• 06: Memoria dei Santi Bartolomeo e Barnaba, apostoli (I sec.)

 

San Bartolomeo era originario della Galilea ed è stato uno dei Dodici Apostoli, questo è tutto ciò che si sa di lui in base al racconto dei Vangeli. Per quanto riguarda il suo lavoro apostolico non vi è nulla di certo, poiché alcuni dicono che predicò in Arabia, in Persia e soprattutto in India, portando in quei luoghi il Vangelo scritto da Matteo, ritrovato lì 100 anni dopo da Panteno, un filosofo stoico che più tardi divenne insigne maestro della scuola cristiana ad Alessandria. Altri dicono che andò in Armenia dove visse il suo martirio morendo crocifisso ad Albanopoli (o Urbanopoli). Questa versione trova conferma anche in un’antica tradizione conservata dagli Armeni.

 

L’incertezza sull’identità di Bartolomeo ha fatto supporre che Bartolomeo e Natanaele fossero la stessa persona, perché gli Evangelisti che menzionano Bartolomeo non menzionano Natanaele, e Giovanni, che parla solo di Natanaele come uno dei Dodici, non dice nulla su Bartolomeo. Infatti, Bartolomeo è un patronimico che significa “figlio di Talmai” (audace – spiritoso) e questo potrebbe essere stato il cognome di Natanaele. Secondo il Sinassario del 22 aprile Simone il Cananeo e Natanaele sono la stessa persona e gli Evangelisti che citano Simone il Cananeo non menzionano, Natanaele.

 

Nel 264 le reliquie del santo giunsero a Lipari, quando era vescovo sant’Agatone, fino a quando vennero parzialmente disperse dagli arabi nel IX secolo; nel 410 le spoglie vennero portate a Maypherkat che, a causa del gran numero di reliquie che il vescovo Maruta vi radunò, venne chiamata Martiropoli. Nel 507 l’Imperatore Anastasio I le portò a Darae, in Mesopotamia. Nel 546 ricomparvero a Lipari e nell’838 a Benevento, dove il deposito delle reliquie del santo fu sempre conservato con devota e gelosa vigilanza anche in situazioni di grande pericolo, come quando l’imperatore Ottone III di Sassonia, nel 983, pretese la consegna delle sacre reliquie. In quell’occasione gli fu consegnato il corpo di san Paolino, vescovo di Nola. Accortosi dell’imbroglio l’imperatore cinse la città d’assedio, ma non riuscendo a espugnarla fece ritorno a Roma, dove peraltro fece edificare una basilica dedicata a San Bartolomeo sull’Isola Tiberina.

 

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San Barnaba è considerato uno dei Settanta, era originario di Cipro e fu condiscepolo di Paolo. Come riportano gli Atti degli Apostoli san Barnaba possedeva un campo che vendette per portare il ricavato agli Apostoli (Atti 4:36-37). Prima della conversione di san Paolo, Barnaba era la guida dei Settanta, il primo nella predicazione e il principale portavoce; fu proprio lui poi ad unire san Paolo agli Apostoli quando questi avevano ancora paura di lui a causa della fama di grande persecutore della Chiesa di Saulo (Atti 9:26-27); san Barnaba volle Paolo come predicatore e lo portò con sè da Tarso ad Antiochia perché lo aiutasse a diffondere il Vangelo (At 11,25-26). San Barnaba viaggiò e predicò il Vangelo assieme a san Paolo in molti luoghi, fino a quando non venne lapidato dagli Ebrei nella sua nativa Cipro.

 

Durante il regno di Zenone, nell’anno 478, vennero ritrovate le sue sacre reliquie, sul petto aveva il Vangelo secondo Matteo, scritto in greco e di proprio pugno. Per questo motivo la Chiesa di Cipro ha ricevuto il diritto all’autocefalia (autogoverno) e al suo arcivescovo è stato dato il privilegio, come l’imperatore, di firmare i suoi decreti e le encicliche in Vermilion.

 

San Barnaba tradizionalmente è considerato il primo vescovo di Milano. Per secoli a Milano la primavera si è festeggiata il 13 marzo, giorno dell’arrivo di Barnaba; nel 1396 tale giorno viene proclamato giorno di astensione dal lavoro e nel 1583 sarà solennemente riconfermato da Carlo Borromeo “dies festivus”, ossia giorno di festa. Un braccio è conservato nella Basilica di San Barnaba a Marino, in provincia di Roma.             

 

 

  • 06: SAN LUCA IL MEDICO ARCIVESCOVO DI SIMFEROPOLI E DELLA CRIMEA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

SAN LUCA IL MEDICO

ARCIVESCOVO DI SIMFEROPOLI E DELLA CRIMEA

DOCENTE DI ANATOMIA TOPOGRAFICA E CHIRURGIA

1877-1961

 

BREVE VITA

 

L’arcivescovo san Luca, al mondo Valentin Feliksovič Vojno-Jaseneckij, nacque il 14/27 aprile 1877 a Kerč, penisola di Crimea. L’ambiente familiare in cui crebbe era particolare, perché suo padre era cattolico romano, mentre la madre, anche se ortodossa, si limitava alle buone azioni senza essere attivamente coinvolta nella vita devozionale della Chiesa.

Si trasferì molto presto a Kiev. A Kiev Valentin decise di studiare medicina. Ottenne la laurea con lode nel 1903 e frequentò i corsi di Oftalmologia.

 

Esercizio della Medicina – famiglia

 

Nel 1904, con lo scoppio della guerra russo-giapponese fu in Estremo Oriente, dove lavorò come chirurgo con grande successo. Lì incontrò Anna Vasil’evna Lanskaja, la sua futura moglie, dalla quale ebbe quattro figli. Dopo la guerra lavora in vari ospedali distrettuali. I successi sono tanti, la sua fama si diffonde rapidamente ed i pazienti gli arrivano dappertutto. Allo stesso tempo compie studi di anestesia locale e scrive articoli scientifici. Preminente nella chirurgia oculare, decide di occuparsi del trattamento delle infezioni piogeniche.

 

Primo arresto – morte della moglie

 

Nel 1917 la moglie contrasse la tubercolosi ed fu costretto a trasferirsi a Taškent, dove fu nominato capo medico dell’ospedale.

Nel 1919 Valentin viene eletto professore presso l’Università di Taškent. La rivoluzione russa era già iniziata e la chiesa fu presa di mira da parte dei bolscevichi. La situazione era fuori controllo. Poi Valentin fu arrestato per la prima volta. La causa fu la calunnia di un infermiere. Con l’aiuto di Dio la verità fu rivelata e il medico fu rilasciato. Questa avventura, però, nonostante il lieto fine, sconvolse Anna, che già soffriva di tubercolosi, e la sua salute si deteriorò al punto che pochi giorni dopo morì. Dopo la sua morte il medico affidò i suoi figli a Sofia Sergeevna Beleckaja, una pia infermiera, che fu per loro una seconda mamma per molti anni.

 

Professore universitario – ordinazione sacerdotale

 

Valentin è stato molto credente e ciò era evidente nel modo in cui lavorava. All’interno della sala operatoria era appesa una icona della Madre di Dio. Prima di operare, accendeva una candela, pregava qualche minuto e poi con una garza imbevuta di iodio segnava con la croce il corpo del paziente. Poi chiedeva con “solennità” il bisturi e iniziava l’intervento chirurgico. Per quell’icona battagliò con l’ente locale per farla rimanere al suo posto.

Il risultato fu quello di creare le prime reazioni dei rappresentanti del regime ateo. Nel frattempo si aggiunse la persecuzione e la piaga della “Chiesa vivente”, che aveva lo scopo di servire gli interessi dello Stato dividendo il clero ed i fedeli, e di rimuoverli dalla vera fede.

In questo periodo di prove per la Chiesa, il medico partecipava attivamente alla vita della Chiesa. Quando l’arcivescovo di Taškent e del Turkestan Innokentij fu accusato dagli scismatici, il medico difese con vigore l’ordine canonico. L’arcivescovo Innocentij, colpito dal coraggio di Valentin, gli propose di diventare sacerdote. In effetti, l’ordinazione a diacono ebbe luogo il 26 gennaio 1921 e una settimana dopo fu ordinato sacerdote.

 

Ordinazione vescovile

 

Nell’estate del 1923 la “Chiesa vivente” compì il suo attacco e soppiantò il vescovo Innocentij. Il clero e il popolo di Taškent, essendo in balia degli scismatici, elesse alla carica di vescovo p. Valentin Vojno-Jaseneckij. La tonsura monacale fu celebrata di nascosto nella casa del sacerdote-professore. Per il nuovo vescovo, fu ritenuto più appropriato come nome, quello dell’Apostolo, Evangelista, Iconografo e Medico Luca.

 

Prigione – scritti – esilio

 

Poi viaggiò fino a Panjakent per essere ordinato vescovo. Questo non passò inosservato e presto il vescovo Luca fu arrestato, accusato di tradimento e imprigionato. In carcere ebbe l’opportunità di completare il libro “Saggi sulla chirurgia delle infezioni piogeniche”, ma che non fu pubblicato per molti anni nonostante la sua importanza per la scienza medica perché l’autore insistette di scrivere sulla copertina la sua carica di vescovo.

Durante la sua assenza i rappresentanti della “Chiesa vivente” occuparono le chiese, ma la gente, fedele al consiglio del pastore, non frequentò le chiese scismatiche. A causa della sua notevole influenza, i responsabili della GPU (Direttorato politico di Stato) decisero di rimuovere il vescovo Luca da Taškent. Al momento del suo ritiro, molti del popolo stavano sui binari della ferrovia per impedirne la partenza. Le persone furono rimosse dalla polizia e il vescovo Luca prese la strada lunga e tortuosa dell’esilio.

Fu imprigionato in condizioni spaventose a Mosca. Lì trovò i primi sintomi dell’insufficienza cardiaca che lo accompagnerà per tutta la vita. Nonostante tutte le difficoltà, il comportamento del vescovo verso tutti i prigionieri gli fece ottenere il rispetto anche dai peggiori fra essi.

 

Chirurgia, primo trapianto

 

In tutti i luoghi di esilio, nonostante le condizioni avverse, non smise di operare e curare i malati. A Enisejsk nel 1924 tentò il primo trapianto di rene al mondo da animale a uomo. Una volta fu costretto ad operare chirurgicamente con un temperino e invece dei punti ad utilizzare capelli dei pazienti.

 

Dimissioni del Vescovo – l’esilio in Siberia

 

Nel 1926 tornò a Taškent. Purtroppo dovette affrontare di nuovo la calunnia da parte dei suoi collaboratori, che lo portarono a dimettersi dalla sua carica di vescovo. Sebbene i medici avessero certificato che il suo stato di salute non lo permetteva, il Vescovo Luca fu esiliato in Siberia. Il regime lo trasferì nella città di Enisejsk, per inviarlo successivamente anche a 2000 km più in là nella città di Turuhansk. E nel nuovo luogo di esilio, non si rifiutò di offrire i suoi servizi a chi ne aveva bisogno, nonostante tutte le condizioni avverse. La gente di Turuhansk lo circondò con amore e rispetto. Questo fu sufficiente per gli atei che progettarono un nuovo luogo d’esilio per il vescovo-medico. Questa volta fu inviato al di là del Circolo Polare Artico, nel villaggio Plahino, dove, durante il solstizio d’inverno il sole non sorge. La salute del vescovo fu deteriorata e tale messa al bando era troppo pericolosa per la sua vita. Questo era lo scopo dei suoi persecutori. Lì, a Plahino, soffrì pesantemente, sia a causa del tempo che per la reazione dei residenti locali. Fortunatamente, due mesi più tardi, a causa della morte di un contadino, la gente di Turuhansk insorse e chiese il ritorno del vescovo. Le autorità non avevano altra scelta che ritornare sui propri passi. Così il vescovo Luca, a cui attraverso una visione era stata annunciata la fine della prova, tornò a Turuchansk e continuò le sue occupazioni indisturbato per 8 mesi in più, vale a dire fino alla fine del suo esilio.

A Taškent continuò la sua opera di carità, ma i suoi avversari non smisero di ricercare l’occasione per allontanarlo.

L’occasione fu presto trovata e il Vescovo di nuovo si trovò a dover rispondere ai funzionari del partito. L’obiettivo questa volta era quello di costringerlo a rinunciare al sacro ufficio. Dopo scioperi della fame, interrogatori estenuanti, e dopo aver trascorso un intero anno di prigione, il vescovo fu esiliato nuovamente nel nord della Russia. La sua attività non disturbò solo le autorità ma anche i residenti. Presto un grave problema di salute lo costrinse ad andare a Leningrado.

 

Prove – problema di vista – due anni di calma

 

Dopo la sua guarigione trascorse un lungo periodo di prove e peregrinazioni. I rappresentanti del partito spingevano il vescovo a lasciare il suo vescovado. In questo periodo di prova spirituale cominciò a perdere la vista dal suo occhio sinistro a causa del distacco della retina. Inoltre, “Saggi sulla chirurgia delle infezioni piogeniche” fu pubblicato senza citare il suo uffizio. Col tempo recupera la pace interiore, che gli era stata negata, e passa due anni di tranquillità e di pace vicino ai suoi figli. Durante questo periodo, lavora negli ospedali di Kotlas, Arhangelsk, Andijan, Taškent dove crea il primo dipartimento di infezioni piogeniche di tutta l’URSS.

 

Arrestato per la 4° volta – l’esilio

 

Il Vescovo Luca aveva 60 anni quando fu arrestato per la quarta volta. Patì terribili torture e rimase in carcere per due anni a Taškent. Nel 1939 fu esiliato di nuovo in Siberia e lavorò nell’ospedale della Bolšaja Murtà.

Servizio nella 2° Guerra Mondiale – promosso Arcivescovo – premi onorari

Quando il 21 giugno 1941 le truppe di Hitler invasero la Russia, il vescovo-medico, anche se in esilio, si offrì volontariamente di lavorare per curare i feriti. Il partito riconobbe il suo valore come medico e lo nominò capo medico dell’ospedale militare e consigliere di tutti gli ospedali della regione di Krasnojarsk. Tuttavia le condizioni in cui fu messo erano deplorevoli, non gli venne riconosciuto alcun diritto politico.

Nella primavera del 1942 cambiò l’atteggiamento dello Stato verso di lui, ma anche verso la Chiesa. In tutto il territorio della Russia furono aperte diverse chiese e le persone trovarono rifugio nei tempi folli della guerra. Per soddisfare le esigenze attuali il vescovo Luca fu promosso arcivescovo di Krasnojarsk.

I tedeschi arretravano, e l’arcivescovo fu spostato ad ovest a Tambov. A quel tempo egli fu responsabile di 150 ospedali militari. La Chiesa per venire incontro all’arcivescovo lo trasferì all’Arcidiocesi di Tambov.

Nel 1946 l’arcivescovo Luca fu insignito del Premio Stalin per il lavoro eroico nella seconda guerra mondiale, e per il grande contributo alla scienza medica.

 

Arcivescovo di Simferopoli e della Crimea – predicazione – l’esilio

 

A 70 anni Luca diventa arcivescovo di Simferopoli e della Crimea. Lì il suo lavoro fu assai duro. La povertà assunse proporzioni tali che egli fu costretto a sfamare ogni giorno a casa propria i bisognosi della zona. La sua attenzione si spostò sulla vita ecclesiale, senza esimersi da ogni congresso scientifico. Fece sforzi sovrumani per aprire chiese, e non smise di predicare la parola di Dio. Allo stesso tempo praticava il lavoro di medico offrendo gratuitamente i suoi servizi ad ogni uomo sofferente, seguendo per tutta la vita il modello del Signore amico degli uomini che nella sua vita terrena ovunque “passò beneficando e risanando” la gente.

Nel 1946 peggiorò la sua vista, mentre nei primi mesi del 1956 divenne completamente ceco.

Nel 1953 a Stalin subentrò Nikita Chruščëv, che iniziò una nuova ondata di persecuzione contro la Chiesa che culminò nel 1959. L’ arcivescovo si curò del suo gregge e cercò di dargli coraggio. Affrontò enormi lotte per tenere aperte le chiese.

L’amore del popolo per l’arcivescovo Luca era evidente. Anche i rappresentanti delle altre religioni e gli stessi atei lo guardavano con rispetto.

 

Dormizione – canonizzazione

 

A 84 anni l’arcivescovo Luca intuì l’avvicinarsi della fine. Nel Natale del 1960 celebrò per l’ultima volta e il tempo rimanente lo dedico esclusivamente alla predicazione. Infine, domenica 11 giugno 1961, giorno in cui si celebravano tutti i Santi della Santa Russia, l’arcivescovo-medico Luca Vojno-Jasenecki si addormentò in pace. Nonostante la forte opposizione del partito, il funerale dell’arcivescovo fu grandioso. Migliaia di persone parteciparono ai funerali e cantarono, mentre la strada per il cimitero fu cosparsa di rose. Da allora la sua tomba divenne una “piscina di Siloe.” I miracoli furono innumerevoli.

Nel novembre 1995 la Chiesa Russa ha ufficialmente proclamato Santo l’Arcivescovo Luca.

Il 17 marzo 1996 c’è stata la solenne traslazione delle reliquie, che furono poste alla pubblica venerazione nella chiesa cimiteriale, dedicata alla memoria di Tutti i Santi. I suoi resti emisero un profumo ineffabile e molti infermi furono guariti miracolosamente. Tra resti mortali, furono trovati incorrotti gli occhi, il cervello, i polmoni ed il cuore. Tre giorni dopo, il 20 marzo 1996, i suoi resti furono trasferiti alla Cattedrale della Santissima Trinità di Simferopoli.

Come data per la sua commemorazione fu scelto l’11 di giugno, anniversario della sua dormizione.

 

Fonte: ΙΕΡΑ ΜΗΤΡΟΠΟΛΙΣ ΘΗΒΩΝ ΚΑΙ ΛΕΒΑΔΕΙΑΣ

 

 

  • 06: Sinassi della MADRE DI DIO, in memoria della rivelazione dell’inno “AXION ESTIN”, dal Santo Arcagelo Gabriele.

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

  • Sinassi della MADRE DI DIO, in memoria della rivelazione dell’inno “AXION ESTIN”, dal Santo Arcagelo Gabriele.

 

(questo miracolo ebbe luogo, secondo la tradizione, nel 982. La sua recita venne redatta nel 1548 dal Protos Serafino, padre spirituale di San Dionisio dell’Olimpo).

 

A poca distanza da Karyes, capitale del Monte Athos, in direzione del monastero di Pantokrator, viveva un monaco virtuoso ed il suo giovane discepolo. Un sabato sera l’anziano partì per assistere alla vigilia della celebrazione, come ogni settimana, alla chiesa del Protaton, lasciando solo il suo discepolo. Venuta la sera, un monaco sconosciuto bussò alla porta e il discepolo lo accolse per la notte. Essi si ritrovarono all’alba per cantare gli uffici del mattutino nella cappella. Ma arrivati alla nona ode, allorché il discepolo intonò l’inno “Più venerabile dei Cherubini” [1] avanti all’icona della Madre di Dio, lo straniero la fece precedere dalle seguenti parole: <<È veramente degno proclamarTi, Madre di Dio, sempre benemerita e tutta immacolata, e Madre del nostro Dio…>>. Sorpreso nell’ascoltare questo canto per la prima volta, il discepolo chiesa al suo ospite di scriverlo e poiché non trovarono la carta, il monaco incise profondamente e senza alcuna difficoltà, con il suo dito, l’inno su una placca di pietra. Poi aggiunse: << A partire da questo giorno tutti gli Ortodossi canteranno così l’inno alla Madre di Dio >>. E scomparve.

 

Ascoltando al suo ritorno il racconto di questa apparizione e vedendo la placca incisa, l’anziano comprese che il monaco straniero altri non era che ‘Arcangelo Gabriele e andò a far conoscere il miracolo al Protos della Santa Montagna e agli anziani. Essi inviarono la placca al Patriarca e all’imperatore, cosicché l’inno fosse diffuso in tutto il mondo ortodosso, e trasferirono l’icona avanti a cui aveva avuto luogo il miracolo nella chiesa del Protaton, dove ella siede da allora, dietro all’altare, come Sovrana, Egumena e Protettrice della Santa Montagna questa icona dell’Axion Estin è, con la Portaitissa, la più celebrata delle icone miracolose del “Giardino della Madre di Dio”. Ella è uscita per ben tre volte, per essere venerata dal popolo (1963-1985-1987), e ricevette allora gli stessi onori tributati ad un capo di stato. Il lunedì di Pasqua è portata in processione solenne a Karyes, nei dintorni, al fine di santificare la natura e proteggere gli abitanti da tutti i mali e le calamità.

 

Quasi tutti i monasteri dell’Athos posseggono una o più icone miracolose della Madre di Dio. Iviron la Portraitissa, Lavra la Ikonomissa, Vatopedi la Bimatarissa, Chilandari la Tricherussa, l’icona dell’akathisto a Dionysiou, Dochiariou la Gorgoypikoos, Philotheou la Glycofiloussa.

 

Note:

 

1) Irmos della nona ode del canone del venerdì Santo, composto da San Cosmas il Melode e cantato ogni giorno con l’ode alla Madre di Dio.