19 marzo- memoria dei santi martiri Crìsanto e Daria (283); dei martiri Claudio, Ilaria, Giasone e Mauro (283); di san Pancario martire (305); della beata Maria, principessa di Vladimir, monaca (1206)

Sinassario

Il 19 di questo stesso mese memoria dei santi martiri Crìsanto e Daria.
Stichi. Anche sepolti vivi nella fossa, Crìsanto viveva in cielo e Daria con lui. La tomba, il diciannove, fu il loro talamo nuziale e per loro la luce è rifulsa nella tenebra.

Lo stesso giorno il santo tribuno Claudio muore annegato in mare.
Stichi. Per evitare il mare dell’errore, Claudio viene gettato in mare dall’errore furioso.

Lo stesso giorno la santa martire Ilaria e il coniuge di lei perirono di spada.
Stichi. Decapitata dalla spada, Ilaria contempla Dio nella patria beata.

Lo stesso giorno i santi martiri Giàsone e Mauro, loro figli perirono di spada.
Stichi. Col fratello Mauro viene decapitato Giàsone, unito spiritualmente a suo fratello.

Lo stesso giorno memoria di san Pancario martire.
Stichi. Che anch’io diventi pieno di grazia divina come eri tu di nome e di fatto, o Pancario.

Lo stesso giorno i santi Diodoro presbitero e Mariano diacono morirono rinchiusi in una grotta.
Stichi. Come vima la grotta ha nel suo interno un sacerdote di Cristo e il suo diacono.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.

 

 

  • 03: Memoria dei Santi Crisanto e Daria, sposi, Claudio tribuno, Ilaria sua sposa con i loro figli Mauro e Giasone ed ancora con il prete Diodoro e il diacono Mariano e tanti altri cristiani uccisi per la loro fede a Roma sotto Numeriano (verso il 283)

a cura del Protopresbitero Giovanni Festa

Tratto dal quotidiano Avvenire

 Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo e si fece battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della bella vestale Daria. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo. La cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati. Scoperti, vennero tutti condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi

Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/92161

I  due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna.
Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi
Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
Per  la storia delle reliquie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di S. Silvestro a Roma; la seconda da papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui s. Crisanto e s. Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da papa Giovanni X

Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli.
Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.

Tratto da

http://www.calendariobizantino.it/calendario-4.69807600.0.html

San Crisanto, figlio di un senatore pagano, nacque ad Alessandria d’Egitto. Affinché studiasse, il padre lo mandò a Roma, dove Crisanto conobbe un vescovo che lo convertì e istruì alla fede cristiana. Quando suo padre lo scoprì, lo fece rinchiudere in carcere nella speranza che abbandonasse Cristo, ma vedendo che il figlio restava fermo nelle sue posizioni, comandò che Daria, giovane e bella filosofa di Atene di fede pagana, fosse condotta a Roma, l’uomo infatti sperava che il figlio, innamorandosi e sposando la fanciulla, si sarebbe allontanato dalla fede in Cristo, ma le cose andarono in modo diverso: fu Crisanto a convertire Daria e, simulando con lei il matrimonio, riuscirono liberamente a predicare e convertire molte persone. Quando furono scoperti, però, vennero sepolti vivi in un pozzo di fango, diventando in questo modo martiri della fede,  nell’anno 283, durante il regno di Numeriano.

 Tratto da http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/10/25/SANTI-CRISANTO-E-DARIA-Santo-del-giorno-il-25-ottobre-si-celebrano-i-Santi-Crisanto-e-Daria/648896/

San Crisanto (o Crisante) era figlio di un nobile pagano, il quale cercò di riportarlo al paganesimo in seguito alla sua conversione alla fede cristiana, avvenuta a Roma con l’aiuto del prete Carpoforo. Per riuscirci, il padre mandò a San Crisanto una bellissima vestale, San Daria, la quale però si convertì a sua volta e decise di rimanere con lui in una casta unione. Durante questo periodo, i due insieme riuscirono a convertire numerosi romani, tra cui Ilaria, Giasone, Mauro e Claudio (quest’ultimo era proprio il tribuno incaricato di custodire i due ragazzi in arresto, successivamente ucciso a sua volta insieme alla moglie e ai figli), prima di essere uccisi come martiri durante l’impero di Numeriano. Dal momento che la credenza pagana impediva di versare il sangue di una vestale, per non scatenare l’ira degli dèi, Daria e Crisanto vennero sepolti vivi intorno al 283 d.C. 

Alcune recenti indagini scientifiche hanno confermato questa tradizione , dal momento che i corpi identificati appartengono a due ragazzi sui quali non ci sono segni di violenza, dunque la causa della morte è compatibile con la storia agiografica; l’analisi ha rilevato una elevata presenza di piombo ad indicare l’appartenenza dei due ad una classe sociale agiata, dal momento che solo questa parte di popolazione aveva accesso all’acqua corrente in casa, trasportata appunto in tubi di piombo. La tradizione vuole che nel corso dei secoli siano state effettuate tre traslazioni delle reliquie dei Santi, durante le quali sarebbero state portate in tre chiese romane e da qui in altri centri religiosi d’Europa e d’Italia; La loro memoria è stata tramandata fin dai primi secoli, durante i quali è tratta l’iconografia tradizionale che li vuole raffigurati in abiti bianchi secolari; di loro si trova testimonianza negli antichissimi Martirologi della Chiesa, nonché nei mosaici di Sant’Apollinare a Ravenna e nelle notizie storiche di San Gregorio di Tour, vescovo francese vissuto nel VI secolo. 

  • 03: Memoria dei Ss. Bertulfo igumeno di Bobbio (verso il 640); Quinto e compagni martiri a Sorrento

ratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-bertulfo_(Dizionario-Biografico)/

 

 Nacque, sul finire del sec. VI, da una nobile famiglia probabilmente burgunda, da genitori pagani; pagano egli stesso, si convertì ben presto al cristianesimo, probabilmente per influsso dei vescovo di Metz, Arnolfo, che era suo parente. Trasferitosi subito dopo a Metz, vi soggiornò per alcuni anni, approfondendo la sua preparazione religìosa sotto la guida spirituale dello stesso Arnolfa, della cui familia – come è lecito dedurre dalle parole del biografo di B., Giona – era entrato a far parte. A Metz, tuttavia, B. non aveva trovato attuato quell’ideale rigoroso di abnegazione e di penitenza, cui’ egli aspirava; perciò, conosciuti i principi di rinunzia e mortificazione che erano alla base della predicazione e della vita di s. Colombano e dei suoi discepoli, si risolse ad abbandonare Metz e, vestito l’abito monastico, chiese di essere ammesso nel centro cenobitico di Luxeuil che, fondato da s. Colombano, era allora retto dal suo discepolo Eustasio (613-629). A Luxeuil B. si fermò a lungo, facendosi ben presto apprezzare per la sua dolcezza, per la forza della sua fede e la severità della vita; qui lo conobbe e lo apprezzò un altro degli antichi discepoli di s. Colombano l’abate Atala di Bobbio, già allora in fama di santità. Questi, intuite le capacità del monaco, chiese ed ottenne il permesso di portarlo con sé in Italia; fu così che B. seguì oltre le Alpi l’abate Atala, di cui divenne il principale collaboratore, e a cui lo legarono filiale affetto e il medesimo desiderio di perfezione e di penitenza.

Quanto tempo B. visse a Metz, e quando si trasferì a Luxeuil, non ci è dato sapere: Il biografò di B. – che pure fu legato a lui da una lunga consuetudine di vita e che fu monaco a Bobbio durante l’abbaziato di Atala e di B. stesso – usa, a proposito di questi avvenimenti, delle espressioni estremamente generiche: “lunctus supradictus pontifice Arnulfò, cum ipso quantisper moravit”, scrive, a proposito della permanenza di B. a Metz, e “Deinde ad venerabilem virum Eusthasium Luxovium perrexit, quo diu… mansit”. Poiché, quand’egli giunse a Luxeuil, Eustasio era già abate, bisogna ammettere che vi si recò dopo il 613 e che vi rimase sicuramente almeno fin dopo il 616, dato che Atala era già stato eletto abate di Bobbio quando giunse a Luxeuil. Alla scelta di Atala non dovettero essere estranee ragioni di solidarietà: anch’egli, infatti, come B., era di nobile famiglia burgunda; forse lo conosceva o conosceva la sua gente.

Alla morte di Atala (circa 627,10 marzo), B. fu eletto a succedergli dall’unanime voto dei suoi confratelli. Tale elezione, tuttavia, se trovò consenzienti tutti i monaci di Bobbio, provocò invece l’immediata reazione del vescovo di Tortona, Probo, nella cui diocesi si trovava il monastero di Bobbio: il vescovo, che non era stato previamente consultato circa la candidatuta di B., e che forse non era nemmeno stato informato ufficialmente dell’avvenuta elezione, vide in essa una violazione dei suoi diritti giurisdizionali. Perciò, dopo essersi guadagnato con donativi l’appoggio degli altri vescovi della regione e, perfino, di alcuni alti dignitari di corte, per il tramite delle interessate pressioni di questi ultimi aveva portato la questione davanti al re dei Longobardi, Arioaldo, perché lo risolvesse d’autorità. Anche B., che un ufficiale di corte aveva immediatamente informato della mossa compiuta da Probo, cercò di influenzare in senso a sé favorevole Arioaldo per il tramite di un suo inviato. Il re, tuttavia, avrebbe dato alle due parti la medesima risposta: “Non meum est sacerdotum causas discernere”. Ai rappresentanti di Probo chiese che provassero “ecclesiastico iure” la tesi (che sembravano evidentemente sostenere opponendosi all’elezione di B.), secondo la quale i monasteri “procul urbibus sita” sarebbero stati sot toposti alla giurisdizione vescovile; agli inviati di B., che cercavano di sapere quale fosse la sua posizione nei confronti della vertenza, il re si limitò a rispondere ambiguamente che mai avrebbe favorito chi avesse sollevato difficoltà contro un uomo di Dio. Inoltre, poiché B. gli aveva fatto chiedere se gli avrebbe dato il permesso di recarsi a Roma, per sottoporre la questione alla Sede apostolica, e se gli avrebbe permesso di fare il viaggio “suplimento publico”, a spese cioè della Corona, Arioaldo che, per quanto ariano, poteva avere interesse a mantenere buoni rapporti con Bobbio, data la posizione del monastero, rispose facendo consegnare a B. il danaro necessario al viaggio di lui e dei suoi accompagnatori, tra i quali vi fu lo stesso biografo, di B., Giona.

  1. venne accolto assai onorevolmente da Onorio I, il quale volle conoscere a fondo i termini della vertenza, non solo, ma anche i particolari della regola secondo cui vivevano i monaci di s. Colombano a Bobbio; quindi concesse a B. un privilegio (che sarebbe stato il modello delle successive bolle di esenzione dei monasteri: cfr.: Liber diurnus Romanorum pontificum…,a c. di Th. E. ab Sickel, Vindebonae 1889, num. LXXVII, p. 82), in cui riconosceva alPabbazia di Bobbio la più ampia immunità ed esenzione da ogni giurisdizione vescovile (11 giugno 628). Il pontefice, però, forse preoccupato che il benevole atteggiamento di Arioaldo (che, stando a quanto scrive Giona, era favorevole all’indipendenza dei monasteri, almeno quelli lontani dalle città) non influisse negativamente sulla predicazione antiariana ed antipagana sin’allora condotta dai monaci di Bobbio, si fece un dovere di esortare l’abbate “ut cepti itineris laborem non relinqueret et Arrianae pestis perfidiam evangelico mucrone ferire non abnueret”.

Durante il viaggio di ritorno, presso la Roccia di Bismantova, nell’Appennino tosco-emiliano, dove allora si trovava una munita fortezza, B., che era partito da Roma ammalato, venne colpito da una febbre tanto forte che si credette prossima la sua fine. Guarito miracolosamente nella notte tra il 28 e il 29 giugno, B. poté ritornare, senza altri inconvenienti, a Bobbio.

  1. resse il monastero di Bobbio per circa tredici anni; morì infatti nel 639, probabilmente il 19 agosto, giorno in cui a Bobbio si celebra la sua festa.

Il biografo e discepolo di B., Giona, – che compose la sua opera, le Vitae Columbani abbatis discfiplinorumque eius, proprio dietro ordine di B., cui dedicò il XXIII capitolo del secondo libro – ricorda di B. soprattutto l’umiltà e la religiosità, l’impegno pastorale con cui “plebem docere ac imbuere salubribus monitis non omisit”.

Fonti e Bibl.: Ionac Vitae sanctorum Columbani, Vedastis, Iohannis,a cura di B. Krusch, in Mon. Germ. Hist. Scriptores rerum Germanic. in usum scholarum,XXXVII, Hannoverae et Lipsiae 1905, pp. 280-286 (cfr. la pref. dell’editore, ibid., pp. 49 ss.); H. Cazalis, Vie de s. Bertulthe, troisième abbé de Bobbio en Italie…, Avignon 1881; Dict. d’Hist. et de Géógr. Ecclés., VIII, col. 1111; Bibl. Sanctorum, III, coll.115 s.

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San Quinto e compagni martiri a Sorrento

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/45950

 il santo Quinto, è associato ad un gruppo di altri martiri, di cui si conoscono i nomi di alcuni, come Quintilla, Quartilla e Marco. Essi sono denominati con qualche dubbio, come martiri di Sorrento e vengono ricordati il 19 marzo nel ‘Martirologio Geronimiano’ e altri Martirologi storici, come pure nel ‘Martirologio Romano’ compilato nel XVI secolo da Cesare Baronio. 
I dubbi degli studiosi riguardano l’indicazione di Sorrento, come città del loro martirio o della loro origine; si pensa che alcuni di loro, essendo un numeroso gruppo, siano invece di Corinto, compagni di santa Basilia, onorata lo stesso 19 marzo. 
Per il resto non si può dire altro, che se sono di Sorrento o qui pervenute le loro reliquie da altro luogo, essi sono sempre dei cristiani, delle più svariate condizioni sociali, età, sesso, che hanno donato la loro vita, morendo in modo atroce, per l’affermazione del cristianesimo nel mondo pagano di allora

19 marzo- memoria dei santi martiri Crìsanto e Daria (283); dei martiri Claudio, Ilaria, Giasone e Mauro (283); di san Pancario martire (305); della beata Maria, principessa di Vladimir, monaca (1206)

Sinassario

Il 19 di questo stesso mese memoria dei santi martiri Crìsanto e Daria.
Stichi. Anche sepolti vivi nella fossa, Crìsanto viveva in cielo e Daria con lui. La tomba, il diciannove, fu il loro talamo nuziale e per loro la luce è rifulsa nella tenebra.

Lo stesso giorno il santo tribuno Claudio muore annegato in mare.
Stichi. Per evitare il mare dell’errore, Claudio viene gettato in mare dall’errore furioso.

Lo stesso giorno la santa martire Ilaria e il coniuge di lei perirono di spada.
Stichi. Decapitata dalla spada, Ilaria contempla Dio nella patria beata.

Lo stesso giorno i santi martiri Giàsone e Mauro, loro figli perirono di spada.
Stichi. Col fratello Mauro viene decapitato Giàsone, unito spiritualmente a suo fratello.

Lo stesso giorno memoria di san Pancario martire.
Stichi. Che anch’io diventi pieno di grazia divina come eri tu di nome e di fatto, o Pancario.

Lo stesso giorno i santi Diodoro presbitero e Mariano diacono morirono rinchiusi in una grotta.
Stichi. Come vima la grotta ha nel suo interno un sacerdote di Cristo e il suo diacono.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.

 

 

  • 03: Memoria dei Santi Crisanto e Daria, sposi, Claudio tribuno, Ilaria sua sposa con i loro figli Mauro e Giasone ed ancora con il prete Diodoro e il diacono Mariano e tanti altri cristiani uccisi per la loro fede a Roma sotto Numeriano (verso il 283)

a cura del Protopresbitero Giovanni Festa

Tratto dal quotidiano Avvenire

 Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo e si fece battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della bella vestale Daria. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo. La cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati. Scoperti, vennero tutti condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi

Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/92161

I  due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna.
Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi
Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
Per  la storia delle reliquie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di S. Silvestro a Roma; la seconda da papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui s. Crisanto e s. Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da papa Giovanni X

Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli.
Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.

Tratto da

http://www.calendariobizantino.it/calendario-4.69807600.0.html

San Crisanto, figlio di un senatore pagano, nacque ad Alessandria d’Egitto. Affinché studiasse, il padre lo mandò a Roma, dove Crisanto conobbe un vescovo che lo convertì e istruì alla fede cristiana. Quando suo padre lo scoprì, lo fece rinchiudere in carcere nella speranza che abbandonasse Cristo, ma vedendo che il figlio restava fermo nelle sue posizioni, comandò che Daria, giovane e bella filosofa di Atene di fede pagana, fosse condotta a Roma, l’uomo infatti sperava che il figlio, innamorandosi e sposando la fanciulla, si sarebbe allontanato dalla fede in Cristo, ma le cose andarono in modo diverso: fu Crisanto a convertire Daria e, simulando con lei il matrimonio, riuscirono liberamente a predicare e convertire molte persone. Quando furono scoperti, però, vennero sepolti vivi in un pozzo di fango, diventando in questo modo martiri della fede,  nell’anno 283, durante il regno di Numeriano.

 Tratto da http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/10/25/SANTI-CRISANTO-E-DARIA-Santo-del-giorno-il-25-ottobre-si-celebrano-i-Santi-Crisanto-e-Daria/648896/

San Crisanto (o Crisante) era figlio di un nobile pagano, il quale cercò di riportarlo al paganesimo in seguito alla sua conversione alla fede cristiana, avvenuta a Roma con l’aiuto del prete Carpoforo. Per riuscirci, il padre mandò a San Crisanto una bellissima vestale, San Daria, la quale però si convertì a sua volta e decise di rimanere con lui in una casta unione. Durante questo periodo, i due insieme riuscirono a convertire numerosi romani, tra cui Ilaria, Giasone, Mauro e Claudio (quest’ultimo era proprio il tribuno incaricato di custodire i due ragazzi in arresto, successivamente ucciso a sua volta insieme alla moglie e ai figli), prima di essere uccisi come martiri durante l’impero di Numeriano. Dal momento che la credenza pagana impediva di versare il sangue di una vestale, per non scatenare l’ira degli dèi, Daria e Crisanto vennero sepolti vivi intorno al 283 d.C. 

Alcune recenti indagini scientifiche hanno confermato questa tradizione , dal momento che i corpi identificati appartengono a due ragazzi sui quali non ci sono segni di violenza, dunque la causa della morte è compatibile con la storia agiografica; l’analisi ha rilevato una elevata presenza di piombo ad indicare l’appartenenza dei due ad una classe sociale agiata, dal momento che solo questa parte di popolazione aveva accesso all’acqua corrente in casa, trasportata appunto in tubi di piombo. La tradizione vuole che nel corso dei secoli siano state effettuate tre traslazioni delle reliquie dei Santi, durante le quali sarebbero state portate in tre chiese romane e da qui in altri centri religiosi d’Europa e d’Italia; La loro memoria è stata tramandata fin dai primi secoli, durante i quali è tratta l’iconografia tradizionale che li vuole raffigurati in abiti bianchi secolari; di loro si trova testimonianza negli antichissimi Martirologi della Chiesa, nonché nei mosaici di Sant’Apollinare a Ravenna e nelle notizie storiche di San Gregorio di Tour, vescovo francese vissuto nel VI secolo. 

  • 03: Memoria dei Ss. Bertulfo igumeno di Bobbio (verso il 640); Quinto e compagni martiri a Sorrento

ratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-bertulfo_(Dizionario-Biografico)/

 

 Nacque, sul finire del sec. VI, da una nobile famiglia probabilmente burgunda, da genitori pagani; pagano egli stesso, si convertì ben presto al cristianesimo, probabilmente per influsso dei vescovo di Metz, Arnolfo, che era suo parente. Trasferitosi subito dopo a Metz, vi soggiornò per alcuni anni, approfondendo la sua preparazione religìosa sotto la guida spirituale dello stesso Arnolfa, della cui familia – come è lecito dedurre dalle parole del biografo di B., Giona – era entrato a far parte. A Metz, tuttavia, B. non aveva trovato attuato quell’ideale rigoroso di abnegazione e di penitenza, cui’ egli aspirava; perciò, conosciuti i principi di rinunzia e mortificazione che erano alla base della predicazione e della vita di s. Colombano e dei suoi discepoli, si risolse ad abbandonare Metz e, vestito l’abito monastico, chiese di essere ammesso nel centro cenobitico di Luxeuil che, fondato da s. Colombano, era allora retto dal suo discepolo Eustasio (613-629). A Luxeuil B. si fermò a lungo, facendosi ben presto apprezzare per la sua dolcezza, per la forza della sua fede e la severità della vita; qui lo conobbe e lo apprezzò un altro degli antichi discepoli di s. Colombano l’abate Atala di Bobbio, già allora in fama di santità. Questi, intuite le capacità del monaco, chiese ed ottenne il permesso di portarlo con sé in Italia; fu così che B. seguì oltre le Alpi l’abate Atala, di cui divenne il principale collaboratore, e a cui lo legarono filiale affetto e il medesimo desiderio di perfezione e di penitenza.

Quanto tempo B. visse a Metz, e quando si trasferì a Luxeuil, non ci è dato sapere: Il biografò di B. – che pure fu legato a lui da una lunga consuetudine di vita e che fu monaco a Bobbio durante l’abbaziato di Atala e di B. stesso – usa, a proposito di questi avvenimenti, delle espressioni estremamente generiche: “lunctus supradictus pontifice Arnulfò, cum ipso quantisper moravit”, scrive, a proposito della permanenza di B. a Metz, e “Deinde ad venerabilem virum Eusthasium Luxovium perrexit, quo diu… mansit”. Poiché, quand’egli giunse a Luxeuil, Eustasio era già abate, bisogna ammettere che vi si recò dopo il 613 e che vi rimase sicuramente almeno fin dopo il 616, dato che Atala era già stato eletto abate di Bobbio quando giunse a Luxeuil. Alla scelta di Atala non dovettero essere estranee ragioni di solidarietà: anch’egli, infatti, come B., era di nobile famiglia burgunda; forse lo conosceva o conosceva la sua gente.

Alla morte di Atala (circa 627,10 marzo), B. fu eletto a succedergli dall’unanime voto dei suoi confratelli. Tale elezione, tuttavia, se trovò consenzienti tutti i monaci di Bobbio, provocò invece l’immediata reazione del vescovo di Tortona, Probo, nella cui diocesi si trovava il monastero di Bobbio: il vescovo, che non era stato previamente consultato circa la candidatuta di B., e che forse non era nemmeno stato informato ufficialmente dell’avvenuta elezione, vide in essa una violazione dei suoi diritti giurisdizionali. Perciò, dopo essersi guadagnato con donativi l’appoggio degli altri vescovi della regione e, perfino, di alcuni alti dignitari di corte, per il tramite delle interessate pressioni di questi ultimi aveva portato la questione davanti al re dei Longobardi, Arioaldo, perché lo risolvesse d’autorità. Anche B., che un ufficiale di corte aveva immediatamente informato della mossa compiuta da Probo, cercò di influenzare in senso a sé favorevole Arioaldo per il tramite di un suo inviato. Il re, tuttavia, avrebbe dato alle due parti la medesima risposta: “Non meum est sacerdotum causas discernere”. Ai rappresentanti di Probo chiese che provassero “ecclesiastico iure” la tesi (che sembravano evidentemente sostenere opponendosi all’elezione di B.), secondo la quale i monasteri “procul urbibus sita” sarebbero stati sot toposti alla giurisdizione vescovile; agli inviati di B., che cercavano di sapere quale fosse la sua posizione nei confronti della vertenza, il re si limitò a rispondere ambiguamente che mai avrebbe favorito chi avesse sollevato difficoltà contro un uomo di Dio. Inoltre, poiché B. gli aveva fatto chiedere se gli avrebbe dato il permesso di recarsi a Roma, per sottoporre la questione alla Sede apostolica, e se gli avrebbe permesso di fare il viaggio “suplimento publico”, a spese cioè della Corona, Arioaldo che, per quanto ariano, poteva avere interesse a mantenere buoni rapporti con Bobbio, data la posizione del monastero, rispose facendo consegnare a B. il danaro necessario al viaggio di lui e dei suoi accompagnatori, tra i quali vi fu lo stesso biografo, di B., Giona.

  1. venne accolto assai onorevolmente da Onorio I, il quale volle conoscere a fondo i termini della vertenza, non solo, ma anche i particolari della regola secondo cui vivevano i monaci di s. Colombano a Bobbio; quindi concesse a B. un privilegio (che sarebbe stato il modello delle successive bolle di esenzione dei monasteri: cfr.: Liber diurnus Romanorum pontificum…,a c. di Th. E. ab Sickel, Vindebonae 1889, num. LXXVII, p. 82), in cui riconosceva alPabbazia di Bobbio la più ampia immunità ed esenzione da ogni giurisdizione vescovile (11 giugno 628). Il pontefice, però, forse preoccupato che il benevole atteggiamento di Arioaldo (che, stando a quanto scrive Giona, era favorevole all’indipendenza dei monasteri, almeno quelli lontani dalle città) non influisse negativamente sulla predicazione antiariana ed antipagana sin’allora condotta dai monaci di Bobbio, si fece un dovere di esortare l’abbate “ut cepti itineris laborem non relinqueret et Arrianae pestis perfidiam evangelico mucrone ferire non abnueret”.

Durante il viaggio di ritorno, presso la Roccia di Bismantova, nell’Appennino tosco-emiliano, dove allora si trovava una munita fortezza, B., che era partito da Roma ammalato, venne colpito da una febbre tanto forte che si credette prossima la sua fine. Guarito miracolosamente nella notte tra il 28 e il 29 giugno, B. poté ritornare, senza altri inconvenienti, a Bobbio.

  1. resse il monastero di Bobbio per circa tredici anni; morì infatti nel 639, probabilmente il 19 agosto, giorno in cui a Bobbio si celebra la sua festa.

Il biografo e discepolo di B., Giona, – che compose la sua opera, le Vitae Columbani abbatis discfiplinorumque eius, proprio dietro ordine di B., cui dedicò il XXIII capitolo del secondo libro – ricorda di B. soprattutto l’umiltà e la religiosità, l’impegno pastorale con cui “plebem docere ac imbuere salubribus monitis non omisit”.

Fonti e Bibl.: Ionac Vitae sanctorum Columbani, Vedastis, Iohannis,a cura di B. Krusch, in Mon. Germ. Hist. Scriptores rerum Germanic. in usum scholarum,XXXVII, Hannoverae et Lipsiae 1905, pp. 280-286 (cfr. la pref. dell’editore, ibid., pp. 49 ss.); H. Cazalis, Vie de s. Bertulthe, troisième abbé de Bobbio en Italie…, Avignon 1881; Dict. d’Hist. et de Géógr. Ecclés., VIII, col. 1111; Bibl. Sanctorum, III, coll.115 s.

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San Quinto e compagni martiri a Sorrento

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/45950

 il santo Quinto, è associato ad un gruppo di altri martiri, di cui si conoscono i nomi di alcuni, come Quintilla, Quartilla e Marco. Essi sono denominati con qualche dubbio, come martiri di Sorrento e vengono ricordati il 19 marzo nel ‘Martirologio Geronimiano’ e altri Martirologi storici, come pure nel ‘Martirologio Romano’ compilato nel XVI secolo da Cesare Baronio. 
I dubbi degli studiosi riguardano l’indicazione di Sorrento, come città del loro martirio o della loro origine; si pensa che alcuni di loro, essendo un numeroso gruppo, siano invece di Corinto, compagni di santa Basilia, onorata lo stesso 19 marzo. 
Per il resto non si può dire altro, che se sono di Sorrento o qui pervenute le loro reliquie da altro luogo, essi sono sempre dei cristiani, delle più svariate condizioni sociali, età, sesso, che hanno donato la loro vita, morendo in modo atroce, per l’affermazione del cristianesimo nel mondo pagano di allora