• Memoria dei VENTISEI MONACI e MARTIRI di Zografu bruciati vivi nella torre del monastero dai latinofroni

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Nel 1274, a Lione, l’imperatore Michele VIII Paleologo fece firmare un atto d’unione della Chiesa Ortodossa con la Chiesa Cattolica Romana, non basandosi sull’amore per la verità ma solo per assicurarsi il sostegno politico del Papato nella sua politica di ricostituzione dell’impero bizantino dopo l’occupazione latina. Il popolo teoforo deciso a restare fedele fino al sangue alla santa fede ortodossa, non accettò questa falsa unione e si riunì attorno al patriarca Arsenio, che fu deposto per aver resistito allo imperatore. Costui con l’aiuto di Giovanni XI Bekkos, uomo sapiente e furbo, che egli aveva elevato alla dignità patriarcale, volle far accettare questa unione con la forza. Da allora le prigioni rigurgitarono di preti, monaci, laici e povera gente e nobili, che preferivano le torture piuttosto che la benedizione al tradimento. I latinofroni (così erano chiamati i partigiani dell’unione) diressero particolarmente le loro azioni contro i monaci che da ogni tempo sono stati i guardiani della santa fede ortodossa. Essi andarono con forti truppe nella Santa Montagna dell’Athos per convincere i monaci ad accettare l’unione. A quell’epoca c’era un anziano che praticava l’ascesi in prossimità del monastero di Zografu e che aveva per regola di recitare più volte al giorno l’Acathisto alla Madre di Dio. Quel giorno, allorché gli uomini dell’imperatore si avvicinavano a Zografu, egli sentì la voce della Madre di Dio rispondere ai saluti che Le indirizzava come di abitudine. Ella gli annunciò che i nemici si avvicinavano e gli chiese di andare ad annunciarlo al monastero, affinché quelli che erano deboli potessero fuggire e quelli che erano arrivati a maturità potessero prepararsi al martirio. A questa notizia, la maggior parte dei monaci fuggì nella montagna, ma ventisei tra essi si rifugiarono nella torre del monastero, avendo ricevuto da Dio la garanzia che il momento era arrivato per riportare la corona del martirio. Le adulazioni e i sofismi dei nemici e dei loro alleati greci per convincerli a rallegrarsi dell’unione ipocrita, furono senza successo, i santi restarono fermi nella confessione del Cristo come solo capo della Chiesa. E fu rendendo gloria a Lui che essi morirono nella torre, alla quale i soldati avevano dato fuoco.

  • Memoria del del santo ieromatire FOCÀ il Taumaturgo3722

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

San Focà nacque nella città di Sinope, sulle rive del Mar Nero, da padre di nome Panfilio, costruttore di battelli e madre di nome Maria. Dopo che fu tirato dalle grinfie dell’orrore pagano, Dio gli accordò, fino alla morte, la grazia di compiere miracoli. Egli divenne in seguito vescovo di Sinope e condusse, con le sue parole ispirate ed i suoi miracoli, numerosi pagani alla vera fede. Dio gli rivelò in maniera tutta speciale che il momento di affrontare il martirio per lui era arrivato. Una colomba andò un giorno a posarsi sulla sua testa, depositando una corona e indirizzandogli la parola con voce umana: << Un calice è stato preparato per te, tu devi subito berne >>. Egli comparve allora avanti al governatore Africano e confessò con audacia il Cristo vero Dio e vero uomo. Poiché Africano aveva blasfemato il Nome di Cristo e fatto torturare il santo, si ebbe un terribile terremoto che colpì a morte subito il governatore ed i suoi soldati. Ma alla domanda della donna del governatore, il santo, misericordioso a immagine del suo Creatore, lo risuscitò con la sua preghiera. Egli fu condotto dall’imperatore Traiano (101) che lo fece scuoiare e poi gettare in un bagno bollente, dove il santo rimise la sua anima a Dio. Dopo la morte, Focà fece ancora numerosi miracoli per coloro che invocavano con fede il suo soccorso.

*Egualmente commemorato il 23 luglio