17.07: memoria della santa e gloriosa martire MARINA
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Il 17 di questo mese celebriamo la memoria della santa e gloriosa martire MARINA [1].
La santa martire Marina visse sotto il regno dell’imperatore Claudio (verso il 270) [2]. Era originaria di Antiochia di Pisidia ed era figlia di un sacerdote degli idoli, Edesimo. Sua madre morì quando lei aveva dodici anni per cui fu affidata ad una nutrice che viveva in campagna. Le frequentazioni dei cristiani che vivevano in quel luogo, insieme alle sue buone disposizioni naturali, fecero germogliare nel suo cuore la semenza della vera fede. Quando raggiunse l’età di quindici anni era talmente consumata d’amore per Cristo che non desiderava e pensava ad altro che ad una cosa: comunicare anch’essa attraverso l’effusione del suo sangue al sacrificio che i santi martiri offrivano per amore di Dio. Lungi dal tenere segreta questa disposizione, ella non temeva di proclamare ad alta voce che era cristiana e proferiva ingiurie riguardo agli idoli per cui provocò l’odio di suo padre che la diseredò. Il prefetto d’Asia, Olibrio, in viaggio per Antiochia, incontrò la santa che conduceva il gregge con altre donne del villaggio. Colpito dalla sua bellezza, ordinò ai suoi uomini di portarla da lui per prenderla in sposa. Arrivata al palazzo e presentata avanti al magistrato che le chiese di dare le sue generalità, la giovane dichiarò con sicurezza:<< Mi chiamo Marina, figli di genitori liberi di Pisidia ma sono serva del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo che ha creato il cielo e la terra >>. Fu subito messa in prigione, fino all’indomani, giorno in cui avrebbe dovuto aver luogo una grande festa pagana. Nuovamente condotta in tribunale e invitata a sacrificare agli dei col resto della popolazione, Marina rispose:<< Io sacrificherò in sacrificio di lode al mio Dio ma giammai ai vostri idoli muti e senza vita! >>. Olibrio la pregò di risparmiare la sua giovinezza e la sua bellezza ma ella gli rispose che la bellezza carnale sfiorisce mentre i tormenti affrontati nel Nome di Cristo abbelliscono l’anima e la preparano alle nozze eterne. Il magistrato, disturbato dalla sua audacia ordinò di stenderla a terra, di coprirla con rami spinato e di lacerarle le carni con punte di ferro. Il sangue della santa scorreva a fiotti e arrossiva la terra ma ella non lanciava nessun grido di dolore, rimanendo imperturbabile come se un altro soffrisse al suo posto. Dopo averla tormentata per ore, la rimandò in prigione. Ella pregava Dio di non abbandonarla nella prova e nella confessione di fede, quando un terremoto colpì la prigione fece uscire un dragone mostruoso: dai suoi occhi usciva fuoco e fumo, la sua lingua era rosso sangue ed emetteva in respiro terribile avanzando verso la santa. Presa da grande paura, Marina rivolse la sua preghiera al Dio Salvatore che ha ridotto Satana all’impotenza, liberando i morti dall’inferno con la sua Croce. Il dragone si trasformò allora in un grosso cane nero e ripugnante. La santa, ormai fortificata dalla grazia di Dio, l’afferrò dal pelo e, prendendo un martello fermò la bestia posandole il piede sulla nuca e la uccise colpendola alla testa e alla schiena. Una viva luce risplendette allora nella prigione, sgorgando da una immensa Croce, su cui era posata una bianca colomba. La colomba si posò su Marina e le disse:<< Gioisci, Marina, Colomba spirituale di Dio, poiché tu hai vinto il Maligno e l’hai coperto di onta. Gioisci, fedele serva del Signore che tu ami con tutto il cuore e per cui hai abbandonato i piaceri passeggeri della vita. Gioisci perché per te è arrivato il giorno di ricevere la corona della vittoria ed entrare, degnamente vestita, con le vergini sagge, nella camera nuziale del tuo Sposo e Tuo Re! >>.
Al mattino, Marina fu tradotta per la seconda volta al tribunale del governatore. Poiché ella mostrava una risoluzione più forte che mai, Olibrio ordinò di denudarla e bruciarla con torce. Dopo questo supplizio, venne gettata in una caldaia piena d’acqua, la testa per prima. La colomba allora riapparve, portando nel becco un ramo e la Croce luminosa si vide sopra la caldaia, da cui la santa uscì liberata dalle sue catene. Si poté udire la colomba dire:<< Vieni, Marina, per gioire del riposo riservato ai giusti! >>. Avanti a questo miracolo un gran numero di pagani presenti confessarono il Cristo e chiesero alla Santa di essere istruiti sulla dottrina della Salvezza. Al colmo del furore, il governatore ordinò allora di decapitarli tutti con santa Marina [3].
Arrivata al luogo dell’esecuzione, Marina chiese ai suoi carnefici un tempo per pregare e, rivolgendosi verso Oriente, supplicò il Signore di accordare la salvezza dell’anima e la salute del corpo a tutti coloro che avrebbero fatto ricorso alla sua intercessione, avendo concluso la sua preghiera, invitò il carnefice a compiere a compiere il suo compito. Ma costui, preso da un pio timore, confessò il Cristo e rifiutò dimettere le mani sulla santa. Marina allora gli disse:<< Tu non sarai con me, se tardi a compiere ciò che ti è stato ordinato! >>. E fu con una mano tremante che lui le tagliò la testa. Un cristiano di nome Teotino, che aveva portato segretamente cibo alla santa durante la prigionia, andò a prendere il suo corpo e lo seppellì degnamente. Fino all’epoca delle Crociate (1204), le reliquie di Santa Marina erano venerate a Costantinopoli, nella Chiesa del Cristo Pantepoptes ( di “Cristo che tutto vede” ).
Note:
1) Il suo culto ha conosciuto grande diffusione in Occidente sotto il nome di santa Margherita ).
2) Secondo altri al tempo della persecuzione di Diocleziano.
3) Secondo una delle versioni della <> erano loro 15.000, ciò permette di identificarli con i martiri commemorati giorno 16 luglio.
- 17.07: Alcune preghiere in onore di Santa Marina megalomartire
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Χεὶρ δημίου τέμνει σε Μαρῖνα ξίφει,
Χεὶρ Κυρίου χάριτι θείᾳ δὲ στέφει.
Ἑβδομάτῃ δεκάτῃ Μαρῖνα δειροτομήθη.
La mano del boia decapita Marina,
la mano del Signore la incorona di grazia divina.
Venne decapitata nel mese di luglio, il diciassette.
Μνηστευθεῖσα τῷ Λόγῳ Μαρίνα ἔνδοξε, τῶν ἐπιγείων τὴν σχέσιν πᾶσαν κατέλιπες, καὶ ἐνήθλησας λαμπρῶς ὡς καλλιπάρθενος· τὸν γὰρ ἀόρατον ἐχθρὸν κατεπάτησας στερρῶς ὀφθέντα σοὶ Ἀθληφόρε. Καὶ νῦν πηγάζεις τῷ κόσμῳ τῶν ἰαμάτων τὰ δωρήματα. Promessa sposa al Verbo, o Marina gloriosa, hai abbandonato ogni legame con le cose terrene e hai splendidamente lottato, tu che sei vergine bella: hai infatti calpestato con forza il nemico invisibile che ti era apparso, o vittoriosa. Ed ora fai zampillare per il mondo i doni delle guarigioni.
Ἡ ἀμνάς σου Ἰησοῦ, κράζει μεγάλη τῇ φωνῇ. Σὲ Νυμφίε μου ποθῶ, καὶ σὲ ζητοῦσα ἀθλῶ, καὶ συσταυροῦμαι καὶ συνθάπτομαι τῷ βαπτισμῷ σου· καὶ πάσχω διὰ σέ, ὡς βασιλεύσω σὺν σοί, καὶ θνήσκω ὑπὲρ σοῦ, ἵνα καὶ ζήσω ἐν σοί· ἀλλ᾽ ὡς θυσίαν ἄμωμον προσδέχου τὴν μετὰ πόθου τυθεῖσάν σοι. Αὐτῆς πρεσβείαις, ὡς ἐλεήμων, σῶσον τὰς ψυχὰς ἡμῶν. La tua agnella Gesù t’invoca a gran voce: Te mio Sposo io desidero e te cercando soffro passione e son con te crocifissa e sepolta nel tuo battesimo; e soffro per te per regnare con te e muoio per te, per vivere in te; accetta dunque come vittima immacolata colei che per te si sacrifica. Per le sue preghiere, misericordioso, salva le nostre anime.
Παρθενίας κάλλεσι, πεποικιλμένη παρθένε, ἀκηράτοις στέμμασιν, ἐστεφανώθης Mαρίνα, αἵμασι, τοῦ μαρτυρίου δε φοινιχθεῖσα, θαύμασι καταλαμπρύνθης τῶν ἰαμάτων, καὶ τῆς νίκης τὰ βραβεῖα, ἐδέξω Μάρτυς χειρὶ τοῦ Κτίστου σου. Adorna delle bellezze della verginità, o vergine, coronata dalle stigmate del martirio, o Marina, aspersa dal sangue della lotta, piamente risplendendo per i prodigi delle guarigioni, o martire, hai ricevuto dalla mano del tuo Creatore premi di vittoria per la tua lotta.
Τῷ νυμφίῳ Χριστῷ, ἔρωτι τῆς καρδίας σου ἀπὸ βρέφους σεμνὴ πυρποληθεῖσα, ἔδραμες, δορκὰς ὡς διψῶσα πηγαῖς ἀειρύτοις, Παρθενομάρτυς, καὶ τῇ ἀθλήσει σεαυτήν συντηρήσασα, ἐν τῷ ἀφθάρτῳ ὄντως τοῦ Κτίστου σου, νύμφη εὐκλεής, θαλάμῳ ἔφθασας ἐστολισμένη, πεποικιλμένη, στεφανηφόρος, νικητὴς λαμπαδηφόρος, εὐθαλής, ἀφθάρτου νυμφῶνος τυχοῦσα, καὶ δεξαμένη ὡς χρυσίον, βραβεῖα νίκης τῆς σῆς ἀθλήσεως.
Col cuore acceso d’amore appassionato per il Cristo tuo sposo, sin dall’infanzia, o venerabile, correvi come gazzella assetata alle fonti perenni, o vergine martire; e avendo custodito te stessa per la lotta, giungesti, sposa gloriosa, al talamo incorruttibile del tuo Creatore, abbigliata, adorna, incoronata, vincitrice, fiorente, con la lampada in mano, per ricevere da nozze senza corruzione quasi aurei premi di vittoria per la tua lotta.
- 17.07: Memoria di san Giovanni il Nuovo Teologo
Archimandrita Antonio Scordino
Giovanni il Nuovo Teologo Nella regione del Mercurio che vide le lotte spirituali di san Luca dei Nèbrodi, nel 10° secolo fiorirono molti asceti. Il nome di alcuni di loro ci è noto dalla Vita di san Nilo di Rossano: un certo Zaccaria, definito isànghelos (simile-agli-angeli); il celebre Fantino che poi fuggirà a Tessalonica; il grande Giovanni. Tranne Fantino, non esistono degli altri tracce di culto, anche se alcuni eruditi occidentali vollero identificare il grande Giovanni con san Giovanni il Therestì, al solo scopo di intruppare a Grottaferrata quanti più santi ortodossi dell’Italia Meridionale fosse possibile. Nella Vita citata – che al solito sunteggio – si legge dunque che Nilo, allora all’inizio della sua ascesi, venerava il ghèron Giovanni come un nuovo Precursore, e spesso si recava a baciare per terra, come se fosse un altare il posto dove posavano i piedi di quel grande. Alcuni riferirono a Giovanni che Nilo era già un monaco provetto, anzi un grande asceta, e che mai beveva neppure un dito di vino. Il ghèron Giovanni fa allora venire Nilo, e gli offre un bel bicchierone di vino, anche forte: Nilo chiede – come d’uso – la benedizione, e manda giù tutto. Il ghèron esclama: “Eppure mi avevano detto che non bevi vino!” Nilo replica: “Ricevere la tua benedizione, sia pure per bere un bicchiere di vino, è come ottenere un favore dal patriarca!” Nilo infatti aveva posto l’obbedienza al di sopra di tutto. Il ghèron Giovanni aveva molto familiari i Discorsi di san Gregorio di Nazianzo, detto il Teologo [circa 330\90], così che per la molta pratica acquistata, era da tutti chiamato Nuovo Teologo. Un giorno il ghèron diede una spiegazione di un passo dei Discorsi che non piacque a Nilo, il quale subito si diede a scartabellare, cercando altri passi che – secondo lui – orientavano a un’altra spiegazione. Rimproverato di brutto dal ghèron (perché pur essendo giovane novizio, e non ancora purificato dalle passioni, voleva fare il teologo), Nilo si ritirò nella sua camera parecchio turbato. Ed ecco apparirgli in sogno i santi Pietro e Paolo, che gli assicurano come avesse ragione lui – e non Giovanni – sull’interpretazione di quel passo. Tutto compiaciuto, Nilo andò all’Ufficiatura notturna pensando alle sue dotte opinioni, confermate dall’apparizione: solo a giorno fatto ebbe un lampo di luce, e Nilo capì che invece si trattava di una mostruosa eresia e che gli erano apparsi non gli apostoli ma Satana. Corre allora dal ghèron, racconta l’accaduto e Giovanni profetizza: “Coraggio, figlio mio; sii forte contro le tentazioni, finché tu un giorno sarai luce e sale di chi è nell’errore”. Nilo infatti emigrò all’estero e per qualche tempo fu a stretto contatto dei frati latini di Monte Cassino; morì poi a Molara nel Lazio, così come aveva previsto. Dopo aver dimorato infatti per molti anni a Vallelucio, in una dipendenza dei Benedettini, Nilo si spostò nei dintorni di Gaeta; partendo infine da Gaeta, disse ai suoi discepoli: “Vado a trovare un luogo adatto, dove io raduni tutti i miei figli e fratelli”, e giunse a Molara, dove si addormentò in pace.