10 marzo- Memoria del santo martire Quadrato a Corinto con i suoi compagni; della beata madre nostra Anastasia la patrizia (VI sec.)
Sinassario
Il 10 di questo mese memoria del santo martire Quadrato a Corinto con i suoi compagni Anecto, Paolo, Dionigi, Cipriano e Crescente.
Stichi. Lavando il culto degli empi, o Quadrato, dilaniato con violenza, ti lavi nel tuo sangue. Il giorno dieci la spada uccise il venerabilissimo Quadrato. La spada uccise Anecto con due amici che non potevano sopportare di non morire per il divino amore. Vedendo Crescente ucciso dalla spada, Cipriano accorse, bramando di morire con lui.
Lo stesso giorno memoria della venerabilissima nostra madre Anastasia, la patrizia.
Stichi. Lasciando tutte le cose di quaggiù, la patrizia signoreggia nei cieli.
Lo stesso giorno memoria di san Marciano, ucciso a bastonate.
Stichi. Mentre ti bastonavano, stupivano gli uomini e in verità ti dico, o Marciano, anche gli angeli.
Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn.
- 03: Memoria di San Simplicio papa e patriarca di Roma dal 468 al 483 – Testimone della fede contro l’eresia del monofisismo
Nato a Tivoli, fu papa in un periodo tormentato della storia dell’Occidente che vide la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando il barbaro Odoacre nel 476 depose l’ultimo imperatore Romolo Augustolo. Contemporaneamente la Chiesa d’Oriente era travagliata dalle conseguenze dell’eresia monofisita, la quale sosteneva che in Cristo ci fosse unicamente la natura divina. Si hanno poche informazioni su Simplicio: prese netta posizione contro l’eresia anche nei confronti dell’imperatore d’Oriente Zenone, stabilì turni di presbiteri nelle principali basiliche cimiteriali e non soltanto restaurò e dedicò chiese a Roma ma, rispettoso della vera arte, salvò dalla distruzione i mosaici pagani della Chiesa di S. Andrea.
Martirologio Romano: A Roma presso san Pietro, san Simplicio, papa, che, al tempo delle invasioni dell’Italia e dell’Urbe da parte dei barbari, confortò gli afflitti, incoraggiò l’unità della Chiesa e rinsaldò la fede.
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http://www.santiebeati.it/dettaglio/43650
- Simplicio, nativo di Tivoli, esercitò il ministero pontificio dal 468 al 483, in un periodo tormentato sia per la vita della Chiesa che per quella dello Stato. Com’è noto, Odoacre, poiché non venivano soddisfatte le richieste di terre da coltivare avanzate dai suoi Eruli, troncò ogni indugio: tolto di mezzo Oreste, ne depose il figlio Romolo Augustolo, ultimo rappresentante imperiale, che relegò in una villa napoletana con una rendita annuale di 6.000 libbre d’oro, e rinviò le insegne imperiali all’imperatore d’Oriente, Zenone.
Neppure questi d’altra parte aveva una vita tranquilla, poichè proprio nel 475-476 dovette fronteggiare la rivolta di Basilisco: riuscì ad averne ragione solo con l’aiuto di Teodorico, re degli Ostrogoti, che poi spodestò anche Odoacre. Questa serie di avvicendamento non restava senza conseguenze anche per la vita della Chiesa sia in Occidente che in Oriente. Odoacre, infatti, e anche Teodorico erano seguaci dell’eresia ariana, mentre Basilisco si appoggiava nella sua rivolta particolarmente sui seguaci dell’eresia monofisita.
Il monofisismo era stato suscitato da Dioscoro, patriarca di Alessandria d’Egitto, e soprattutto dal monaco Eutiche: la sua tesi centrale, che le dava anche il nome, era che in Cristo vi è una sola natura, quella divina. Nonostante l’importante ed energico intervento di S. Leone Magno, l’eresia trionfò in occasione del cosiddetto “latrocinio di Efeso”, ma due anni dopo la dottrina ortodossa venne affermata con chiarezza nel concilio di Calcedonia, che assunse come articolo di fede il documento di S. Leone Magno.. La controversia sul monofisismo andò avanti ancora per qualche tempo: ne fu responsabile anche l’imperatore Zenone che nel 482 tentò un impossibile compromesso con il suo Henoticon, contro il quale papa Simplicio prese netta posizione.
Oltre a questa difesa della dottrina cristiana genuina, S. Simplicio si rese benemerito per aver restaurato e dedicato alcune chiese romane come S. Stefano Rotondo e S. Bibiana, e, mostrandosi rispettoso di ogni valida arte, fu lui ad ordinare che venissero salvati dalla distruzione i mosaici pagani della chiesa di S. Andrea. Le sue reliquie si venerano a Tivoli.
Consultare anche
SIMPLICIO, santo
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http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-simplicio_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/
- 03: Memoria di Santa Patrizia di Costantinopoli asceta a Napoli
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http://www.santiebeati.it/dettaglio/90253
Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che Patrizia, discendente dell’imperatore Costantino, fuggì da Costantinopoli per evitare un matrimonio imposto. Dopo aver deciso di andare in pellegrinaggio in Terra Santa, fece naufragio presso l’isoletta di Megaride, oggi Castel dell’Ovo a Napoli, dove morì poco tempo dopo. Il suo corpo venne custodito presso il monastero dei SS. Nicandro e Marciano fino al 1864, quando fu traslato nella chiesa annessa al monastero di San Gregorio Armeno, nell’omonima via napoletana. Inserita dal 1625 tra i compatroni di Napoli, è molto amata dalla popolazione della città, che la venera tradizionalmente al martedì, oltre che nel giorno della sua festa.
Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che fosse una discendente del grande imperatore Costantino, nata a Costantinopoli. Educata a corte dalla nutrice Aglaia, emise i voti di verginità in giovane età e, per rimanere fedele a quel proposito, fuggì dalla città perché l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le aveva imposto il matrimonio.
Arrivò a Roma insieme ad Aglaia e altre ancelle e, recatasi da papa Liberio, ricevette il velo verginale. Morto il padre, Patrizia ritornò a Costantinopoli: rinunciò a ogni pretesa sulla corona imperiale, distribuì i suoi beni ai poveri e andò in pellegrinaggio verso la Terra Santa. Ma una terribile tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli, precisamente sull’isoletta di Megaride (oggi Castel dell’Ovo). Nel piccolo eremo che vi sorgeva, morì dopo una brevissima malattia.
I funerali, per celeste rivelazione alla nutrice Aglaia, si tennero in modo solenne, con la partecipazione del vescovo, del duca della città e di tanta gente. Il carro col suo corpo, tirato da due torelli senza guida, si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dei padri Basiliani, dedicato ai SS. Nicandro e Marciano: in quel luogo, Patrizia aveva profetizzato tempo addietro che sarebbe stata sepolta. I resti rimasero là, insieme alle compagne che l’avevano seguita e che da lei si chiamarono Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Il monastero, trasferiti i monaci in quello di San Sebastiano, fu tenuto dalle suore e sotto la regola benedettina ebbe secoli di vita gloriosa. A causa degli eventi storici e politici, nel 1864 le spoglie furono traslate nel monastero di San Gregorio Armeno: rivestite di cera, sono contenute in un’urna pregiata d’oro e d’argento ornata di gemme, posta alla venerazione dei fedeli in una cappella della navata destra della monumentale chiesa del monastero. Il suo culto è portato avanti dalle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, venute a risiedere nel monastero dopo l’estinzione delle Patriziane.
La popolazione è sempre accorsa numerosa a venerarla, assistendo stupefatta ai prodigi della liquefazione del sangue e a quello della manna. La manna fu vista trasudare dal sepolcro, come nel caso di altri santi: in particolare, una grande effusione si ebbe il 13 settembre di un anno fra il 1198 e il 1214. Il sangue, invece, sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente che un cavaliere romano, per devozione esagerata, aveva strappato al corpo della santa, morta da qualche secolo.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario di notevole pregio. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere, si scioglie lungo le pareti dell’ampolla. Questo miracolo è meno conosciuto dell’altra liquefazione che pure avviene a Napoli, cioè quella di san Gennaro, patrono principale della città.
Santa Patrizia è dal 1625 una dei 51 compatroni di Napoli. La sua festa cade il 25 agosto, mentre il martedì è il giorno della settimana che devozionalmente le è collegato.
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http://www.vesuviolive.it/vesuvio-e-dintorni/notizie-di-napoli/107303-santa-patrizia-patrona-napoli-san-gennaro-compie-miracolo/
Santa Patrizia di Costantinopoli è la compatrona di Napoli che viene festeggiata ogni 25 agosto. L’esistenza della Santa, nipote di Costantino il Grande, fu breve. Ella nacque a Costantinopoli nel 350 d.C. e fin da giovane fece voto di verginità. Purtroppo la sua famiglia le impose il matrimonio, ma per non infrangere il suo voto Patrizia, accompagnata dalla sua nutrice Aglaia, fuggì a Roma dove Papa Liberio la diede ufficialmente in sposa a Cristo.
Quando morì il padre la giovane fece ritorno in patria, e decise di donare ogni bene ai poveri rinunciando così alle ricchezze imperiali. Patrizia decise poi di partire per la Terra Santa, ma durante il viaggio si scatenò una tempesta tanto violenta che la nave su cui viaggiava fu costretta a trovare rifugio a Napoli. La giovane trovò ospitalità presso il Monastero dei Monaci Basiliani, tuttavia morì dopo qualche mese a seguito di una malattia.
Per volontà di Patrizia il suo corpo venne sepolto nel Monastero di San Nicandro e Marciano dove Aglaia e altre donne che la seguirono anche dopo la morte divennero Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Patrizia venne successivamente proclamata Santa e la chiesa situata in vico Armanni venne ben presto riconosciuta dal popolo come la chiesa di Santa Patrizia. Nel 1864 il convento delle Patriziane venne chiuso e le monache, i resti della Santa e il sangue sacro vennero trasferiti nel monastero di San Gregorio Armeno, dove tutt’oggi le Suore Crocifisse adoratrici dell’eucarestia custodiscono un’urna d’oro e d’argento ornata di preziose gemme, che conserva le spoglie rivestite in cera di Santa Patrizia.
Una leggenda narra che un cavaliere romano per devozione strappò un molare alla Santa morta da qualche secolo che sanguinò come se fosse ancora in vita. Quel sangue venne conservato in due ampolle ed ogni 25 agosto, così come ogni martedì, proprio come quello di San Gennaro anche per il sangue di Santa Patrizia dal secolo XVII avviene il prodigio della liquefazione.
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/patriziadicostantinopoli.htm
Santa Patrizia è una discendente dell’imperatore Costantino. Nacque a Costantinopoli e fu educata a corte dalla nutrice Aglaia.
In giovane età, emise i voti di verginità e per poterli mantenere dovette fuggire dalla città, in quanto l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le voleva imporre il matrimonio.
Insieme a Agliaia e altre ancelle giunse a Roma, dove ricevette da papa Liberio il velo verginale.
Patrizia ritornò poi a Costantinopoli, rinunciando ad ogni pretesa sulla corona imperiale. Distribuì i suoi beni ai poveri e partì in pellegrinaggio verso la Terra Santa.
Una terribile tempesta la fece però naufragare sulle coste di Napoli e più precisamente sull’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo), dove dopo brevissima malattia muore.
La nutrice Aglaia fece fare i funerali in forma solenne e vi parteciparono il vescovo, il duca di Napoli e molte persone.
Il carro tirato da due torelli senza guida si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dedicato ai ss. Nicandro e Marciano e retto dai Padri basiliani.
Qui Patrizia fece tappa nel precedente viaggio a Roma e lo indicò come il luogo dove avverrà la sua sepoltura.
E così avvenne e rimasero le sue consorelle che l’avevano seguita e che da lei si chiameranno Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Trasferitosi i monaci basiliani nel monastero di san Sebastiano, qeullo di Caponapoli rimase alle suore, sotto la regola benedettina.
Nel 1864 le spoglie di Santa Patrizia furono traslate nel monastero di san Gregorio Armeno, rivestite di cera, sono conservate in un’urna d’oro e d’argento ornata di gemme, nella cappella laterale della monumentale chiesa del monastero.
S. Patrizia è compatrona di Napoli ed è nota anche per il prodigio della liquefazione del sangue e della manna.
La manna fu vista trasudare dal sepolcro il 13 settembre di un anno non ben precisato tra il 1198 e il 1214.
Il sangue invece sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente strappato da un cavaliere romano in um momento di devozione esagerata.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere si scioglie lungo le pareti dell’ampolla.
- 03: Memoria di Sant’Attala originario della Borgogna, successore di San Colombano come igumeno prima del monastero di Luxeuil e poi di Bobbio in Lombardia (verso il 626 o 627)
Martirologio Romano: Nel monastero di Bobbio in Emilia, sant’Attala, abate, che, cultore di vita cenobitica, si ritirò dapprima nel monastero di Lérins e poi in quello di Luxeuil, nel quale succedette a san Colombano, distinguendosi in particolare per lo zelo e la virtù del discernimento.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/44380
Sant’Attala era originario della Borgogna, ove nacque da una nobile famiglia. Per una sua conveniente educazione venne affidato ad Aredio, vescovo di Gap, città del Delfinato. Desiderando però uno stile di vita più rigido, Attala fuggì e per qualche tempo si rifugiò nel monastero di Lérins. Anche questa sistemazione però non lo soddisfece e decise dunque di trasferirsi a Luxeuil, il monastero fondato da San Colombano: qui poté finalmente trovare l’austerità tanto desiderata e porsi sotto la guida del grande santo irlandese. Quando Colombano venne bandito dalla Francia per aver rinfacciato i vizi del re Teodorico d’Austrasia, portò con sé in Lombardia alcuni compagni, tra i quali proprio Attala. Si stabilirono a Bobbio, su un terreno donato dal re longobardo Agilulfo, marito della celebre Teodolinda. Colombano aveva ormai una settantina d’anni, venerabile età per quel tempo, e sopravvisse solo un anno. Buona parte del merito nella fondazione del monastero di Bobbio si deve infatti a Sant’Attala, che dal 615 gli succedette quale abate.
Venuta meno l’autorità carismatica del santo fondatore, furono avanzate dai monaci varie obiezioni all’austerità della vita comunitaria, ma Attala non si lasciò condizionare e lasciò andara coloro che erano insoddisfatti. Alcuni di questi fecero però poi ritorno ed egli li accolse con affetto e benevolenza. Giona di Susa, suo agiografo, lo ricorda quale “uomo benevoluto da tutti, di grande fervore, carità per i poveri e i pellegrini. Sapeva tenere testa all’orgoglioso, ma era umile con i più umili, non si lasciava zittire in conversazioni con le persone intelligenti ma con i semplici sapeva parlare dei segreti di Dio. Saggio quando si imbatteva in problemi spinosi, fermo se contestato dagli eretici, era forte nelle avversità, disciplinato nei periodi favorevoli, sempre temperato e discreto. Mostrava amore e rispetto verso i suoi subalterni, saggezza con i suoi discepoli. In sua presenza nessuno poteva essere smodatamente triste o felice”.
Come San Colombano, anche Attala si trovò a dover combattere l’arianesimo, diffuso nei dintorni di Milano. Ammalatosi gravemente, chiese di essere disteso fuori della cella, vicino alla quale era posta una croce che egli toccava ogni volta che entrava o usciva, e di essere lasciato solo. Come testimoniò un monaco rimasto nei paraggi, il santo ormai morente pregò con fervore ed ebbe per diverse ore una visione del paradiso. Riportato infine nella sua cella morì il giorno seguente: era l’anno 627. Sant’Attala fu sepolto a fianco di San Colombano e pochi anni dopo anche San Bertolfo, loro successore, li raggiunse nella stessa tomba e condivise con loro il culto.
Tratto da http://www.saintcolumban.eu/sito/b-il_santo/b_04-la_vita/b_04_02-santita_colombaniana/documenti/12-sant_attala.pdf
Attala, nativo di Borgogna, fu prima affidato alle cure del vescovo Aredio di Gap; poi si fece monaco a Lérins, ma non vi trovandovi la regolare osservanza che cercava, si diresse a Luxeuil e qui fu accolto
benevolmente da s. Colombano, il quale scoprì subito nel novizio i doni di Dio e lo predilesse, tanto che nella lettera scritta dall’esilio ai suoi monaci di Luxeuil, mentre era perseguitato dal Brunichilde,
raccomanda loro di obbedire ad Attala come a lui stesso.
Quando Colombano, dopo il lungo errare da un regno all’altro, arrivò alle Alpi della Rezia per passare in Italia, Attala, più desideroso di obbedire
che di governare, lasciò Luxeuil per raggiungere il suo maestro che accompagnò fino a Bobbio.
Qui, un anno dopo, e cioè alla morte del fondatore (615), fu eletto a succedergli come abate. Ma dopo l’elezione alcuni monaci abbandonarono il nuovo abate che invano aveva cercato di trattenerli
e si dispersero, aggiungendo le calunnie alla diserzione.
Ma la morte repentina e tragica di tre di essi fece rins
avire gli altri, che Attala riaccolse con l’abbraccio di pace. In circa dodici anni di governo, Attala mantenne in fiore la pietà e la disciplina specialmente con l’esempio della penitenza e dell’umiltà. Aveva spirito penetrante e pratico che gli permise di superare difficoltà anche gravi. Finché fisse, combatté l’arianesimo dei Longobardi conquistatori.
Oltre al fatto prodigioso del torrente Bobbio, Giona d
i Susa, coevo del santo, racconta che con la saliva
e un segno di croce Attala riattaccò alla mano del monaco Fraimerico il pollice staccato da un colpo di
vomere, e a Milano risanò all’istante un bambino in fin di vita. Morì nel luglio del 626 ai piedi della
croce che aveva eretto davanti alla porta della sua cella per baciarla ogni volta che entrava o usciva.
La sua festa si celebra il 10 marzo.
BIBL.: V. Barral , Chronologia sanctorum et aliorum virorum inlustriumac abbatum sacre insulae Lerinensis, Lione 1613, pp. 97-103
Consultare anche
IONA HEBRAICE, PERISTERA GRAECE COLUMBA LATINE”
PER UN RIESAME CRITICO DELLE FONTI SULL’ESPERIENZA COLOMBANIANA TRA VI E VII SECOLO (FRANCIA E ITALIA)
Sta in
http://tesi.cab.unipd.it/22915/1/tommaso_leso.pdf