nov.), san Baras (16 maggio).

 

3) Esse trasferite a Pavia in Italia, durante l’occupazione latina (1222) sono state restituite alla chiesa di Tessalonica nel 1978.

 

 

  • 06: San Germano, Patriarca di Costantinopoli, e la Miracolosa Icona di Lydda

testo inglese tradotto da Joseph Giovanni Fumusa

Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2015/05/saint-germanos-patriarch-of.html

 

San Germano nacque a Costantinopoli attorno al 640, figlio del patrizio Giustiniano. All’età di vent’anni rimase orfano quando il padre fu giustiziato dall’Imperatore Costantino IV Pogonato in quanto considerato coinvolto nell’assassinio di suo padre, Costante II.

Dopo aver subito la castrazione, Germano entrò nel clero della Grande Chiesa. Servì con zelo studiando le sacre lettere, ne divenne un profondo conoscitore, e si distinse per la santità della sua vita e per la sua virtù. Dopo aver visitato Gerusalemme e aver visitato i luoghi sacri della Terrasanta, tornò a Costantinopoli e fu ordinato sacerdote. Nel 709 fu eletto dal Patriarca Ciro alla carica di Vescovo di Kyzikos. Da questa sua posizione elevate lotto strenuamente contro l’eresia dei monoteliti. Quando fu deposto il Patriarca Ciro e morì il suo successore Giovanni IV, fu scelto il 9 agosto 715 come nuovo Patriarca di Costantinopoli col plauso dell’Imperatore Anastasio.

Quando il Santo divenne Patriarca, dedicò tutta la propria forza spirituale e morale al ministero del suo gregge, insegnando loro e nutrendoli con sermoni ispirati.

Nel 718 aiutò Costantinopoli a salvarsi dagli invasori barbarici e, in seguito, fu cantato l’Inno Acatisto alla Theotokos per onorarla per aver salvato la Città.

Quando l’imperatore Leone III Isaurico ascese al trono, fece pressioni sul Patriarca Germano affinché lo aiutasse a far prevalere l’iconoclastia. Non soltanto si rifiutò, ma rimproverò Leone per le sue azioni empie e incoraggiò il popolo a resistere contro l’iconoclastia. Vedendo di non aver avuto successo, l’Imperatore Leone spinse il Santo ad abbandonare il suo trono. Quindi, il 6 gennaio 730, dopo aver post oil proprio omophorion sul Sacro Altare del palazzo, si ritirò nella sua casa paterna a Platani, dove visse in ascesi e compose inni fino al suo riposo nel 733.

Sebbene deposto ed anatemizzato nel 754 dallo pseudo-Concilio di Hierìa, fu scagionato ed elogiato nel 787 dal Settimo Concilio Ecumenico che condannò l’iconoclastia e ripristinò le sacre icone.

San Germano lasciò in eredità una straordinaria innografia assieme ad altri scritti, ma sfortunatamente la maggior parte delle sue opere furono bruciate da Leone III. Tra i suoi inni, si sono conservati 104 Stichera e 22 Canoni. Tra i suoi scritti sono i seguenti: a) “Delle Eresie e dei Concili”; b) “Tre Epistole Dogmatiche sugli Iconoclasti” (al Vescovo Giovanni di Synada, al Vescovo Costantino di Nakaleia ed al Vescovo Tommaso di Claudioupolis); c) “Otto Discorsi” (due sulla venerazione della Santa Croce – una per la Terza Domenica di Quaresima e una per il Sabato Santo -, altri due sull’Ingresso della Theotokos, tre per la Dormizione della Theotokos ed uno per l’Annunciazione della Theotokos); d) “Omelie” (all’inaugurazione della Chiesa della Theotokos e la sacra infanzia di Nostro Signore Gesù Cristo).

 

La Miracolosa Icona della Madre di Dio di Lydda o “Romana”

La miracolosa icona della Madre di Dio di Lydda o “Romana” è anche chiamata “Lidianca”, ad indicare i luoghi associati con la sacra icona.

Secondo la tradizione, gli Apostoli Pietro e Giovanni stavano predicando a Lydda (successivamente chiamata Diospolis), nei pressi di Gerusalemme. Lì edificarono una chiesa dedicate alla Santissima Theotokos, quindi andarono a Gerusalemme per chiederle di venire a santificare la chiesa con la sua presenza. Li rimandò a Lydda dicendo “Andate in pace, sarò lì con voi”.

Giungendo a Lydda, trovarono un’icona della Madre di Dio impressa a colori sul muro della chiesa (alcune fonti dicono che l’immagine si trovasse su un pilastro). Quindi apparve la Madre di Dio e gioì alla vista del numero di persone lì riunite. Benedisse l’icona e le conferì il potere di compiere miracoli. Quest’icona non fu fatta da mano umana, ma da una potenza divina.

Giuliano l’Apostata (regnante tra il 361 e il 363) udì dell’icona e tentò di cancellarla. Degli scalpellini scalfirono l’immagine con attrezzi affilati, ma il colore e le linee sembrarono penetrare più in profondità nella roccia. Quanti furono inviati dall’imperatore furono incapaci di distruggere l’icona. Quando si diffuse la voce su questo miracolo, giunsero milioni di persone a venerare l’icona.

Nel secolo VIII, San Germano, futuro Patriarca di Costantinopoli, passò da Lydda durante il suo pellegrinaggio in Terrasanta. Si fece fare una copia dell’icona e, sul retro dell’icona, un’icona di San Giorgio (che era di Lydda). Tenne quest’icona con sé durante il suo Patriarcato e, quando fu costretto ad abbandonare il trono, la portò con sé.

Verso la fine della propria vita, nel 733, inviò l’icona a Roma durante la controversia iconoclasta, assieme ad una lettera indirizzata a Papa Gregorio III, citando l’iconoclastia a motivo del regalo. Si dice che l’icona sia giunta a Roma da sola, in maniera miracolosa. Fu ricevuta dal Papa, la lettera fu letta, e l’icona fu posta nella Chiesa di San Pietro dove divenne fonte di molte guarigioni.

Durante il regno dell’Imperatore Michele III e di sua madre, Santa Teodora l’Augusta, che ripristinò le icone, quando Sergio II era Papa, nell’842 la riproduzione tornò a Costantinopoli, dove fu nota come l’Icona Romana. Ciò accadde nel seguente modo: l’icona si muoveva e si posizionava dritta da sola, principalmente durante il Mattutino ed il Vespro, a volte durante la Divina Liturgia. Una volta l’icona si librò sulle teste dei fedeli, come se retta da angeli, e lentamente lasciò la chiesa, giungendo a Costantinopoli il giorno dopo. Santa Teodora la pose nella Chiesa di Chalkoprateia. A quei tempi, i fedeli celebravano a sacra icona nota come “Romana” l’8 settembre.

L’icona rimase a Costantinopoli fino al XV secolo. Il 31 marzo 1401, l’Imperatore Giovanni VII Paleologo la inviò come dono al principe moldavo Alessandro il Buono, sigillando così la riconciliazione tra Patriarcato Ecumenico e Principato di Moldavia. L’icona fu posta inizialmente nella chiesa Mirăuți di Suceava; successivamente, il figlio di Alessandro il Buono, Stefano II, la donò al Monastero di Neamț.

Sebbene l’icona abbia attraversato varie avventure, ad un certo punto fu sepolto per proteggerla dai turchi e l’icona rimase in ottime condizioni.

L’icona porta anche il nome di “Proskynitria” o “la Venerata”, perché molte volte l’icona lasciò le mani dei vescovi o dei sacerdoti che la tenevano, librandosi nell’aria. Quindi, fu così soprannominata perché, quando ciò accadeva, le persone si inginocchiavano a venerarla.

Quest’icona si celebra il 26 giugno.