27.07: memoria del santo e grande martire PANTELEIMON, e del cieco che, guarito da lui, morì di spada

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il 27 luglio, celebriamo la memoria del santo e grande martire PANTELEIMON, e del cieco che, guarito da lui, morì di spada.

 

Il santo e glorioso martire di Cristo Pantaleimon nacque a Nicomedia da un senatore pagano, Eustorgio, e da una cristiana, Eubalia, che gli diede il nome di Pantaleo. Affidato ad un illustre medico, Eufrosino, per la sua educazione, egli arrivò ben presto ad una perfetta conoscenza dell’arte medica, al punto che l’imperatore Massimiano avendo notato la sia qualità, progettava di prenderlo a palazzo come medico personale. Siccome il giovane passava quotidianamente avanti alla casa dove era nascosto San Ermolao (26 luglio), il santo prete, intuendo dalla sua andatura la qualità della sua anima, l’invitò un giorno ad entrare e si mise a spiegargli che la scienza medica non può procurare che un ben flebile sollievo alla nostra natura sofferente e soggetta alla morte, e che solo il Cristo, unico vero Medico, è venuto a portarci la Salute, senza rimedi e gratuitamente. Con il cuore esultante di gioia all’ascolto di queste parole, il giovane Pantaleo cominciò a frequentare regolarmente San Ermolao e fu istruito da lui nel grande Mistero della fede. Un giorno, di ritorno da Eufrosino, trovò sul cammino un bambino morto dopo essere stato morso da una vipera. Ritenendo che fosse venuto il momento di provare la veridicità delle promesse di Ermolao, invocò il Nome di Cristo e, subito il bambino si alzò e il rettile morì. Egli allora corse presso Ermolao e, pieno di gioia, chiese al più presto di ricevere il Santo Battesimo. Rimase successivamente vicino al santo anziano per gioire dei suoi insegnamenti ancora una settimana, ma rientrando a casa a suo padre adirato disse di essere rimasto a palazzo, occupato con la cura di un ammalato caro all’imperatore. Per tenere ancora segreta la notizia della sua conversione, egli non mostrava grande sollecitudine nel convincere Eustorgio sulla vanità del culto degli dei, finché non andò a casa sua un cieco che lo supplicò di guarirlo, avendo egli invano dilapidato tutti i suoi averi consultando numerosi altri medici. Confidando in Cristo, che dimorava ormai in lui fortemente, il giovane assicurò alla presenza di suo padre stupito, che lo avrebbe guarito per la grazia del suo Maestro. Egli segnò con il segno della croce gli occhi del cieco, invocando il Nome di Cristo, e subito l’uomo ritrovò l’uso della vista, non solamente quella degli occhi corporali, ma anche quella degli occhi spirituali e riconobbe che la potenza del Cristo lo aveva guarito. L’uomo fu successivamente battezzato da San Ermolao, in compagnia di Eustorgio, padre di Pantaleo che non tardò ad addormentarsi in pace. Alla more paterna il santo distribuì la sua eredità ai poveri, liberò i suoi schiavi, e si dedicò con uno zelo raddoppiato alla cura dei malati, ai quali non chiedeva altro come onorario, che di credere in Cristo, venuto sulla terra per guarire gli uomini da tutte le loro malattie, nel frattempo gli altri medici di Nicomedia cominciarono a nutrire nei confronti del santo sentimenti di gelosia e, poiché il cieco guarito era cristiano, torturato per ordine dell’imperatore, essi colsero l’occasione per denunciarlo a Massimiano. L’imperatore ascoltò con grande tristezza le accuse contro il suo protetto e fece convocare l’ex cieco chiedendogli spiegazioni circa il modo con cui Pantaleo gli aveva ridato la vista. Quando, allo stesso modo del cieco del Vangelo, l’uomo rispose che il santo medico lo aveva guarito invocando il Nome di cristo, e che questo miracolo gli aveva procurato la vera vista, quella della fede, furioso l’imperatore lo fece immediatamente decapitare e inviò i suoi uomini a cercare Pantaleo. Allorché il santo gli fu davanti, lo accusò di aver tradito la sua fiducia e cosa ancor più grave di recare offesa ad Esculapio ed alle altre divinità con la sia fede in Cristo, che altro non era se non un essere umano morto crocifisso. Il santo gli rispose che la fede e la pietà verso il vero Dio erano superiori a tutte le ricchezze e gli onori di questo mondo di vanità, e per avvalorare le sue parole propose a Massimiano di metterlo alla prova. Così fece portare a palazzo un paralitico, i sacerdoti pagani fecero in un primo tempo i loro incantesimi, accompagnati dalle burle del santo ma, non sortendo i loro sforzi effetto, Pantaleo alzò verso Dio la sua preghiera e prendendo il paralitico per mano, lo fece sollevare nel nome di Cristo. Numerosi pagani, vedendo l’uomo, esaltanti di gioia accorsero verso la verità, tanto che i sacerdoti pagani pressarono l’imperatore per mettere a morte il pericoloso rivale.

Quando Massimiano gli ricordò le torture inflitte qualche tempo prima a San Antimo (3 sett.), Pantaleo replicò che se un anziano aveva mostrato un tale coraggio, a più forte ragione, i giovani dovevano mostrarsi valorosi nella prova. Poiché né adulazioni né minacce riuscivano a convincerlo, il tiranno lo mandò alla tortura. Ordinato di attaccarlo ad un palo, pur lacerandogli i fianchi con punte di ferro, diressero poi delle torce infiammate sulle piaghe. Ma il Cristo apparve al santo martire sotto le spoglie di San Ermolao suo padre spirituale e gli disse: << Non temere niente, mio caro ragazzo, poiché io sono con te, e ti soccorrerò in tutto ciò che tu soffrirai per me >>. Immediatamente le torce si spensero e le pieghe del santo si trovarono guarite. Fu allora immerso nel piombo fuso e gettato in mare legato ad una pesante pietra, ma in tutte le prove, il Signore lo accompagnava, e lo lasciava indenne. Quando l’imperatore ordinò di darlo in pasto alle fiere, anche l’ il Cristo lo protesse e le belve andarono ad accucciarsi ai suoi piedi leccandoglieli teneramente alla stregua di animali domestici. Restando per quanto lo riguardava, più selvaggio degli animali privi di ragione, il tiranno ordinò di legare il santo ad una ruota guarnita di lame affilate e facendo rotolare dall’alto alla presenza di tutta la città. Di nuovo il Signore intervenne miracolosamente: Egli liberò il fedele servitore dalle corde che lo legavano e la ruota travolse al suo passaggio un gran numero di infedeli. Quando Massimiano gli chiese da chi ottenesse questa potenza e come avesse fatto ad arrivare la fede cristiana, Pantaleo indicò dove si nascondeva Ermolao, poiché Dio gli aveva rivelato che il tempo era arrivato per lui ed il suo maestro, e di raggiungere la perfezione nel martirio. Dopo la gloriosa morte di San Ermolao e dei suoi compagni, il tiranno fece di nuovo chiamare Pantaleo, e, dicendo che i martiri si erano sottomessi tentò di convincerlo a sacrificare agli idoli, per tutta risposta il santo chiese di vederli. Quando il sovrano gli rispose che li aveva inviati in un’altra città, Pantaleo replicò: << Tu hai detto la verità malgrado tutto, e bugiardo, poiché essi sono già nella Gerusalemme celeste >>. Constatando che non poteva vincere la sua risoluzione, Massimiano ordinò allora di decapitare e gettare il suo corpo nel fuoco. Il santo andò con allegria sul luogo dell’esecuzione, fuori città, ma nel momento in cui il carnefice brandiva la sua spada, questa si fuse come la cera sotto l’azione del fuoco. Dinnanzi all’ennesimo miracolo, i soldati presenti confessarono il Nome di Cristo ma Pantaleo li esortò tuttavia a compiere il loro dovere ed elevò un’ultima preghiera a Dio. Allora si udì una voce celeste dirgli: << Servitore fedele, il tuo desiderio deve essere immediatamente esaudito, le porte del cielo sono aperte, la tua corona è preparata e tu sarai d’ora in poi il rifugio dei disperati, il soccorso dei provati, il medico dei malati e il terrore dei demoni; è per questo che il tuo nome non sarà più Pantaleo ma Pantaleimon (che significa molto misericordioso). Quando egli piegò la sua nuca e la sua testa cadde di spada, del latte colò dal suo collo, il corpo divenne bianco come la neve e l’olivo inaridito al quale era stato legato rinverdì improvvisamente donando frutti in abbondanza. I soldati a cui era stato dato l’ordina di dare fuoco alle spoglie del santo, lo diedero invece ai cristiani che lo seppellirono nelle proprietà di Amantio lo Scolastico, andando a proclamare la buona novella in altri luoghi. E da quel momento le reliquie di San Pantaleimon non cessano di procurare la guarigione e la grazia di Cristo, il solo vero Medico delle anime e dei corpi, a tutti coloro che si rivolgono con devozione.

 

 

  • 27.07: Memoria della beata Antusa di Mantineo

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

La beata Antusa visse negli anni dell’imperatore Costantino Copronimo (741-775). I suoi genitori, Stratighios e Febronia, si distinguevano per la loro pietà religiosa e con questi valori educarono la figlia. Antusa, nonostante tutte le proposte di matrimonio che aveva ricevuto, aveva preferito la verginità. Quando i suoi genitori morirono, non cambiò la decisione presa, utilizzando le proprietà paterne che aveva ereditato per la carità e per scopi santi. Antusa provvide alla costruzione di due monasteri: quello di Mantineo. con una chiesa dedicata a Sant’Anna e quello dei Santi Apostoli, utilizzato come monastero femminile. Quando l’imperatore Costantino Copronimo ordinò la feroce persecuzione contro le icone sacre e i loro sostenitori, il monastero della beata Antusa si distinse come uno dei centri più ardenti di difesa dell’ortodossia. Ecco perché la beata fu torturata all’inizio della persecuzione. Ma quando predisse che la regina malata sarebbe sfuggita alla morte e avrebbe dato alla luce due gemelli, ricevette amore, e aiuti di vario tipo per il monastero. La beata Antusa in seguito visse indisturbata, e morì in pace.