14.07: Memoria dei SANTI APOSTOLI E MARTIRI AQUILA E PRISCILLA DEI SETTANTA                          

testo inglese tradotto da Joseph Giovanni Fumusa

Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2017/02/synaxarion-of-holy-apostles-and-martyrs.html

 

Il Santo Apostolo Aquila era originario dell’area del Mar Nero ed era un fabbricante di tende durante il regno dell’Imperatore Claudio (41-54). Aveva udito predicare il Santo Apostolo Paolo a Corinto ed il divino Paolo andò da Aquila, che si trovava a Corinto stessa. Come è scritto negli Atti: “Dopo questi fatti egli lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un ebreo, di nome Aquila, oriundo del Ponto, giunto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma. Egli si unì a loro. Essendo del medesimo mestiere, andò ad abitare e a lavorare con loro. Infatti, di mestiere, erano fabbricanti di tende.” (Atti 18:1-3) Avendo dunque incontrato l’Apostolo Paolo, si fece battezzare con sua moglie Priscilla. Successivamente seguirono e servirono Paolo, affrontando insieme i pericoli e sopportarono tentazioni ovunque lo seguissero.

Paolo amava molto questi due Apostoli, principalmente per la loro virtù ed anche per la loro fede in Cristo, tanto da riferirsi ad essi tre volte nelle sue epistole. Nella sua Lettera ai Romani dice: “Salutate Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù, i quali hanno rischiato la vita per me; a loro non io soltanto sono grato, ma anche tutte le chiese dei gentili.” (Rom 16:3-4). In 1 Corinti scrisse: “Aquila e Priscilla, con la chiesa che è in casa loro, vi salutano molto nel Signore.” (1 Cor 16:19). Ed in 2 Tim: “Saluta Priscilla e Aquila.” (2 Tim 4:19). Così queste persone benedette condussero il loro servizio a Cristo e Paolo e compirono molti miracoli. In seguito furono catturati da alcuni miscredenti e decapitati, passando così dalla terra ai cieli. Sant’Aquila è celebrato separatamente anche il quattordici Luglio.

 

Apolytikion, Tono I

Come discepolo e compagno di Paolo hai ricevuto nell’anima la grazia della predica. Splendesti nell’oscurità dell’errore e hai lottato per la gloria del Signore. Sacro ministro del Salvatore, Aquila, noi ti acclamiamo.

 

Kontakion, Tono IV

La Chiesa ti ha ottenuto, o Aquila, tu che splendesti come un grande sole. Con lo splendore del tuo insegnamento, essa illumina quanti ti onorano con fede, o glorioso Apostolo del Signore.

 

 

 

  • 14.07: memoria del nostro santo Padre teoforo NICODEMO l’AGHIORITA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il 14 di questo mese si celebra la memoria del nostro santo Padre teoforo NICODEMO l’AGHIORITA.

Questo astro brillante della Chiesa, nacque nel 1749 nell’isola di Naxos dell’arcipelago delle Cicladi. I suoi genitori, pii e timorati di Dio, gli diedero il nome di Nicola al Santo Battesimo e lo affidarono al prete del villaggio per imparare a leggere. Egli era stato dotato da Dio non solo di una viva intelligenza ma anche di una memoria eccezionale, che gli permetteva di registrare immediatamente tutto ciò che leggeva, e di ricordare senza difficoltà ogniqualvolta volesse. Mandato a Smirne all’età di sei anni, per ricevere gli insegnamenti del maestro Ieroteo della Scuola Evangelica, si fece amare da tutti, maestri e condiscepoli, per la dolcezza e la raffinatezza dei suoi modi. Oltre le lettere profane e le diverse discipline delle scienze sacre, apprese il latino, il francese e divenne maestro nella conoscenza del greco antico, grazie alla quale poté adempiere alla missione che Dio gli aveva preparato: rendere accessibile al popolo greco ortodosso oppresso, i tesori della Tradizione della Chiesa.

 

Dopo quattro anni di studi a Smirne, a causa dei Turchi che massacravano i Greci della regione dopo la campagna di Russia, egli fu costretto a ritornare nella sua patri, Naxos. Qui incontrò o monaci Gregorio, Nifone, e Arsenio esiliati dalla Santa Montagna a seguito della controversia dei “Coliva”; essi suscitarono in lui l’amore per la vita monastica e lo iniziarono alla pratica dell’ascesi e della preghiera interiore. Informato da loro che viveva a Hydra il Metropolita Macario di Corinto uomo di grandi virtù, immerso nella dottrina dei Padri della Chiesa, Nicola vi andò, come il cervo assetato corre alla fonte d’acqua e trovò presso il santo gerarca una piena comunione di pensiero e di aspirazione su ciò che concerneva la necessità urgente di tradurre e pubblicare. Le fonti della tradizione ecclesiastica. Qui fece conoscenza del celebre eremita Silvestro di Cesarea, che viveva in una cella isolata a poca distanza dalla città. Questo santo uomo gli fece un elogio così bruciante delle delizie della vita solitaria che Nicola decise di non tardare più a lungo a prendere il giogo dolce e soave di Cristo, ed è, munito di lettera di raccomandazione di Silvestro che si imbarca per il Monte Athos (1775.

 

Entra subito al monastero di Dionisiou, ricevette l’abito monastico sotto il nome di Nicodemo, venne nominato segretario e lettore, divenendo ben presto il modello di tutti i fratelli, tanto nei servizi che svolgeva con grande obbedienza senza mormorare, che nello zelo per la preghiera e l’ascesi. Egli saliva ogni giorno più in alto, sottomettendo la carne, allo spirito, preparandosi così ai combattimenti della vita esicasta. Due anni erano trascorsi quando San Macario di Corinto, in visita alla Santa Montagna, diede a Nicodemo l’incarico della revisione e preparazione per l’editoria della Filocalia, enciclopedia ortodossa della preghiera e della vita spirituale. Il giovane monaco si ritirò in un kellion a Karyes, per compiere questo lavoro degno dei maestri dell’esicasmo più avanzati e che esigeva una conoscenza approfondita della scienza dell’anima. Egli fece lo stesso per l’Everghetinòs, e per il Trattato sulla Comunione frequente, redatto da san Macario, ma che arricchì considerevolmente. Una volta terminata questa opera, ritornò a Dionisiou; ma la frequentazione dei Padri della Filocalia, come l’esercizio intenso della preghiera di Gesù, gli avevano regalato il gusto di consacrarsi di più, completamente. Avendo sentito parlare di san Paisji Velitchovskji (15 novembre), che guidava un migliaio di monaci in Moldavia in questa Santa attività della mente che ritorna nel cuore, egli tentò di raggiungerlo. Ma, la divina Provvidenza, gli impedì di realizzare il suo progetto. Di ritorno al Monte Athos e bruciando dal desiderio di consacrarsi alla preghiera della solitudine, egli non ritornò al monastero di Dionisiou, ma si ritirò in una cella vicino a Karyes , e poi alla skiti di Kapsala, dipendenza del monastero di Pantokrator, in un eremitaggio dedicato a san Attanasio, dove ricopiava manoscritti per sopperire ai suoi bisogni. Potendosi dedicare lì, notte e giorno senza distrazioni, alla preghiera e alla meditazione dei Santi Padri, egli salì rapidamente i gradini della scala spirituale. Dopo un po’ di tempo il santo anziano Arsenio del Peloponneso, che egli aveva conosciuto a Naxos, volle rientrare all’Athos e sistemarsi nella kellion di Nicodemo il quale rinunciò di buon grado alla solitudine e approfittando dei benefici dell’obbedienza, divenne suo discepolo. Essi avevano appena terminato la costruzione di una nuova cella che, vedendosi turbati nella loro solitudine, decisero di ritirarsi nell’isola deserta e arida di Skiropula, di fronte all’Eubea (1782). Ma dinnanzi alla difficoltà di sopravvivenza, Arsenio partì per un altro luogo, lasciando Nicodemo da solo. Ed è lì, che alla richiesta di suo cugino, il vescovo Ieroteo di Euripo, il santo redisse il suo capolavoro: “Il manuale di buoni consigli” sul dominio dei sensi e dei pensieri e sull’attività della mente. All’età di trentadue anni soltanto, privato di libri e di notte, e non avendo per risorsa che il tesoro della sua immensa memoria e il suo intrattenimento continuo con Cristo, egli espose in questa opera un condensato di tutta la dottrina spirituale Padri, arricchita da un numero impressionante di citazioni, accompagnate dai loro esatti riferimenti. Egli insegnava come liberare la mente (Nous) dal suo attaccamento ai piaceri dei sensi, al fine di permettersi di elevarsi, attraverso la preghiera interiore (o preghiera del cuore) ai piaceri spirituali della contemplazione. Durante questo soggiorno nell’isola deserta, il santo affrontò violenti attacchi contro i demoni, che cercarono di allontanarlo. Ma nonostante la sua giovane età di natura timorosa. Quando in seguito gli spiriti delle tenebre venivano a bisbigliare alla finestra, egli non alzava la testa dai suoi libri se non per ridere per le loro impotenti imprese.

Dopo un anno trascorso a Skyropulo, egli ritornò all’Athos, vi ricevette il grande Abito e acquisì il kellion di San Theonà a Kapsala e accettando di prendere come discepolo il giovane Ieroteo, si consacrò più che mai nella scrittura e all’insegnamento dei fratelli che venivano ad installarsi nelle vicinanze per trarre profitto dalla sua scienza.

 

In occasione di un nuovo soggiorno sulla Santa Montagna, San Macario gli confidò il segreto di pubblicare la traduzione delle opere complete di San Simeone il Nuovo Teologo. Nell’introduzione di questa opera che contiene profondi insegnamenti sulla contemplazione, san Nicodemo precisò che questi libri non erano diretti solo ai monaci ma anche ai laici poiché tutti i cristiani erano stati chiamati a vivere la perfezione Evangelica. Egli redisse in seguito un “Manuale del Confessore” [1], e tradusse in una unica raccolta, secondo gli otto toni e per ciascun giorno della settimana, i canoni della Madre di Dio cantati alla fine dei vespri o alle compiete nei monasteri. Oltre numerose composizioni liturgiche [2], egli pubblicò due opere adattate da famosi libri spirituali occidentali: “Il combattimento invisibile di Lorenzo Scrupoli” (1589) [3] e “Gli esercizi spirituali” [4], libri che hanno conosciuto, fino ai giorni nostri, un successo che non si smentisce. Lontano dall’essere delle semplici traduzioni, queste opere furono profondamente rimaneggiate e adattate dal santo esicasta, che vi inserì un insegnamento ineccepibile sul pentimento, l’ascesi e la preghiera di Gesù. Nel frattempo, il libro sulla Comunione frequente, aveva creato delle violente reazioni tra quei monaci che difendevano l’abitudine, contraria ai Santi Canoni e alle tradizioni apostoliche, di non comunicare che tre o quattro volte l’anno. Accusato di essere eresia ingannatrice, il libro fu condannato dal Patriarca Pacomio ma, dopo l’installazione di Neofito VII (1789), l’interdizione fu levata e i “Collivades” si ritrovarono come i giusti difensori della tradizione. Grossolane e ridicole calunnie continuavano tuttavia a circolare in taluni ambienti monastici contro San Nicodemo, arrivando perfino ad accusarlo di nascondere la Santa Comunione nel suo stufo (cappello) al fine di poter comunicare lungo il cammino. Ma il santo preferiva mantenere il silenzio, non aspettando che da Dio la sua giustificazione, e versava lacrime per la conversione di quelli che si trovavano nell’errore a proposito della commemorazione dei defunti la domenica. Allorchè lo ieromonaco Agapio del Peloponneso andò al Monte Athos per proporre a san Nicodemo di ritoccare e tradurre una raccolta di santi Canoni che egli aveva preparato amplificando dei commenti, il santo, per cui la vita e la disciplina della Chiesa, erano più preziose che la sua propria vita, si mise al lavoro con accanimento, riunendo quattro calligrafi per finire in tempo opportuno questa raccolta indispensabile che chiamò “il Timone” (Pedalion). Egli lavorò giorno e notte, per più di due anni, compilando e correggendo i testi falsati o contradditori, mettendo in parallelo i canoni dei Concili, dei Padri e i decreti della legislazione bizantina, e soprattutto arricchendo l’opera di un numero impressionante di note che determinarono i criteri fondamentali della applicazione dei suoi Canoni alla vita della Chiesa [5].

 

Una volta terminata e inviata a Costantinipoli, l’opera attese a lungo la benedizione patriarcale, poi fu trasmessa allo ieromonaco Teodoreto, che si trovava in Romania, per essere edita grazie ad una sottoscrizione di tutti i monaci athoniti. Ma quest’ultimo, avversario dei Collivades e della comunione frequente, introdusse delle correzioni proprie nel Pedalion, tradendo così il pensiero dell’autore e la tradizione della Chiesa, quando il libro apparve a Leipzig nel 1800, arrivò alla conoscenza del santo egli fu profondamente afflitto ed esclamò:<< Egli avrebbe fatto meglio a trafiggermi in pieno cuore con una spada piuttosto che aggiungere o levare qualunque cosa fosse a questo libro! >>.

 

Nello stesso periodo, ricevette ancora la dura notizia che il manoscritto delle opere complete di San Gregorio Palamas (14 nov.), che alla domanda di San Attanasio di Paros (24 giugno) e del metropolita Leone di Eliopolis, San Nicodemo aveva riunito e ampliato a gran fatica, era stato sequestrato dal suo tipografo a Vienna e distrutta dagli austriaci che ricercavano messaggi di propaganda rivoluzionaria indirizzati da napoleone Bonaparte ai greci. Questa nuova notizia aumentò il suo sconforto e gli fece versare torrenti di lacrime non soltanto per il tempo speso in tale insostituibile lavoro ma soprattutto per la perdita di u così grande tesoro. Dopo essere rimasto in compagnia di San Silvestro di Cesarea nella cella di san Basilio, luogo in cui un giorno gli era apparso san Teofilo il mirovlita (8 luglio). Nicodemo riprese la vita solitaria e continuò la sua opera apostolica. Vestito di stracci, e calzando grossolani zoccoli, egli si considerava come l’ultimo di tutti e non cucinava mai, si nutriva di riso bollito o di miele diluito nell’acqua che accompagnava con qualche oliva o fagioli lessati. Quando una fame terribile lo tormentava, egli andava dai vicini per partecipare al pranzo, ma spesse volte preso da discussioni si dimenticava perfino di mangiare. Ormai il santo non conosceva che due attività: la preghiera e lo studio. A qualunque ora del giorno e della notte lo si trovava chinato sullo scrittoio immerso nei libri o con il mento inclinato verso la parte superiore del petto al fine di far discendere la mente, nel più profondo del cuore invocando con ardore il Santo Nome di Gesù. Egli era divenuto tutto intero preghiera e attraverso questa unione intima al Cristo la grazia divina aveva depositato nel suo cuore tutto il tesoro della Chiesa. Quando scriveva era così assorbito dall’argomento, che un giorno, un monaco che gli aveva fatto visita, avendolo trovato al lavoro, gli mise un pezzo di pane fresco in bocca. Quando ripassò la stessa sera trovò il santo nella medesima posizione, il pezzo di pane in bocca, come se no si fosse accorto di nulla. Egli redisse allora un vasto commentario delle Epistole di San Paolo, secondo Teofilatto di Bulgaria, così come quelle delle Epistole Cattoliche, compose egualmente un commentario delle nove odi scritturali intitolato il “Giardino della Grazia”, e tradusse il commentario dei Salmi di Eutimio Zigebinos, come in tutte le altre opere, san Nicodemo non si limitò alla semplice traduzione ma, prendendo come base e filo conduttore, un commentario tradizionale egli lo completò con note abbondanti, piene di testimonianze degli altri Padri della Chiesa su un gran numero di argomenti. Fonte inesauribile, redasse anche una scelta di vite di santi anziani (Neon Ekloghion) e il Nuovo Martirilogio: raccolta di vite dei nuovi martiri, destinata a sostenere la fede dei cristiani, oppressi sotto il giogo ottomano e grazie al quale una moltitudine di apostati poterono convertirsi e aggiungersi alla gloriosa falange dei martiri. Sempre preoccupato per l’educazione del popolo di Dio, compose anche un “Manuale di Buoni Costumi cristiani” (Christoetheia), mirabile condensato degli insegnamenti morali di San Giovanni Crisostomo. Quotidianamente tutti coloro che erano stati feriti dal peccato dell’apostasia, trascuravano i vescovi o i confessori, accorrendo verso l’asceta di Kapsala per trovare rimedio e consolazione dell’anima. E non solamente i monaci ma anche i laici venuti da lontano di modo che il santo, lamentando difficoltà di dedicarsi come voleva alla preghiera, sognava di trovare un nuovo luogo deserto e sconosciuto. Ma la malattia gli impedì di realizzare questo progetto. Non avendo altro che l’età di 57 anni ma consumato dall’ascesi e dai suoi lavori di scrittura, tali che bastavano a riempire una biblioteca, fu colpito da una tale debolezza che neanche un sovra più di cibo poteva rimediarvi. Egli lasciò allora il suo eremitaggio di Kapsala per vivere qualche tempo nel kellion dei suoi amici san Kourtaioi a Karyes [6], poi presso uno dei loro vicini, monaco iconografo. È allora che redasse al prezzo di due anni di lavoro, il Sinassario [7]. Egli ritornò in seguito nel suo kellion di Kapsala dove redasse il suo più ricco commentario dei canoni delle feste (Eortodromion) e quello dei Anavtmoi (Nea klimax) cantati la domenica del Mattutino [8]. Aveva appena terminato quest’ultima opera, nella quale appariva tutta la sua scienza teologica e la sua energia spirituale, allorché fu prostrato dall’anemia, perse i denti e divenne pressoché sordo. Nel frattempo ulteriori calunnie, si erano aggiunte per condannare ingiustamente Attanasio di Paros e altri tre collivades dal Patriarca Gregorio V, e poiché San Nicodemo non poté prendere le loro difese, si limitò a redigere una “Confessione della fede”. Il suo stato di salute da allora continuò a peggiorare. Avendo aggiunto un’ultima mano al suo commentario degli Anavtmoi, dichiarò:<< Signore chiamami. Io sono stanco di questo mondo>>. Di giorno in giorno l’emiplegia prendeva tutte le sue membra. Egli ripeteva a voce alta la preghiera di Gesù, scusandosi con i fratelli di non poterla recitare in segreto. Un giorno dopo essersi confessato e aver ricevuto la Divina Comunione, prese nelle sue mani le reliquie di San Macario di Corinto e di Partenio Skourtaios, e le baciò in lacrime dicendo:<< Voi siete partiti verso il cielo e vi riposate delle virtù che avete coltivato sulla terra, godendo già la gloria di Nostro Signore. Ma io soffro a causa dei miei peccati. Quindi voi che siete miei Padri, vi supplico di intercedere per me presso il Signore, perché abbia pietà di me e mi renda degno del luogo dove vi trovate>>.

 

Durante la notte esclamò:<< Io muoio, io muoio, portatemi la Santa Comunione! >>. Dopo essersi comunicato trovò una calma straordinaria e, incrociando le mani sul petto, rispose ai monaci che gli domandavano se si pentisse in pace:<< Io ho fatto entrare il Cristo dentro di me, come potrei non essere in pace?>>. All’alba del 14 luglio 1809 rimise l’anima a Dio. Uno di coloro che lo assistevano esclamò: << Sarebbe stato meglio che mille cristiani morissero oggi piuttosto che Nicodemo! >>. Ma se l’astro si era addormentato, i suoi raggi non smisero di rischiarare la Chiesa ed i suoi libri restano tutt’oggi una sorgente inesauribile d’insegnamento, di consolazione e di esortazione per la pienezza della vita in Cristo.

 

Note:

 

1) Tale manuale rimane ancora oggi il manuale più utilizzato nella chiesa greca.

2) Particolarmente gli uffici dei Santi Padri dell’Athos e dei Nuovi Martiri, di cui egli istituì le celebrazioni la seconda e la terza domenica dopo Pentecoste.

3) San Nicodemo si era servito di una tradizione trascritta dall’italiano, che si trova ancora al monastero di Patmos e che gli era stata prestata senza dubbio da san Macario di Corinto.

4) Considerato come un adattamento del famoso trattato di Ignazio di Loyola, questa opera è in effetti ispirata, agli “Esercizi spirituali”, dell’autore italiano J.P. Pinamonti.

5) Il Pedalion resta il libro canonico ortodossa oggi più utilizzato, e le sue note sono sovente considerate come avente una autorità equivalenti agli stessi canoni.

6) È lì che sono conservate le sue reliquie, nella chiesa recentemente eretta in suo onore.

7) Questa traduzione del Sinassario di Costantinopoli, revisionata sulla base dei numerosi manoscritti, fa ancora autorità nella Chiesa greca.

8) Questa enumerazione delle sue opere non è completa.

 

 

  • 14.07: Memoria del SANTO MARTIRE GIUSTO DI ROMA

testo inglese tradotto da Joseph Giovanni Fumusa

San Giusto era originario di Roma ed era un soldato, in un luogo chiamato Noumera, sotto il tribuno Claudio. Una volta, tornando da una battaglia contro i barbari, contro i quali aveva combattuto insieme ai suoi commilitoni, entrò in estasi e vide una Croce di cristallo dalla quale proveniva una voce che gli spiegò il mistero della pietà. Dunque, una volta giunto a Roma, distribuì tutti i propri averi ai poveri e, trovandosi solo, fu lieto di aver ottenuto la fede in Cristo. Quando al tribuno Claudio fu detto che il Santo credeva in Cristo, lo prese da parte e gli consigliò di compatire la propria gioventù e di abbandonare la fede in Cristo.

Incapace di persuaderlo, Claudio lo mandò presso il governatore Magnenzio. Questi interrogò il Martire e lo trovò saldo nella fede in Cristo. Per questo motivo ordinò che fosse frustato con fruste di cuoio. Dopo di ciò, ordinò che gli fosse posto sul capo un elmo riscaldato sul fuoco. Al contempo gli posero delle sfere di ferro rovente sotto le ascelle e le sue mani furono messe in mani di ferro. Dopo di ciò, lo posero su d’una graticola ardente. Tutte queste cose il Santo sopportò coraggiosamente, glorificando e ringraziando Dio. Fu infine posto in una fornace dove consegnò la propria anima nelle mani di Dio, sebbene non bruciò nemmeno un capello.