14 aprile- Memoria dei santi Apostoli dei settanta Aristarco, Pudente e Trofimo; di santa Tomaide di Alessandria; del santo martire Ardalione il mimo (298); di san Demetrio del Peloponneso (1803)
Sinassario
Il 14 di questo mese memoria dei santi apostoli del numero settanta Aristarco, Pudente e Tròfimo.
Stichi. Onoriamo Aristarco come trionfatore perché lottò valorosamente subendo persino la spada. Dove ti sei trasferito, Pudente, dopo la decapitazione, dove ti sei trasferito? Sono soltanto accorso alla gloria incorrotta. Tròfimo desiderò cibo celeste e si offrì in dono a chi lo colpiva con la spada. Il quattordici aprile Aristarco subì la decapitazione.
Lo stesso giorno memoria del santo martire Ardalione il commediante.
Stichi. Davvero adesso Ardalione viene lodato come mimo, poiché imitando i martiri, subì il fuoco.
Lo stesso giorno memoria della santa martire Tomaide.
Stichi. Hai preso, o Padre, Tomaide da questo secolo per quello futuro, secondo la Scrittura.
Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.
• 14.04: Memoria dei Santi Tiburzio, Valeriano e Massimo Martiri di Roma
a cura del Protopresbitero Giovanni Festa
Tratto dal quotidiano Avvenire
I tre santi martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo, vissuti nel III secolo a Roma, sono ricordati da antiche fonti sin dal V secolo, tuttavia vi sono due versioni che trattano la loro personalità ed esistenza storica; una è legata alla «Passio» di santa Cecilia († 232), mentre l’altra è riportata dal «Martirologio Geronimiano». Secondo la «Passio», Valeriano era sposo di Cecilia e da lei convertito, fu battezzato dal papa Urbano I (222-230) e a sua volta convertì al cristianesimo il fratello Tiburzio; ambedue furono condannati a morte dal prefetto Almachio, che li affidò al «cornicularius» Massimo, (ufficiale in seconda del console) il quale prima di fare eseguire la sentenza, si convertì anche lui, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo. Valeriano e Tiburzio furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus da Cecilia, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato, e che poco dopo seppellì anche Massimo in un diverso sarcofago.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49450
I tre santi martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo, vissuti nel III secolo a Roma, sono ricordati da antiche fonti sin dal V secolo, tuttavia vi sono due versioni che trattano la loro personalità ed esistenza storica; una è legata alla “passio” di s. Cecilia († 232), mentre l’altra è riportata dal ‘Martirologio Geronimiano’.
Nel suddetto Martirologio sono citati ben quattro volte, la prima li indica come sepolti nel cimitero di Pretestato e ricordati il 14 aprile e questa versione è quella passata poi nel Martirologio Romano, ancora oggi in uso.
Le altre versioni li ricordano come sepolti in altri cimiteri di Roma, ricordati in date diverse, a volte confusi, come il caso di s. Tiburzio con altro omonimo; gli studiosi della materia non sono giunti ad una certezza assoluta, sembra comunque che nel cimitero di Pretestato era sepolto il solo s. Tiburzio con celebrazione al 14 aprile, mentre nel cimitero di Callisto vi erano Massimo e Valeriano con la loro celebrazione al 21 aprile, che vennero poi traslati nel cimitero di Pretestato; sembra che in seguito fu s. Gregorio Magno ad unirli in un’unica celebrazione.
Comunque secondo la ‘passio’, Valeriano era sposo di Cecilia e da lei convertito, fu battezzato dal papa Urbano I (222-230) e a sua volta convertì al cristianesimo il fratello Tiburzio; ambedue furono condannati a morte dal prefetto Almachio, che li affidò al “cornicularius” Massimo, (ufficiale in seconda del console) il quale prima di fare eseguire la sentenza, si convertì anche lui, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo.
Valeriano e Tiburzio furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus da Cecilia, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato, e che poco dopo seppellì anche Massimo in un diverso sarcofago.
I loro sepolcri furono restaurati prima da Gregorio III (731-41) poi da Adriano I (772-795) e finalmente da Pasquale I (817-24) il quale trasferì le loro reliquie nella basilica di S. Cecilia a Trastevere.
• 14.04: Memoria dei Ss. Procolo Vescovo di Terni e Abbondio sacrestano della Chiesa di San Pietro a Roma
a cura del Protopresbitero Giovanni Festa
San Procolo Vescovo di Terni
Sta in
SAN PROCOLO TITOLARE
DELLA CHIESA FAENTINA DI PIEVE PONTE
Un enigma agiografico
Il Vescovo di Ravenna? Il Martire di Bologna? Il Martire Umbro?
(di Giuseppe Sgubbi)
http://www.duepassinelmistero.com/sanprocolo.htm
Procolo umbro
Molte delle notizie riguardanti questo Procolo si apprendono dalla già ricordata Passio XII Siri B.H.L 1620, una leggenda scritta da un monaco dell’VIII sec. del centro spoletino di S. Brizio: secondo tale passio, Procolo e altri 11 compagni (Anastasio, Eutizio, Brizio, Abbondio, Giovanni, Valentino, Isacco, Carpofero, Lorenzo, Ercolano e Barattale, tutti provenienti dalla Siria), dopo essere arrivati a Roma, si dirigono lungo la Valle Tiberina (valle del Tevere), per fare opera di evangelizzazione. Alcuni di loro, come poi vedremo, diventano vescovi di varie città umbre, altri fondano dei monasteri, quasi tutti sono costretti a subire il martirio. Si tratta di una leggenda, specialmente dal punto di vista cronologico, completamente inaffidabile: infatti vengono raggruppate persone vissute a distanza anche di diversi secoli , toccando un arco di tempo vastissimo, dall’anno 231 al 656.
Giustamente il Penco (25) definisce questa Passio “famigerata”, poiché, purtroppo, è diventata la “croce” degli studiosi di storia ecclesiastica umbra: infatti, pur contenendo racconti fantasiosi, contiene anche moltissime notizie riguardanti i primordi della chiesa umbra, conseguentemente, molto si è dovuto attingere da essa. Non è chiara la ragione per cui fu scritta tale leggenda, probabilmente lo scopo fu quello di mettere in evidenza il contributo “siriaco” alla evangelizzazione della zona. Da questa leggenda è possibile ricavare anche utili notizie riguardanti l’irradiazione del cristianesimo verso l’alta Italia ed in particolare verso la Romagna. Si tratta di un tema che a mio parere non ha ricevuto quell’approfondimento che invece meritava. A parere della stragrande maggioranza degli studiosi, il cristianesimo sarebbe arrivato a Classe via mare e poi si sarebbe irradiato nell’entroterra (26): ebbene nessuno vuol mettere in dubbio l’importanza avuta dalla presenza del porto di Classe, che ha sicuramente favorito l’arrivo di persone da ogni parte del mondo e perciò anche di qualche cristiano, ma, se per irradiazione del cristianesimo intendiamo il cristianesimo organizzato (cioè elezioni dei vescovi, delimitazione territoriale diocesiana, erezioni di chiese, ecc), l’irradiazione non può che essere arrivata da Roma. La tradizione che i primi vescovi di Ravenna fossero tutti provenienti dalla Siria e che Sant’ Apollinare sia stato mandato da Pietro non deve essere intesa come una provenienza “siriaca” via mare, bensì come una provenienza “siriaca” via terra, tramite la valle Tiberina (27). Giustamente dice il Mochi Onory 28) che “il gioco di questa regione, cioè l’Umbria, è quello di ponte di passaggio tra il nord ed il sud dell’Italia e tra le due città maggiori dell’alto Medio Evo: Roma e Ravenna”. Si tenga pure presente che in Umbria il Cristianesimo si è sviluppato prestissimo (non a caso proprio in tale area geografica si trovano le più antiche tracce di vita monastica), perciò non deve sorprendere che l’Umbria sia stata una “base” di partenza per l’irradiazione del Cristianesimo verso altre zone. Pur prendendo atto che quella di Ravenna è la diocesi romagnola più antica e che perciò Ravenna ha sicuramente dato un grosso contributo alla diffusione della “buona novella” in Romagna, non si può escludere che il culto di qualche santo sia arrivato dalle nostre parti senza esser dovuto obbligatoriamente passare da Ravenna. Un esempio su tutti: S. Savino. Ritorniamo ai componenti della Passio XII Siri: quasi tutti sono elencati e festeggiati nel calendario ufficiale della chiesa cattolica e, oltre che col nome e il titolo, sono ricordati topograficamente: il 1° marzo, Ercolano vescovo di Perugia; il 15 maggio, Eutizio di Ferento; il 17 agosto, Anastasio vescovo di Terni; il 19 settembre, Giovanni vescovo di Spoleto; il 9 ottobre, Barattale vescovo di Spoleto; il 10 dicembre, Carpofero ed Abbondio; il 14 febbraio Lorenzo vescovo di Spoleto ed il 1° dicembre, Procolo vescovo di Narni. Quasi tutti questi santi sono pure descritti nella Biblioteca Sanctorum. Significativo il ricordo di alcuni di loro nei più autorevoli ed antichi Martirologi. Tutti questi dati ci dicono che questi santi, pur essendo le loro gesta riportate dalla leggendaria Passio, sono realmente vissuti.
E veniamo ora a S. Procolo: la sicura esistenza di questo santo nella Valle Tiberina è documentata da San Gregorio, che, in un suo dialogo, ricorda la celebrazione di una messa in una chiesa dedicata a S. Procolo (Beati Proculi martyris natalitius dies) (29), ma ancor prima il santo è ricordato nella Passio S. Valentini B.H.L.8460, ambientata sub Claudio, perciò datata al 268-70.
Gli antichi Martirologi, lo recensiscono più volte: si pensi che il Geronimiano lo ricorda in Umbria in ben 5 date: 14 febbraio, 14, 15, 18 aprile e 1 maggio. Le recensioni più significative sono comunque queste: al 1° dicembre quella di Usuardo (Civitate Narnis sancti Procoli presbiter); sempre al 1° dicembre alcuni codici romani del Martirologio di Beda (Interamne sive Narniis Proculi episcopi et martyris); al 1° maggio il Geronimiano (Interamma miliario sexagesimo IIII Proculi…..); ancora il Geronimiamo, al 14 aprile (Interamna, Procuri). Da queste antiche testimonianze si apprende che in Umbria un S. Procolo era venerato in due città, Terni e Narni, e ricordato in varie date (14 aprile, 1° maggio e 1°dicembre, a cui naturalmente va aggiunta la data del 1° giugno ricordata nella leggendaria Passio XII Siri). A Terni da tempi immemorabili si festeggia in aprile un martire Procolo. Naturalmente non è possibile sapere se si tratta di un solo Procolo o di più santi con tale nome. Occorre far presente che, a parere della stragrande maggioranza degli studiosi, si tratterebbe di un solo Procolo, cioè quello ricordato nella Passio Sancti Valentini e nella Leggenda XII Siri, che col tempo, come è accaduto anche per altri santi, avrebbe subito vari “sdoppiamenti”.
Dalle notizie riguardanti il Procolo “siro” abbiamo appreso che in Umbria è sicuramente esistito un santo con tale nome, ma non abbiamo appreso elementi sufficienti per poter dimostrare che questo è il titolare di Pieve Ponte. Ci troviamo perciò ancora al “palo” di partenza, ma il ritrovamento di un antico documento ci permette di fare qualche passo in avanti: si tratta di un antico calendario rinvenuto nel 1895 nella Biblioteca Antoniana di Padova, ma proveniente dal celebre monastero benedettino di Leno. Questo calendario , datato 883, è conosciuto dagli studiosi come “Calendario Carolingio dei riposi festivi”, in quanto descrive le giornate di festa di una chiesa locale. Molto contestata la sua attribuzione: per alcuni è veronese (30), per moltissimi bolognese (31), per il Pini invece (32), alla luce di importanti considerazioni, sarebbe faentino.
Questo calendario contiene una notizia che per la presente ricerca riveste una particolare importanza: al 1° giugno riporta una “translatio martyrum Procoli et Laurentii”. Questo significa che in una chiesa faentina, che potrebbe benissimo essere Pieve Ponte, veniva solennemente festeggiato un arrivo di reliquie.
Se poi aggiungiamo che in un manoscritto del Martirologio di Beda (33), al 6 giugno è ricordata una translatio del corpo di Procolo avvenuta a Terni (Et Interamne translatio corporis beati Proculi, Martyris), abbiamo la possibilità di conoscere anche il probabile punto di partenza delle reliquie.
Cotesta translazione, o almeno il suo ricordo, si ritrova nel più antico calendario sicuramente faentino (XV secolo) pubblicato dal Lanzoni (34), nel quale al 1° giugno compare ancora un S. Procolo, ma questa volta aggregato a S. Nicomede. In questo calendario compare, per la prima volta al 1° dicembre, un Sancti Proculi archiepiscopi ravennatis. Ritornando alla nostra translatio, abbiamo visto che insieme a Procolo è ricordato un S. Lorenzo. Ma chi è questo S. Lorenzo? Non l’universalmente noto Lorenzo, diacono romano festeggiato il 10 agosto (cioè quello della “graticola”), ma un altro Lorenzo festeggiato il 4 febbraio, cioè un componente della Passio XII Siri. Se vi è qualche dubbio che questo sia il Lorenzo fondatore del Monastero di Farfa, come riportato dal Chronicon farfense di Gregorio di Catino, non vi sono invece dubbi sul fatto che questo sia il Lorenzo che, avendo tenuto la cattedra sabinese, è ricordato da San Pier Damiani nella lettera che questi mandò a Papa Nicolò II (35). Sono fermamente convinto che se si facesse una indagine sulle numerosissime chiese dedicate a S. Lorenzo, si constaterebbe, come è accaduto in Umbria (36) e nel bolognese (37), che in alcune di queste non è venerato il Lorenzo della “graticola”, ma il Lorenzo “siro”. Se poi si volesse indagare anche su tutti gli altri componenti della Passio XII Siri, apprenderemmo tante cose interessanti, delle vere e proprie sorprese, per esempio che il S. Valentino di Terni, festeggiato il 14 febbraio (cioè il Valentino degli “innamorati”) corrisponde al Valentino “siro” (38). Non a caso quest’ultimo S. Valentino compare nel Martirologio Romano proprio al 14 febbraio insieme a Procolo (Interamnae sanctorum Proculi Ephebi,et Apolloni Martyrum qui cum ad sancti Valentini…) e dalla Passio di S. Giovenale B.H.L. 4614 si apprende pure che l’oratorio di Terni, a S. Valentino dedicato, fu pure fatto erigere da S. Procolo. Continuando la suddetta indagine, apprenderemmo pure che il S. Eustacchio titolare di una chiesa faentina ed il S. Eustacchio di Mordano corrispondono al S. Anastasio “siro” (39).
Senza alcun dubbio la presenza del Lorenzo “siro”, nella ricordata translatio, conferma che le reliquie non sono arrivate da Ravenna , neanche Bologna, ma dall’Umbria.
Nonostante questa translatio ci abbia fatto conoscere molte notizie interessanti riguardanti Pieve Ponte, gli “enigmi” enunciati in apertura, sussistono ancora quasi tutti. Infatti molti sono gli interrogativi che attendono ancora una risposta: chi ha portato a Pieve Ponte il culto di S. Procolo? In che epoca è stato portato? La data del 1° giugno riguarda solo una translatio? Come mai è venerato al 1° dicembre?
Vediamo se ci sono elementi che permettano di rispondere ai primi due interrogativi. Il già ricordato Pini, nel corso di due suoi articoli, entra in argomento: nel primo (40), dice che le reliquie ricordate dalla translatio sarebbero arrivate nel faentino verso la fine dell’VIII secolo, cioè nel periodo Longobardo, ma non si pronuncia al riguardo di chi le ha portate. Nel secondo articolo (41), indirettamente, ritorna sull’argomento limitandosi a far presente che i monaci benedettini che nella prima metà del XI secolo portarono il culto di San Procolo nella abbazia benedettina di Bologna provenivano da Faenza, ove, aggiunge, il culto era da tempo documentato dall’esistenza di Pieve Ponte, chiesa a lui dedicata. Non è chiaro cosa esattamente intenda dire il Pini: intende forse dire che a Faenza vi era, come a Bologna un monastero benedettino dedicato a San Procolo, magari collegato a Pieve Ponte? Oppure che anche a Faenza il culto di S.Procolo fu portato dai benedettini? Effettivamente vi era a Faenza un monastero benedettino, cioè Santa Maria “Foris Portam”, ma non mi pare che abbia avuto, diversamente dal monastero benedettino bolognese, alcun collegamento con S. Procolo (42). Personalmente non credo ad un probabile “veicolo” benedettino portatore nel faentino del culto Procoliano, in quanto tale ipotesi incontrerebbe un ostacolo forse insormontabile nel “silenzio” di San Pier Damiani: questi, monaco appartenente alla regola “benedettina”, se avesse saputo che grazie ad alcuni suoi confratelli fosse arrivato a Faenza il culto di S. Procolo, con conseguente dedicazione di una chiesa, non avrebbe mancato di riferirlo. A mio parere il culto in Romagna di S. Procolo è arrivato in epoca prebenedettina: quando esattamente è difficile dirlo. Alcuni componenti della Passio XII Siri risultano viventi all’epoca di Giuliano l’Apostata, morto nel 363, perciò possono averlo portato nel corso della già ricordata e documentata irradiazione del cristianesimo umbro verso la Romagna, oppure può essere arrivato durante il periodo gotico: antiche tradizioni dicono che in tale periodo per sfuggire dalla “persecuzione” del goto Totila, molte persone, sia laici che cristiani, fuggirono dall’Umbria (43). Vi sono buone ragioni per ritenere che la popolazione che ha portato il culto di S. Procolo nelle nostre zone abbia pure lasciato un altro “segno” nella antica toponomastica: essendo questa proveniente dalla valle Tiberina, per un certo periodo ha chiamato Tiberiacum il fiume Senio (44).
25) G.PENCO, Il monachesimo in Umbria dalle origini al VII secolo, in “Atti del II convegno di studi umbri”,1965, pp.262.
(26) F.LANZONI, I primordi del cristianesimo in Romagna, in “La Pié” ,1930 pp. 27-32.
(27) Sulla presenza siriaca a Ravenna e sulla influenza anche nelle liturgia : M. MAZZOTTI, La siria a Ravenna, op, cit: Idem, Ravenna e L’Oriente in “Kanon” 1977, pp. 19-27; A.BAUMSTARK , I mosaici di Sant’apollinare Nuovo e l’antico anno liturgico ravennate, in, “Rassegna Gregoriana”, 1910, pp. 32 ss. Per una particolare tipo di croce detta “siriaca” esistente a Ravenna , ma trovato un esemplare anche nel solarolese, si veda, G. SGUBBI, Solarolo dalla più remota antichità all’anno mille , in “Il territorio di Solarolo e le sue vicende”, 1992 ,pp. 40.
(28) S.MOCHI ONORY, Ricerche sui poteri civili dei vescovi nelle città umbre durante il Medio Evo, 1930, pp.14.
(29) Si tratta della chiesa di Ferento.
(30) A.I.PINI Un calendario dei riposi festivi del IX secolo già presunto bolognese e poi veronese ed ora attribuito alla chiesa di Faenza, in “Studi Romagnoli” XXVII 1976,pp.213.
(31) Ibid, pp.210.
(32) Ibid ,pp.232
(33) H.QUENTIN , Les Martyrologes Historiques du moyen age, 1908 ,pp.37
(34) F. LANZONI, Il più antico calendario, ecc, op, cit. pp. 22.
(35) S.PIER DAMIANI, epist,9, b 1 Ab Nicolaum.
(36) C. RIVERA, Per la storia dei precursori di San Benedetto nella provincia Valeria, in “Bullettino dell’Istituto, Storico Italiano e Archivio Muratoriano” 1932, pp. 31.
(37) A.I.PINI, Una pieve intitolata a San Procolo nella alta montagna bolognese del XI secolo?, in “Il Carrobbio” 2001 pp. 26 e 30.
(38) A.AMORE, S.Valentino di Roma o di Terni?, in “Antonianum”, 1966 ,pp.260-277.
(39) Da identificare con il S. Anastasio monaco di Suppetonia ricordato da Gregorio Magno, cifr F.LANZONI, Le origini del cristianesimo e dell’episcopato nell’Umbria romana, in “Riv. storico -critica di scienze religiose” ,1907 pp. 831.
(40) A.I.PINI, Un calendario dei riposi festivi ,ecc op, cit ,pp. 235.
(41) A.I.PINI, Nuove ipotesi , ecc, op, cit ,pp.34.
(42) S. PRETE, Spunti critici di storia del Monachesimo nell’opera lanzoniana, in Nel centenario della nascita di Mons F.Lanzoni , 1963, pp.123.
(43) G.PENCO, Il monachesimo in Umbria ,ecc ,op, cit, pp.270.
(44) G.SGUBBI, Il Senio: l’antico Tiberiacum?, in “Studi Solarolesi ed altri scritti di varie antichità”, 2002 pp.2 e3.
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Sant’Abbondio sacrestano della Chiesa di San Pietro,
Roma (verso il 654)
Martirologio Romano A Roma presso san Pietro, commemorazione di sant’Abbondio, che, come attesta il papa san Gregorio Magno, fu umile e fedele mansionario di questa Chiesa
Tratto da http://w.ww.santiebeati.it/dettaglio/49530
Mansionario della basilica di San Pietro in Vaticano, santo. I Dialoghi di san Gregorio Magno sono l’unica fonte che ci parli di lui, senza tuttavia precisare l’epoca in cui visse. Nei codici il suo nome compare nelle varianti Acoitius, Agontius, Habundius, e la sua morte è stata universalmente, quanto arbitrariamente, posta nell’anno 564. San Gregorio lo descrive come uomo di grande umiltà e di tale dignità nell’adempimento del divino servizio, che lo stesso apostolo Pietro volle dimostrare con un miracolo quanta considerazione avesse per lui. Narra, infatti, san Gregorio che un giorno una fanciulla paralitica, mentre si trovava nella basilica e trascinava per terra le sue membra inerti cercando di sostenersi sulle mani, invocò insistentemente la guarigione dal beato Pietro. E questi una notte le apparve in sogno ordinandole di recarsi da Abbondio per ottenere la guarigione. Tornata nella basilica e imbattutasi nel mansionario, la fanciulla gli narrò la miracolosa visione ed Abbondio, presala per mano, la restituì alla sanità primitiva. Fin qui il racconto di san Gregorio
Saint Aristarchus is mentioned in the Epistle to the Colossians (4:10), and also in the Epistle to Philemon (v. 24). By his ascetical manner of life, this Saint proved to be another Saint John the Baptist. He became Bishop of Apamea in Syria, and brought many to the Faith of Christ. Saints Pudens and Trophimus are mentioned in II Timothy 4:20-21. Also, Acts 21:29 mentions that Trophimus was from Ephesus. According to sources that Saint Dorotheus of Tyre (celebrated on June 5) found written in Latin in Rome, these Apostles were beheaded in Rome during the reign of Nero (54-68).
Sant’Aristarco è menzionato nell’Epistola ai Colossesi (4,10) e anche nell’Epistola a Filemone (v. 24). Per il suo modo di vita ascetico questo Santo si dimostrò un altro Giovanni Battista. Divenne vescovo di Apamea in Siria e portò molti alla fede di Cristo. I santi Pudente e Trofimo sono menzionati in II Timoteo 4, 20-21. Inoltre, Atti 21,29 menziona che Trofimo era di Efeso. Secondo fonti in latino che San Doroteo di Tiro trovò a Roma, questi Apostoli furono decapitati nella capitale durante il regno di Nerone (54-68).