• 06: memoria del nostro venerando padre Giovanni il Buono

Archimandrita Antonio Scordino

Contemporaneo di san Luca il Grammatico, Giovanni nacque a Matera da genitori di modeste condizioni e sin da ragazzo fu spinto dalla divina Grazia ad amare la vita solitaria. Indossate perciò le vesti più povere che poté trovare, si recò al monastero [di San Pietro, sulle isole Cheradi, all’imboccatura del porto di Taranto] e – dicendo d’essere un pecoraio – chiese per carità di mangiare. E avendogli quei monaci affidata la custodia del gregge del monastero, esultava al ricordo dell’umiltà di Giacobbe e David. E ricordandosi in particolare delle parole evangeliche che dicono: Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, piuttosto che abitare tra i peccatori, preferiva essere disprezzato nella casa del Signore. Quei monaci infatti, per invidia, non gli davano da mangiare, o gli davano solo qualche tozzo di pane duro e immangiabile. Dopo qualche tempo, trovata un’imbarcazione, passò in Calabria e in seguito si spostò in Sicilia, assumendo come cibo niente altro che erbe e fichi selvatici, e solo ogni due giorni. Dimorando in un eremo, per lungo tempo fu in vario modo angariato da demoni, finché gli stessi andarono via, strepitando d’essere stati sconfitti dall’uomo di Dio. Chiamato da una voce divina si recò quindi a Ginosa, dove i genitori erano sfollati a causa della guerra, ed abitò nelle loro vicinanze ma senza essere riconosciuto, poiché – macerato dal digiuno – si era ridotto a pelle e ossa: senza nulla bere per mesi, si nutriva di fichi selvatici e di bacche di mirto. E mentre prima aveva osservato un rigoroso silenzio, in quei giorni, illuminato dalla divina Grazia, cominciò a parlare e insegnare in modo così penetrante che nessuno poteva resistere allo Spirito che parlava per mezzo di lui; persino astuti e ingegnosi dialettici se ne andarono via confusi e umiliati da questo santo padre che si opponeva alle loro false e sofisticate argomentazioni, ed arrossiti e svergognati, evitavano il servo di Dio, vedendo chiaramente d’essere stati vinti non da umani, ma da divini argomenti. Tutti si meravigliavano, perché parlava di cose così eccelse da non poter essere capite; altre volte, di cose soavi e dolci che ristoravano le menti. Biasimando taluni, rimproverando altri, scongiurava tutti come il buon pastore buono, e si faceva tutto a tutti, per condurre tutti a Cristo. In quel tempo l’apostolo Pietro apparve al venerabile Giovanni e gli disse: “Va’ a circa un miglio da Ginosa, al tempio dedicato al mio nome; e ripara tutto, affinché vi si possano celebrare i divini Misteri”. Udito ciò l’uomo di Dio si diresse a quel luogo, ed essendovi penuria di calce e di pietre, indicò ad alcuni dove avrebbero trovato pietre e calce in abbondanza, come infatti avvenne. Ma il conte Roberto, convinto che il venerando padre avesse trovato sotto terra un tesoro, comandò che fosse preso, legato con forza e tradotto in carcere. E l’uomo di Dio, rivolto a quelli che lo trattavano duramente, disse: “Provo dolore per voi e per il vostro padrone, perché ciò che da me non avete ancora ottenuto, non otterrete, anzi adesso e in eterno sarete puniti”. Eppure quelli, sprezzanti, minacciavano che lo avrebbero bruciato vivo. E mentre egli era afflitto dal tormento troppo grande del carcere, la divina Misericordia dolcemente lo consolò con un’angelica visione che gli disse: “Giovanni, perché resti qui?” Subito egli si trovò sciolto da ogni catena, e fuori dalla porta del carcere; sotto gli occhi dei carcerieri andò via, e si recò a Capua. Salendo sul monte Laceno [presso Bagnoli Irpino], trovò una casa, dove abitava Guglielmo con i suoi discepoli, e Giovanni, uomo di Dio, li ammonì dicendo loro d’andare via. Essi dapprima non vollero dare ascolto alle sue parole, ma quando un incendio improvviso ebbe bruciato le loro abitazioni con tutte le suppellettili, si spostarono sul monte Cognato presso Tricarico [in provincia di Potenza], pregando il beato Giovanni di andare con loro. Egli tuttavia si recò a Bari e colà si diede si diede a predicare, sicché alcuni, abbandonato l’errore, desideravano prendere la via della verità; altri invece lo denunciarono al vescovo romano-cattolico come eretico. Il mirabile padre Giovanni fu quindi catturato e portato in catene, come eretico, davanti al suddetto vescovo e ai suoi sacerdoti. Egli fu in vari modi oltraggiato e minacciato della condanna al rogo, ma poi l’uomo di Dio fu lasciato libero d’andare ovunque volesse. Ed essendosi recato al tempio dell’arcangelo Michele al Gargano, durante la celebrazione mattutina all’uomo di Dio apparve la Tuttasanta, che gli indicò la direzione da prendere per costruire un tempio; e subito dopo apparve un giovane di alta statura e di aspetto severo, che gli disse di seguirlo. Giunse così il beato padre al luogo chiamato Pulsano [in provincia di Foggia], insieme a sei discepoli, e ivi dimorando, in pochi mesi si trovò con più di cinquanta al servizio di Dio. Un giovane di nome Gioele di nascosto venne all’uomo di Dio, e chiese di indossare l’abito monastico. I suoi genitori e parenti, tutti insieme, andarono allora armati a Pulsano, ed entrati nottetempo trovarono Gioele in preghiera tra i monaci. Con invettive dissero all’uomo di Dio: “Secondo le regole dei Padri, sono nulli i voti del figlio senza consenso del padre!” Afferrarono quindi il giovane Gioele, e strappatogli l’abito monastico e rivestitolo d’una veste mondana, lo portarono via, affidandolo in custodia a un sacerdote, nemico del mirabile Giovanni e che ardeva del desiderio di distruggere il Monastero. Di poi Gioele, essendosi liberato per le preghiere dell’uomo di Dio, tornò al Monastero, dove il venerabile Giovanni rifulgeva di santità, avendo il Signore – per le sue preghiere – sanate diverse malattie. Conosciuto che lo sovrastava la morte, il beato Giovanni fu colto da febbre; messosi a sedere su un giaciglio, disse ai demoni: “Che cercate, o artefici di iniquità? Riconoscete in me qualcosa che vi appartiene? Niente di mortifero potete trovare in me. Andate via!”. A queste parole, subito svanì ogni astuzia diabolica, e avendo visto un coro di angeli, così pregò: “Dio di infinita misericordia, spezza i miei legami, e per mano di questi tuoi angeli ricevi me quale offerta”. E chinato il capo, il venti luglio [1139] si addormentò in pace, rallegrandosi gli angeli di un così grande, del quale trasportarono nella celeste Gerusalemme l’anima preziosa e cara a Dio. I numerosi eremiti che si erano posti alla scuola di Giovanni si stabilirono anche a Meleda, un’isoletta di fronte al Gargano, sulla costa della Dalmazia; alla sua morte furono però irreggimentati in una Congregazione religiosa – detta Pulsanense – in seguito assorbita dai frati Benedettini. Il culto di san Giovanni, pertanto, si è diffuso solo in ambiente romano-cattolico: la stessa ‘Vita’, molto tarda, riflette una mentalità latinizzata se non proprio del tutto occidentale.