- memoria dei Santi LUCIA, vedova, e suo figlio spirituale GEMINIANO, martiri a Roma sotto Diocleziano (verso 303)
Archimandrita Antonio Scordino
Il giovane Geminiano, colpito dalla gioiosa serenità della vecchia Lucia, che veniva deportata, volle seguirla per assisterla e, convertito dalle sue parole, abbracciò la fede cristiana. Probabilmente i due furono deportati in Sicilia dove Lucia si addormentò in pace, dopo molti tormenti, mentre Geminiano fu decapitato. Un successivo ritocco diede un pizzico di colore a questa storia, e così si disse che Lucia e Geminiano, prodigiosamente liberati, furono trasportati dagli angeli a Taormina dove operarono miracoli finché, alla morte di Lucia, Geminiano fu decapitato a Mendola di Siracusa. Un’altra versione della stessa storia racconta invece che i due furono decapitati a Roma, e che le loro reliquie furono deposte in seguito nella chiesa di Santa Lucia in Selce, sul colle Esquilino (e quindi solo dopo trasportate in Sicilia).
- memoria delle sante martiri PISTIS, ELPIS, AGAPE e della loro madre SOFIA
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Queste sante martiri vivevano in Italia sotto il regno di Adriano (117-138). Erano originarie di una ricca e pia famiglia e la loro madre Sofia le aveva allevate nella fede, la speranza e la carità, di cui le aveva donato il nome. Un giorno che erano andate a Roma, le giovani e la loro madre furono catturate dalle truppe dell’imperatore, alle orecchie del quale era giunta la fama della loro pietà e delle loro virtù. Stupefatto dal constatare la loro fermezza nella fede malgrado la giovane età, l’imperatore li fece comparire separatamente, pensando che fosse per emulazione vicendevole che elle osavano tenergli testa.
Pistis, che aveva dodici anni, fu la prima a comparire avanti al tiranno. Alle sue adulazioni, rispose audacemente, condannando la sua empietà e le sue vane macchinazioni verso i cristiani. Furioso l’imperatore fece mettere a nudo la ragazza e la fece flagellare senza pietà. Le fece tagliare i seni da cui uscì latte al posto del sangue. Le altre torture che fece subire alla santa restarono senza effetto, poiché protetta dalla potenza di Dio. Infine, incoraggiata da sua madre a sopportare con gioia, la morte che doveva unirla a Cristo, ebbe la testa tagliata.
L’imperatore fece poi venire Elpis, che aveva dieci anni. Ferma nel confessare il Cristo come sua sorella, fu flagellata e poi gettata in una fornace ardente che si spense al suo contatto: tanto l’amore per Dio che era in lei bruciava più della fiamma sensibile. Dopo altre inutili torture, morì, anche ella di spada, rendendo grazie a Dio.
Adriano, la cui collera rasentava la follia, fece comparire la terza sorella, Agape, che aveva nove anni. Ma trovò nella ragazza la stessa fermezza visibile nelle sue sorelle. La fece sospendere ad una forca e legare così strettamente che le sue membra si ruppero sotto i lacci. Gettata in una fornace, ella fu liberata da un Angelo ed ebbe la testa tagliata. La loro madre Sofia, esultando spiritualmente nel vedere le sue figlie raggiungere così gloriosamente le dimore dei santi, ma accecata dal dolore umano, rese qualche tempo più tardi la sua anima a Dio, sulla tomba delle figlie.
* Le sante Pìstis, Agàpi ed Elpìs in Italia sono conosciute nella versione russa del loro nome: Vera, Nadia e Ljuba.
- memoria di SAN SATIRO Fratello di Santo Ambrogio e asceta (verso il 383)
Le uniche fonti a nostra disposizione circa la vita di Uranio Satiro, fratello dei santi Aurelio Ambrogio di Milano e Marcellina, sono i due discorsi “De excessu fratris” (“Sulla dipartita del fratello”) che il santo vescovo pronunciò, uno il giorno della sua morte e l’altro una settimana dopo. Paolino, nella sua Vita di Ambrogio, non ne fa alcuna menzione.
Satiro nacque probabilmente nel 330 o nel 332 d. C. ed era il secondo dei tre fratelli, preceduto da Marcellina. Il luogo che gli diede i natali è discusso: forse Treviri, dove certamente nacque Ambrogio, o forse Roma, dove la famiglia si trasferì perché appartenente all’aristocrazia senatoria. In giovane età, i due fratelli maschi intrapresero la carriera forense e divennero governatori di due province dell’impero romano: quella di Emilia-Liguria per il minore, mentre per l’altro non è precisato quale fosse. Ciò che più conta è che fu, per i suoi sottoposti, «un padre piuttosto che un giudice», come è attestato nel primo dei due discorsi sopra citati.
Quando, nel 374, Ambrogio divenne vescovo di Milano, Satiro lasciò i suoi incarichi pubblici, con un intento preciso: sollevare il fratello dalle incombenze relative all’amministrazione della Diocesi, difendere Marcellina e il suo proposito di verginità e occuparsi del patrimonio di famiglia. Dato che, fra le virtù menzionate nei due discorsi funebri, risalta in maniera particolare la sua castità, pare certo che non si sia mai sposato, proprio per essere più libero nel sostenere i suoi congiunti.
A dimostrazione del suo operato attento, Ambrogio cita un fatto avvenuto probabilmente fra l’autunno del 377 e l’inverno del 378. Un certo Prospero, a cui erano stati affidati dei possedimenti in Africa, si era appropriato di una somma di denaro che non gli spettava e non intendeva restituirla; Satiro intervenne e risolse la situazione.
In ogni caso, non era nuovo a comportamenti del genere: quando, come in tutte le famiglie, sorgevano dissidi fra il fratello vescovo e la sorella vergine consacrata, veniva da loro scelto come arbitro e riusciva sempre a non scontentare nessuno dei due. L’armonia e l’accordo erano in realtà predominanti, a tal punto che, quando Ambrogio veniva scambiato per Satiro in base ad una particolare somiglianza fisica fra di loro, gioiva se gli venivano rivolte delle lodi che in realtà andavano a suo fratello.
Di ritorno dall’Africa, fatta tappa in Sicilia, l’uomo avvertì i sintomi di una non ben precisata malattia. Forse a quell’epoca risale un episodio che avrebbe poi goduto di una certa fortuna in campo iconografico: durante il ritorno a casa, la nave di Satiro incappò in una tempesta. Lui non aveva ancora completato il cammino dei sacramenti cristiani, ma richiese con insistenza ai compagni di viaggio un frammento di pane eucaristico: se lo legò al collo con un fazzoletto e poi si gettò in mare, «ritenendosi in tal modo – afferma Ambrogio – protetto e difeso a sufficienza». Giunto a riva, quasi certamente in Sardegna, avrebbe voluto ricevere il Battesimo, ma, una volta appreso che il vescovo locale aderiva allo scisma di Lucifero, vescovo di Cagliari, decise di rimandare finché non avrebbe trovato un suo pari, fedele però alla Santa Fede Finalmente «ricevette la sospirata grazia di Dio e, ricevutala, la conservò integra», vivendo in maniera sobria e trattando il denaro senza attaccarsi troppo ad esso.
Non visse molto a lungo dopo quell’incidente: la malattia ricomparve e lo condusse alla morte nel 378. Ambrogio, come detto, lo ricordò pubblicamente e volle che i suoi resti mortali riposassero accanto a quelli del martire Vittore, nel sacello detto di San Vittore in Ciel d’Oro. Da lì furono traslati, insieme a quelli dell’altro santo, in un sarcofago pagano riadattato ad uso cristiano, e vi rimasero anche quando le ossa di Vittore furono portate nella basilica detta appunto di San Vittore in Corpo, retta dai Benedettini Olivetani. Intorno al 1560, però, i monaci del luogo affermarono di possedere gli autentici resti del fratello di Ambrogio: sorse una disputa che si concluse definitivamente solo nel 1941, quando, sotto l’episcopato del cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, una relazione storica, archeologica ed anatomica stabilì che nel sarcofago conservato nella Basilica Ambrosiana c’erano i resti di un uomo sui quarant’anni, di corporatura normale, molto simili a quelli del santo vescovo milanese. Dal 1980 sono collocati in un’urna di cristallo, nella prima cappella a destra per chi entra in sant’Ambrogio.
Il culto di san Satiro è attestato per la prima volta intorno al IX secolo, quando l’arcivescovo Ansperto da Biassono fece costruire una piccola basilica dedicata ai santi Satiro, Ambrogio e Silvestro, ponendola sotto la giurisdizione del monastero benedettino di sant’Ambrogio. Consacrata forse nel 1036 dall’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, fu poi inglobata nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, progettata dal Bramante.
Dal X secolo il nome del santo compare in alcuni calendari e libri liturgici ambrosiani alla data del 18 settembre, forse per confusione con un altro personaggio omonimo. La sua memoria liturgica è stata poi fissata al giorno precedente.
In base al suo amore per l’Eucaristia e al ruolo rivestito accanto al fratello vescovo, i sacrestani dell’Arcidiocesi di Milano considerano san Satiro il loro patrono. Come però osserva monsignor Marco Navoni, Dottore della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana, il suo patrocinio andrebbe esteso su tutti quei laici che spendono tempo ed energie per aiutare i sacerdoti ad essere più liberi nel compiere la loro missione fondamentale.
- Memoria di Sant’Agatoclea
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Santa Agatoclea, con la grande pazienza dimostrata nel martirio, contribuì ad adornare di santità i primi secoli del cristianesimo. Sebbene nata schiava, brillò attraverso Gesù Cristo libera nell’anima. Il suo padrone, di nome Nikolaos, era diventato cristiano e trattava Agatoclea con bontà e filantropia. Ma la sua padrona Paolina, donna dal cuore duro, insisteva nell’idolatria. Spesso arrabbiata e ubriaca, torturò molte volte Agatoclea e cercava ostinatamente di riportarla al culto degli idoli. Per otto anni continuarono questi tormenti, la schiava viveva il martirio nella vita quotidiana. Veniva insultata, picchiata, ferita con forchette e frustata senza pietà. Ma poiché tutto questo non indebolì la fede della pia cristiana Agatoclea, un giorno la sua padrona accese un fuoco e la spinse dentro. Così, Agatoclea fu salvata dalla sua spietata e crudele signora idolatra, e migrò nella terra dei beati e dei liberi.
Nota: alcune fonti riportano che Santa Agatoclea era una figlia di Nikolaos.