• 09: Inizio della dell’INDIZIONE del nuovo anno ecclesiastico

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

╬ Il primo di questo mese, inizio della dell’INDIZIONE del nuovo anno ecclesiastico.

La Chiesa di Cristo celebra oggi l’indizione, che secondo i Romani, significa << limite >> cioè l’inizio dell’anno dell’ecclesiastico. Questo termine deriva dall’abitudine che avevano gli imperatori romani di mettere oggi una imposta sui sudditi per il mantenimento dell’armata. Il prezzo di questa imposta annuale era fissato ogni quindici anni. Perciò si chiamano ugualmente indizione i cicli di quindici anni che cominciano sotto Cesare Augusto, tre anni prima della nascita di Cristo.

Come d’altra parte, il mese di settembre è il momento in cui rientrano i frutti dei raccolti nei granai per prepararsi ad un nuovo ciclo della vegetazione, conviene festeggiare questo inizio del ciclo agricolo rendendo grazie a Dio per la sua benevolenza riguardo alla creazione. È ciò che già facevano i Giudei sotto il regime dell’antica Legge. Il primo giorno del loro settimo mese (inizio settembre), celebravano la festa della Trombe, cessando ogni lavoro per consacrarsi solamente all’offerta di sacrifici di << piacevole odore >> e alla lode di Dio (Lev. 23,24-25).

Il Cristo, il Figlio e Verbo di Dio, il Creatore del tempo e dello spazio, il re preeterno di tutti i secoli, che si è incarnato per ricondurre tutto all’unità e riconciliare tutti gli uomini, Giudei e pagani, in una sola Chiesa, ha voluto con-riunire in Se stesso le cose sottomesse alle leggi naturali e quelle che aveva promulgato con la Legge scritta. È perciò, in questo giorno in cui la natura si prepara ad iniziare un nuovo ciclo delle sue stagioni, commemoriamo l’episodio in cui il Signore Gesù Cristo andò alla sinagoga e, aprendo il libro di Isaia, lesse il passaggio in cui il profeta disse in suo nome: << Lo Spirito del Signore è su di me, poiché egli mi ha unto. Egli mi ha inviato per portare la buona novella ai poveri, per proclamare un anno di grazie del Signore >> (Luca 14,18).

Tutte le Chiese così riunite nell’umanità, indirizzano oggi una sola lode al nostro Dio. Uno nella Sua natura e Triplo nelle sue Persone, che dimora in permanenza nella beatitudine, tiene ogni cosa in esistenza e riversa in ogni tempo le sue benedizioni sulle sue creature. È il Cristo stesso che ci apre le porte di questo anno e ci chiama a seguirlo per partecipare alla sua eternità                    

  • 09: memoria del nostro santo Padre teoforo SIMEONE STILITA l’ANZIANO

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria  

Memoria del nostro santo Padre teoforo SIMEONE STILITA l’ANZIANO[1].

San Simeone nacque nel villaggio di Sissa in Asia Minore, tra la Siria e la Cilicia, sotto il regno di Leone il Grande ed il Patriarca di Antiochia Martirio (457). Fin dalla giovane età, i genitori avevano l’abitudine di inviarlo in solitudine per condurre al pascolo le greggi. Ora, un giorno che la neve era così abbondante che il giovane non poteva condurre il suo gregge al pascolo, egli entrò in una chiesa e sentì che venivano lette queste parole:<< Beati quelli che piangono e poveri quelli che ridono; beati quelli che hanno il cuore puro… >>. Avendo chiesto ciò che doveva fare per seguire queste istruzioni del Signore, egli abbandonò nel campo il gregge e tutto ciò che lo tratteneva al mondo e partì per un monastero vicino dove rimase due anni.
Poiché Simeone desiderava condurre una vita più austera di quella che aveva trovato là, andò al Monastero di Mandras, dove il monaco Eliodoro dirigeva in tutta saggezza ed austerità più di ottanta monaci. Simeone trascorse dieci anni, ma dall’inizio del suo soggiorno, superò tutti i monaci per il rigore della sua ascesi. Poiché gli altri mangiavano ogni due giorni, Simeone prendeva la sua magra refezione una volta a settimana. Il suo desiderio di soffrire per Cristo era tale che si era confezionato una cintura di palma e la portava sotto gli abiti, serrata così forte ai reni che penetrava profondamente nella carne, alla vista di questi combattimenti sovraumani, gli anziani del monastero gli ordinarono di ritirarsi al fine di non essere causa di danno per quelli che di costituzione più debole, volessero sul suo esempio intraprendere delle fatiche al disopra delle loro forze. Simeone quindi si ritirò dal monastero e partì verso il luogo più deserto della montagna vicina. Avendo trovato un pozzo asciutto, vi discese e restò lì a cantare notte e giorno le lodi a Dio. Dopo cinque giorni, i monaci di Mandras, pentitisi di aver cacciato Simeone, vollero ricondurlo presso di essi. Per obbedienza Simeone rientrò al Monastero, ma non vi restò molto tempo, non potendo accontentarsi della misura comune. Egli andò al borgo di Telanisson, dove trovò una casetta isolata e vi restò recluso per tre anni, lavorando senza sosta e arricchendosi delle virtù celesti. Quando sull’esempio di Mosè, di Elia e del Cristo Salvatore, egli desiderava trascorrere i quaranta giorni di Quaresima senza mangiare niente, chiese al suo amico Blassos di murare l’entrata della sua cella. Costui non accettò se non alla condizione di lasciare all’atleta di Cristo un po’ di pane e acqua, nel caso in cui il suo corpo fosse stato ridotto allo stremo. I quaranta giorni trascorsero, Blassos entrò nella cella pieno di paura e trovò i pani e l’acqua come li aveva lasciati e il santo steso immobile al suolo, così debole da non riuscir a proferire parola; ma riprese forza solo dopo aver comunicato ai Divini Misteri. Da allora, esercitato nell’abitudine, Simeone trascorreva tutte le Quaresime senza mangiare niente e, fortificato dalla Grazia, rimane tutto questo tempo con una gaiezza incomparabile.
Dopo tre anni trascorsi in questa cella, salì sulla sommità di una montagna e si fece attaccare ad una pesantissima catena. Ma il saggio Meletio, vescovo della Chiesa d’Antiochia gli ricordò che la volontà dell’uomo rischiarata dalla sua ragione deve mostrarsi più forte di ogni catena per impedire al suo pensiero di errare qua e là. Simeone, convinto da questa argomentazione, e sapendo che l’ascesi non è lodabile se non nella misura in cui ella restaura nella sua bellezza originale l’immagine di Dio deposta nella nostra natura, obbedì al gerarca e fece rompere le sue catene. Dei grossi vermi uscirono allora, dalle piaghe che la catena gli aveva fatto, manifestando che il santo faceva in ogni punto prova di una pazienza uguale a quella dei martiri, anzi ancora superiore, se ciò è possibile, poiché era lui stesso che volontariamente si applicava questi tormenti per amore di Cristo.
La fama della sua santità si estese allora talmente, che un gran numero di fedeli, venuti dai dintorni ma anche da zone lontano come la Persia, l’Armenia, la Georgia, l’Italia, la Gallia[2 ]e l’Inghilterra accorrevano senza sosta per ricevere la sua benedizione e la guarigione dell’anima e del corpo. Ma Simeone non amava e non ricercava che la solitudine per potersi avvicinare alla pura contemplazione. Per fuggire a questi onori inopportuni, pensò di costruire una colonna, sopra cui si installò in una piccola piattaforma. Egli fece una colonna di sei braccia d’altezza, poi una seconda di dodici, una terza di ventidue ed infine visse alla sommità di una colonna di trentasei braccia, quasi più vicina al cielo che alla terra. Queste abitazioni sempre più alte erano come il segno visibile delle ascensione della sua anima nella luce di Dio. Esposto alla vista di tutti come una lampada brillante su un candelabro elevato, Simeone attirò a lui ancora più gente e illuminò con i raggi della fede una folla di barbari, venuti a contemplare questo spettacolo strano.
Dall’alto della sua colonna solo con Dio, il santo non cessò di essere lo strumento della misericordia divina. Egli compì un gran numero di miracoli e di guarigioni, predisse calamità naturali e fu in tutto un’oasi di salute e consolazione spirituale. Crocifisso al mondo e non nascondendo niente della sua vita, S. Simeone si offriva, secondo la parola dell’Apostolo, << in spettacolo agli Angeli e agli uomini >> (7Cor.4,9). Benché rivestito di un corpo mortale, conduceva quaggiù la vita incorporea degli Angeli. Ma la cosa più ammirabile era che, avendo praticato tali combattimenti ascetici, dopo aver raggiunto tali virtù e compiuto miracoli, Simeone aveva una tale umiltà da considerarsi sicuramente inferiore a tutto gli uomini. Ciò non significa che riguardo agli eretici mostrasse collera ma piuttosto uno zelo divino per la loro correzione. Avendo così espanso attorno a lui la pace che regnava nel suo cuore, S. Simeone si addormentò nella morte all’età di 69 anni, nel 461; mentre era prostrato in preghiera. Le sue preziose reliquie furono condotte ad Antiochia, accompagnate da una immensa folla e continuarono a compiere numerosi miracoli per coloro che si avvicinavano ad esse con fede.

• Memoria della nostra santa Madre MARTA[3] , madre di S. Stilita, che era andata a raggiungerlo sui luoghi santi della sua ascesi.

Note:

1) Precisiamo l’anziano per non confonderlo con S. Simeone Stilita del Monte Ammirabile (24 maggio 596) Simeone Stilita il Giovane (27 aprile).
2) Cf. l’incontro di S. Simeone e di S. Genoveffa di Parigi riportato nella vita di quest’ultima (3 gennaio).
3) L’altra S. Marta (o Maria) festeggiata il 4 luglio era la madre di S. Simeone Stilita del Monte Ammirabile

  • 09: Memoria del santo neomartire ANGELO, morto di spada

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria  

Orafo a Costantinopoli sotto il regno del sultano Mohamed IV (1618-1687), S. Angelo si trovava un giorno in un villaggio con qualche amico per festeggiare gioiosamente la Dormizione della Madre di Dio. I partecipanti alla festa, ai quali si era aggiunto qualche Turco dei dintorni bevvero molto e si divertirono scambiandosi i loro cappelli; i Turchi chiesero ad Angelo perché non portasse il cappello musulmano: poiché l’averlo portato una volta era segno di conversione. Il giovane stupefatto fu condotto avanti al giudice e messo nella alternativa di accettare questa conversione forzata o essere sottoposto alla tortura e alla morte. Ma il Cristo venne a riempire Angelo della potenza dello Spirito che trovò avanti alla forca l’audacia e la pazienza dei primi martiri per confessare la sua fede. Egli fu decapitato il il 1° di settembre 1680, una domenica.

  • 09: Memoria di sant’Adiùtore, vescovo

Archimandrita Antonio Scordino

sant’Adiùtore.
Pare sia uno dei vescovi Africani che, al tempo delle persecuzioni vandaliche, si rifugiarono in Campania; le sue reliquie sono nella cattedrale di Benevento e in diverse altre città della stessa regione che, a varie date, lo celebrano come proprio vescovo.