Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Il Beato padre Paisios l’Atonita nacque il 25 luglio 1924 da pii genitori, Prodromos ed Eulampia Enzepidis, a Farasa in Cappadocia, pochi giorni prima che i suoi abitanti abbandonassero la loro terra natale per rifugiari in Grecia. Al suo battesimo, sant’Arsenios di Cappadocia (10 novembre), il sacerdote dei Farasioti, pieno di giorni e di una vita santa, gli diede il nome di Arsenios.
La famiglia del piccolo Arsenio si stabilì a Konitsa, in Epiro; lì egli trascorse l’infanzia e la giovinezza. Nutrito dalle storie sulla meravigliosa vita di Sant’Arsenio, già all’età di 5 anni espresse il desiderio di diventare monaco. Una volta imparato a leggere, il suo passatempo preferito era la lettura delle vite dei santi, dei quali imitava le lotte ascetiche con fervente zelo.
Dopo aver completato l’istruzione obbligatoria, non volle continuare gli studi, ma preferì imitare Cristo e studiare l’arte della carpenteria, che praticava diligentemente e abilmente. Pian piano si accese sempre più la fiamma dell’amore di Dio e il desiderio della vita monastica.
Seguirono periodi di agitazione e disordini per la Grecia, a causa dell’occupazione straniera e della guerra civile. Tuttavia, il Beato, sia come cittadino che come soldato durante il servizio militare (1945 – 1949), mostrò coraggio e sacrificio senza pari. Era disposto a dare la sua vita in ogni momento per la salvezza degli altri. In effetti, spesso nel mezzo dei combattimenti gli capitava di salvare molti soldati con le sue ferventi preghiere, e lui stesso fu miracolosamente salvato.
Poiché sotto le armi per la maggior parte del tempo aveva espletato la funzione di operatore radio, molti si riferivano a lui come “La radio di Dio”. In effetti il Beato, ricordando il suo incarico nell’esercito come esempio, rispose a qualcuno che aveva messo in dubbio l’utilità della vita solitaria, che i monaci sono i “radiotelegrafisti di Dio”, alludendo alla loro fervida preghiera e alla loro preoccupazione per il resto dell’umanità.
Dopo questo periodo burrascoso, volle entrare a far parte dell’ordine angelico dei monaci. Quindi andò sul Monte Athos, alla ricerca di una guida per una vita di riposo in Dio. Tuttavia non riuscì a soddisfare immediatamente il suo desiderio. Allo stesso tempo, la sua famiglia si venne a trovare in una difficile situazione finanziaria, e richiese il suo aiuto. Così, tornato a Konitsa, trovò lavoro come falegname. Tuttavia, dopo 3 anni (nel 1953), all’età di 29 anni, lasciò le cose del mondo e tornò sull’Athos.
Dopo essere andato per eremi e capanne, alla fine seguì il consiglio di un venerabile anziano e si unì alla fraternità del Santo Monastero di Esfigmenos, allora noto per la sua regola rigorosa. Lì visse in completa obbedienza e si dedicò ad un’intensa ascesi, moltiplicando i suoi sforzi per amore di Cristo e dei suoi fratelli. Il 27 marzo 1954 fu tonsurato monaco, ricevendo il nome di Averkios. Tuttavia, avendo in lui il desiderio di una vita esicastica, con la benedizione dell’igumeno si trasferì al Santo Monastero di Filoteo, che seguiva allora una regola idiorritmica. Lì si preparò per la vita dell’eremita, sotto la guida di un monaco discreto e saggio, l’anziano Simeone. Il 12 marzo 1956 divenne monaco del piccolo schema e ricevette il nome di “Paisios”, in onore del metropolita di Cesarea Paisios II, che era suo connazionale.
Nell’agosto del ‘58, obbedendo alla divina volontà, abbandonò la vita eremitica, per la quale si stava preparando, e si stabilì nel Sacro Monastero della Panaghia tou Stomiou, vicino a Konitsa. Visse lì per 4 anni, vivendo una vita angelica, lottando contro le tentazioni, beneficiando il popolo della zona, salvando molti dagli insegnamenti dei missionari protestanti che vi operavano e rinnovando diligentemente il Monastero, caduto in rovina.
Nel 1962, quando i lavori di ristrutturazione furono completati e il pericolo dei gruppi eterodossi scomparve, il Beato prese a supplicare ardentemente Dio perché gli mostrasse la strada da seguire per vincere le tentazioni che lo tormentavano quotidianamente. Quindi accettò come un segno l’invito di uno ierodiacono ad accompagnarlo sul Monte Sinai. In quel luogo arido e secco, nella cella dei santi Galaktionos ed Epistimis, alla fine visse al modo che aveva tanto desiderato, una vita eremitica, in solitudine davanti a Dio.
Lottando con molta umiltà, costante digiuno, continua vigilanza e incessante preghiera, riuscì a superare le trappole del nemico e godere dell’unione con Dio. Pieno della grazia della preghiera, godeva della gioia divina nella fornace del deserto. Diventò anche molto popolare tra i beduini, dando loro cibo e denaro ottenuto dalla vendita ai pellegrini di croci di legno che lui stesso aveva fabbricato.
Non ci sarebbe stato motivo per lui di abbandonare quella palestra di virtù se la malattia fisica non fosse stata esacerbata dal clima rigido, che lo costrinse a tornare in patria. Ritornato sul Monte Athos nel 1964, non ridusse le sue lotte ascetiche, nonostante le sofferenze del corpo, poiché nello spirito aveva mantenuto il suo precedente fervore. Così, vivendo come uno straniero sulla terra, divenne un cittadino del cielo.
Avendo la pratica come via di accesso alla contemplazione, raggiunse livelli elevati di comunicazione ai misteri divini. Si abbandonò così alla bellezza del Signore, mentre riceveva anche la benedizione della Madre di Dio. Parlava con i santi che apparivano davanti a lui, ebbe la visione del suo Angelo Custode, ascoltava inni angelici e fu illuminato dalla luce celeste.
Nel 1966 si ammalò gravemente e fu ricoverato nel Centro per le malattie pneumologiche della Grecia settentrionale. Subì un intervento chirurgico ai polmoni. Nel frattempo, fino a quando non si riprese e tornò sul Monte Athos, fu ospitato nel Santo Eremo di San Giovanni Evangelista a Sourotì. Ritornò sul Monte Athos dopo il suo recupero e nel 1967 si trasferì a Katounakia e in particolare nella cella Lavreotiko di Ypati (Vlachika).
Il 12 agosto 1968 San Paisios, entrò nel Santo Monastero di Stavronikita e si ritirò nella cella della Santa Croce.
Nel 1979 lasciò la Santa Croce e, cercando un nuovo kellion, si stabilì nella “Panagouda” abbandonata. Lì il Beato lavorò duramente per ricostruire il luogo dove sarebbe rimasto fino alla fine della sua vita. Dal momento in cui si stabilì a Panagouda, molte persone presero a visitarlo. La folla era così numerosa che furono messi dei segnali per indicare la sua cella, in modo che i visitatori non disturbassero gli altri monaci. Riceveva anche molte lettere. Come diceva il Beato, era molto addolorato, perché dalle lettere apprendeva notizie su divorzi, malattie mentali e fisiche. Nonostante il suo intenso programma, continuava la sua intensa vita ascetica, così da riposare poco, 2-3 ore al giorno. Ma continuava ad accettare e cercare di aiutare i visitatori. Prese anche a creare delle icone “stampate”, che dava ai visitatori come una benedizione.
A tutta questa fatica quotidiana di San Paisio si aggiunsero i problemi di salute. Negli ultimi anni della sua vita era afflitto dal dolore per la colite, per un’ernia inguinale e per il cancro che gli era stato diagnosticato. Tuttavia, era calmo e paziente, non si lamentava mai, e continuava a pregare per tutti.
Dopo il 1993 cominciarono delle emorragie. Nel novembre dello stesso anno lasciò il Monte Athos per l’ultima volta e andò a Sourotì, all’Eremo di San Giovanni il Teologo per la festa di Sant’Arsenio, il 10 novembre. Rimase lì per alcuni giorni e, mentre si preparava a partire, si ammalò e fu portato a Theageneio, dove gli fu diagnosticato un tumore all’intestino crasso. Considerava il cancro un esaudimento della sua richiesta a Dio, a beneficio della sua salute spirituale. Il 4 febbraio 1994 subì un intervento chirurgico. Sebbene la malattia non fosse stata debellata, perché metastatizzata ai polmoni e al fegato, il Beato annunciò il suo desiderio di tornare sul Monte Athos il 13 giugno. Tuttavia, la febbre alta e le difficoltà respiratorie gli impedirono di partire.
Alla fine di giugno, i medici gli riferirono che la sua aspettativa di vita era al massimo di due – tre settimane. Lunedì 11 luglio (festa di Sant’Eufemia megalomartire), si inginocchiò per l’ultima volta davanti al suo letto. Negli ultimi giorni di vita decise di non assumere farmaci o antidolorifici, nonostante i terribili dolori della malattia. Si addormentò nel Signore martedì 12 luglio 1994 alle 11 e fu sepolto nel Santo Eremo di San Giovanni il Teologo di Sourotì, nei pressi di Salonicco.
Il 13 gennaio 2015, il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli ha deciso all’unanimità di aggiungere San Paisio del Monte Athos nell’elenco dei Santi della Chiesa Ortodossa.
[tratto da www.saints.gr]
- 12.07: Santa Eufemia in visita a San Paisio
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Un giorno Padre Paisio stava attraversando un periodo molto difficile. Un problema era stato creato nella Chiesa in quel momento e molti vescovi erano andati da lui per chiedere il suo aiuto. Tuttavia, si trattava di un problema molto complicato e, anche se lo volesse, non era in grado di risolverlo; come ha detto, non importa da che parte si guarda al problema, ti ritroverai faccia a faccia con un’impasse spirituale. Così, ha deciso di rivolgere i suoi sforzi per risolvere il problema con la preghiera. Durante quel periodo, padre Paisio costantemente ha pregato Dio affinché gli desse la soluzione al problema della Chiesa; ha pregato in particolare a S. Eufemia: “Santa Eufemia, tu che miracolosamente hai risolto il grave problema che la Chiesa stava affrontando, porta la Chiesa fuori dalla attuale situazione di stallo! ”
Una mattina, alle nove, mentre padre Paisio leggeva il servizio della terza ora, ha improvvisamente sentito qualcuno bussare con discrezione alla sua porta. L’Anziano chiese dall’interno:
“Chi è?” Poi, ha sentito la risposta di una voce femminile:
“Sono io, Eufemia, padre.”
“Quale Eufemia?” Chiese di nuovo. Non ci fu risposta. Ci fu un altro colpo alla porta e chiese di nuovo. “Chi è?” La stessa voce è stata sentita dire:
“Sono Eufemia, padre.”
Ci fu un terzo colpo e l’Anziano sentì qualcuno venire dentro la sua cella e camminare attraverso il corridoio. Andò alla porta e vide Sant’Eufemia, che era miracolosamente entrata nella sua cella attraverso la porta chiusa e stava venerando l’icona della Santissima Trinità, che l’Anziano aveva posto sulla parete del corridoio, sul lato destro della porta della chiesa. Poi egli disse alla Santa: “Di’:. Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo” Sant’Eufemia chiaramente ripeté quelle parole e subito Padre Paisio si inginocchiò venerandoLa. In seguito, si sono seduti e hanno parlato per un bel po’; non riusciva a specificare per quanto tempo, poiché aveva perso il senso del tempo mentre stava con Santa Eufemia. Ella diede la soluzione per tutte e tre le questioni per cui aveva pregato e, alla fine, le disse: “Vorrei che tu mi dica come hai sopportato il tuo martirio”.
La Santa rispose: “Padre, se avessi saputo allora come sarebbe stata la vita eterna e la bellezza celeste, le anime godono nell’essere presso Dio, io onestamente avrei chiesto che il mio martirio durasse per sempre, tanto è assolutamente niente in confronto ai doni della grazia di Dio! ”
Verso la fine di giugno, i medici informarono l’Anziano Paisio che aveva circa 2-3 settimane. Lunedi 11 luglio il giorno di Santa Eufemia, Padre Paisio ricevette la Santa Comunione per l’ultima volta, in ginocchio davanti al suo letto. Nel corso delle ultime 24 ore, era molto sereno, e anche se soffriva, non si lamentava affatto. Egli non volle ricevere nessun tipo di trattamento medico. L’unica medicina che accettò fu il cortisone, perché, secondo i medici, non avrebbe prolungato la durata della sua vita, ma serviva solo a dargli un po’ di forza. Martedì, 12 luglio l’Anziano Paisio umilmente e pacificamente rese l’anima a Dio, che aveva profondamente amato e servito dalla sua prima infanzia.
- 12.07: Memoria dei Santi Proclo e Ilario, martiri
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Questi martiri hanno testimoniato ad Ancyra nel 106, durante il regno dell’imperatore Traiano. San Proclo fu imprigionato in quanto cristiano e, confessando la sua fede, venne bruciato sui fianchi e sul ventre, fu appeso a una trave con pietre pesanti legate ai piedi, e infine fu condotto via per essere finito con frecce. Mentre veniva portato via, suo nipote Ilario lo incontrò e lo salutò, e fu lui stesso arrestato. Dopo che suo zio venne ucciso con le frecce, Ilario, poiché non voleva rinnegare Cristo, fu torturato, poi decapitato.
- 12.07: memoria del nostro padre tra i santi Gaudioso
Archimandrita Antonio Scordino
Vescovo di Abitene in Africa, Settimio Celsio Gaudioso fu espulso dagli empi ariani, al tempo di Genserico re dei Vandali. Raggiunta Napoli, vi fondò un monastero in località detta Caponapoli.