- 06: Memoria del nostro santo padre Onofrio
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo – Napoli
La vicenda spirituale di sant’Onofrio si svolse nel quarto secolo, prima in un cenobio vicino Ermopoli di Tebe, in Egitto, e poi come eremita nel deserto, dove fu scoperto da San Pafnuzio
Una tra le più grandi personalità ascetiche del deserto egiziano, proveniva dalla Persia. Da bambino mostrava già un desiderio ardente di totale dedizione a Dio. In giovane età si unì ad un cenobio, dove per diversi anni si esercitò nella temperanza spirituale e fisica e nell’obbedienza. La sua grande umiltà fece sì che i suoi fratelli lo amassero molto. In seguito, Onofrio volle andare più in profondità nel deserto, per imitare la vita degli asceti. Con grande dispiacere, la confraternita lasciò libero quel suo membro così speciale.
Inoltratosi molto nel deserto, arrivò alla grotta dell’eremita Ermia, che, avuta una rivelazione divina, lo stava aspettando. Ermia lo condusse in una grotta, sotto un’enorme palma, vicino alle acque di una fonte pura. Qui Onofrio compì una grande ascesi spirituale, e presto la sua fama si diffuse presso tutti gli eremiti, che andavano spesso a consultarlo e ad avere una sua benedizione.
Quando san Pafnuzio lo incontrò nel deserto profondo, fu impaurito dal suo aspetto: era ricoperto dai suoi capelli come il pelo di un animale selvatico e completamente nudo, fatta eccezione di una veste di foglie cucite, a protezione dei lombi. Dopo avergli raccontato la sua vita e le dure prove cui era andato incontro da eremita, Onofrio disse che era in procinto di morire, e che Pafnuzio era stato inviato per seppellirlo. Onofrio esalò l’ultimo respiro, e Pafnuzio lo seppellì sotto l’enorme palma.
Sebbene Pafnuzio desiderasse rimanere nella grotta di Onofrio, subito dopo la sepoltura la grotta crollò e la palma, che aveva sfamato il santo. si seccò, indicando che era la volontà di Dio che Pafnuzio ritornasse al suo monastero e facesse conoscere a tutti la vita di sant’Onofrio.
- 06: Memoria di San Leone III, Papa e Patriarca di Roma, che rifiuta l’inserzione del “filioque” nel Credo (verso 816)
Tratto da
http://digilander.libero.it/gogmagog1/ortodossia/Leone_III.htm
Succedette ad Adriano I. Di umili origini, eletto soltanto dal clero, incontrò subito l’opposizione della nobiltà romana e pertanto si rivolse al re dei Franchi, Carlo Magno, patrizio romano dal 774, per ottenere il giuramento di fedeltà da parte del popolo: a tale scopo inviò a Carlo Magno il documento della sua elezione, le chiavi di San Pietro e il vessillo dell’Urbe; Carlo Magno inviò Angilberto, abate di Saint-Riquier con l’intento soprattutto di far presenti i doveri del papa. Qualunque fossero le intenzioni del re con tale atteggiamento, a Roma le ostilità furono soltanto sospese. Infatti la lotta tra nobili e papa si accese al punto che nell’aprile 799 Leone venne assalito durante una processione, percosso e gettato in prigione, ma la notte stessa fuggì in Vaticano. Poi aiutato dal duca di Spoleto, Guinigiso (o Winigisio), riparò a Paderborn (Sassonia) presso Carlo Magno, che gli concedette la sua protezione e lo fece scortare a Roma. Subito dopo vi si recò anche il re franco, che mostrò l’intenzione di esaminare le colpe di cui era accusato Leone. Allora Leone, il 23 dicembre 800, pubblicamente e con giuramento, appellandosi al giudizio divino, dichiarò che tali colpe egli «non aveva perpetrate né ordinato di perpetrarle»; il giorno di Natale il papa incoronò imperatore Carlo Magno e così rafforzò indirettamente la sua posizione.
In campo dottrinale Leone III mostrò la sua indipendenza dai teologi franchi e dallo stesso Carlo nella questione del Filioque nella quale, sotto il pretesto dottrinale, i franchi celavano l’intenzione di creare un dissidio con la parte orientale della cristianità e quindi con l’imperatore romano-bizantino. Davanti alle pretese dei teologi franchi Leone III mostrò la posizione tradizionale di tutta la Chiesa in base alla quale il papa non aveva alcun permesso d’intervenire personalmente quippiam addendi, minuendi sue mutandi nel deposito di fede comune delle Chiese dell’ecumene. Leone III indicò così di considerare il diritto costituzionale e positivo, espresso dal collegiale consenso dei successivi concili ecumenici, come impegnativo canone per la vita organizzata della Chiesa, come storico riflesso giuridico dell’esigenza di visibile comunione e di effettiva unità di tutte le Chiese nella fede professata, indiscriminatamente indispensabile per la salvezza eterna. Forse realisticamente dubbioso sulla futura ottemperanza della Chiesa franca alla sua decisione di proibire l’inserzione del Filioque nel Credo niceno-costantinopolitano, il papa fece incidere il simbolo dei 150 Padri in greco e in latino su dei pannelli d’argento, che fece affiggere nelle basiliche di San Pietro e di San Paolo. Il testo autentico di tale simbolo, che si credeva scomparso, sussiste invece nel suo tenore integrale nel Sic et non di Abelardo, compresa la completa formula di autenticazione, che lo concludeva epigraficamente: Leo indignus tertius episcopus pro amore et cautela orthodoxae fidei fecit. (Sic et non, IV = PL CLXXVIII, col. 1357 C.)
Leone III pronunciò, inoltre, la condanna dei feliciani o adozionisti e del loro eresiarca Felice d’Urgel, nel 798. Nell’805 si recò ad Aquisgrana da Carlo Magno e consacrò la famosa cappella palatina. Gli succedette Stefano IV. L’inserimento del suo nome nel Martirologio romano avvenne soltanto nel 1673