27 marzo- Memoria di anta Matrona di Tessalonica, martire (III sec.); dei santi Filitò e Lidia (125); del profeta Anania (X sec. a. C.); del beato Paolo, vescovo di Corinto (X sec.)
Sinassario
Il 27 di questo mese memoria della santa martire Matrona di Tessalonica.
Stichi. Non è degno lasciare nell’oblio la martire Matrona, che nella segreta liberò la sua anima. Il 27 il suo martirio è compiuto.
Lo stesso giorno il beato Kìrico di Apro si addormentò in pace.
Stichi. Anche se sei morto, voglio portarti nel cuore e nella bocca, o padre Kìrico.
Lo stesso giorno memoria dei santi martiri Filitò, senatore, di sua moglie Lidia e dei loro figli Macedone, Teoprepio, Cronide il commentarisio e Anfilochio, duca.
Stichi. Donarono le loro vite al Signore come una sola carne Filitò e Lidia. Con Teoprepio morì Macedone elevando a Dio lode e inno. L’ufficiale e il commentarisio credettero al Redentore e morirono insieme: comandante e sottoposto.
Lo stesso giorno i due martiri Giovanni e Baruchio perirono di spada.
Stichi. Non venne meno davanti alla spada il coraggio di Giovanni e Baruchio, anzi, aumentò.
Lo stesso giorno il profeta Anania si addormentò in pace.
Stichi. Era la Trinità il tripode dal quale, o Anania, divinamente predicevi il futuro.
Lo stesso giorno memoria del beato nostro padre Paolo, vescovo di Corinto, del fratello Pietro, beatissimo vescovo di Argo e del nostro beato padre Eutichio.
Stichi. Il fortunato Eutichio giunse alla fine, lasciando la terra e abitando in cielo.
Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.
- 03: memoria del nostro padre tra i santi Paolo il Siculo, vescovo di Corinto
Archimandrita Antonio Scordino
Paolo il Siculo, vescovo di Corinto nel nono secolo, fratello di san Pietro vescovo di Argo.
- 03: Memoria di Sant’Anania, profeta
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Il profeta Anania visse ai tempi del regno di Giuda. Il re Asa con l’aiuto di Dio aveva in un primo tempo riportato vittoria contro l’incursione del re di Siria. Più tardi, però, Asa cambiò idea e inviò al re di Siria oro e argento. Allora il profeta Anania si presentò ad Asa e lo rimproverò con durezza per il suo gesto dicendo: “Poiché hai confidato nel re di Siria e non nel Signore tuo Dio, per questo l’esercito di Siria è sfuggito alla distruzione che avresti potuto infliggergli. Gli Etiopi e i Libici non erano maggiori di numero e più irruenti e non avevano un maggior numero di cavalli? E tuttavia, siccome avevi confidato nel Signore, il Signore li ha consegnati nelle tue mani. Gli occhi del Signore scrutano tutta la terra per sostenere coloro che hanno un cuore interamente dedicato a Lui. Tutto questo tu lo hai ignorato. Da ora in poi ci sarà guerra contro di te”. Il re adirato ordinò di imprigionare il profeta Anania, che in seguito si addormentò in pace.
- 03: Memoria di Santa Augusta di Serravalle nel territorio di Vittorio Veneto asceta e martire (verso l’anno 100)
Tratto da quotidiano Avvenire
Gli «Atti» di sant’Augusta furono redatti alla fine del XVI secolo da Minuccio de’ Minucci di Serravalle, segretario di papa Clemente VIII. Le notizie sono leggendarie, come del resto accadde per molti martiri dei primi tempi del cristianesimo. Augusta sarebbe stata figlia di Matruco, capo alemanno (dell’Alemagna, la Germania), che aveva conquistato e sottomesso il Friuli. Questi risiedeva a Serravalle (attuale borgo antico della città di Vittorio Veneto) ed era un accanito nemico della religione cristiana. Augusta abbracciò la nuova fede segretamente, ma il padre ne venne comunque a conoscenza e la fece arrestare. Giacché si rifiutò di apostatare, intorno all’anno 100 fu gettata in un carcere e dopo varie torture, venne decapitata.
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/91516
Gli “Atti” di s. Augusta, cioè le notizie sulla sua vita e martirio, furono redatte alla fine del XVI secolo da Minuccio de’ Minucci di Serravalle, protonotario apostolico e segretario di papa Clemente VIII (1592-1605).
Questi “Atti” furono inviati agli editori dei volumi “De probatis sanctorum historiis” di Lorenzo Surio, certosino e agiografo tedesco (1522-1578) e furono inseriti nel vol. VII dell’edizione stampata a Colonia in Germania.
Le notizie sono senz’altro leggendarie, come del resto accadde per molti martiri dei primi tempi del cristianesimo, oppure di martiri che molto tempo dopo la loro morte, si siano trovate le reliquie e quindi ci si è spesso inventati la vita.
Secondo questi “Atti”, Augusta era figlia di Matruco, capo alemanno (Alemagna – Germania), che aveva conquistato e sottomesso il Friuli; questi risiedeva a Serravalle (attuale borgo antico della città di Vittorio Veneto) ed era un accanito nemico della religione cristiana.
Augusta abbracciò la nuova fede segretamente, ma il padre ne venne comunque a conoscenza e la fece arrestare. Giacché si rifiutò di apostatare, fu gettata in un carcere e dopo varie torture, venne decapitata; il suo corpo fu ritrovato alcuni anni dopo sepolto su una collina, sovrastante Serravalle, che prese il suo nome; qui le fu dedicata dal V secolo, una chiesa molto frequentata dagli abitanti.
L’epoca del suo martirio è circa il 100 d.C.; la santa è anche conosciuta come Augusta di Ceneda, (secondo nucleo di Vittorio Veneto, città posta ai piedi delle Prealpi Bellunesi, in provincia di Treviso).
S. Augusta viene raffigurata con i simboli del suo martirio, una ruota dentata per la tortura, i denti che le furono strappati, la palma. Sulla collina di S. Augusta, vi sono ancora i resti del castello del truce padre Matruco, e la grande chiesa a lei dedicata.
Tratto da http://www.diocesivittorioveneto.it/diocesi/augusta.asp
Sul monte Marcantone
La gente preferisce chiamarlo monte di Santa Augusta perché a metà costa, pressappoco, su una balza lungo il ripido declivio che guarda a ponente, si trova la chiesa dedicata alla fanciulla vergine che quassù subì il martirio circa sedici secoli or sono.
I Serravallesi sono devotissimi di Santa Augusta ch’essi hanno sempre invocato e riconosciuto come speciale patrona in tutte le vicende liete e tristi della loro storia.
La breve vicenda terrena di Santa Augusta si è svolta proprio sul monte Marcantone, in epoca assai remota, quando l’impero romano stava per tramontare e i Barbari, dal nord Europa e dalle steppe dell’Asia, iniziavano il loro movimento migratorio verso le regioni mediterranee, più ospitali e più fertili.
Nell’anno 402 dopo Cristo, Alarico re dei Visigoti scese in Italia col proposito di giungere fino a Roma che effettivamente riuscì a occupare il 24 agosto del 410 d. C.
Ma prima di questo fatto che al mondo d’allora sembrava non potesse mai accadere, Alarico invase le Venezie e s’impadronì anche di Ceneda.
È tradizione che in tale circostanza egli abbia insediato, nella fortezza che presidiava quella che è la stretta di Serravalle, uno dei suoi migliori capitani di nome Matrucco.
Così Alarico mirava ad assicurarsi, in caso di ritirata, la via libera lungo i valichi alpini.
Gli storici assicurano che già i Romani – e probabilmente ad opera di Giulio Cesare fra il 59 e il 48 avanti Cristo – s’erano preoccupati di costruire delle fortificazioni nella stretta che molto tempo dopo si chiamerà di Serravalle, a causa della sua evidente importanza strategica.
Col passare dei secoli, vicino allo sbarramento di difesa e di controllo, si fabbricarono delle case per ospitare un piccolo numero di abitanti.
Gli storici pensano, giustamente, che qui l’annuncio del Vangelo sia giunto abbastanza presto ad opera di qualche messaggero itinerante, o per l’azione missionaria svolta dalla comunità cristiana bene organizzata dimorante ad Aquileia.
Matrucco giunto a Serravalle s’insediò in un fortilizio, forse da lui stesso fatto costruire, su uno sperone del monte Marcantone.
Il rude guerriero aveva nel sangue le tradizioni superstiziose del popolo barbaro cui apparteneva e praticava il culto del dio Odino; di conseguenza perseguitava i cristiani.
Avido di potere e di ricchezza non tardò ad estendere il suo dominio su una vasta zona comprendente, pressappoco, la nostra fascia pedemontana e anche parte di quella che si protende verso il Friuli.
Un territorio, dunque, che a Matrucco calato dalle brumose regioni del nord nulla lasciava a desiderare.
Alla fine, realizzati i suoi progetti, e persuaso di essere diventato un personaggio veramente potente, con molti sudditi subalterni, assunse persino il titolo di “re”.
Questo viene tramandato dall’antica leggenda.
Nascita di Santa Augusta
Dalla sua rocca sul monte Marcantone, Matrucco dominava da padrone dispotico, mentre al suo fianco la giovane sposa, che lo aveva seguito nella calata verso l’Italia, gli rendeva felice l’esistenza.
Era l’anno 410 d. C.
Un giorno, fra le mura del castello, trapelò una lieta notizia: la sposa del re era in attesa di un figlio.
La felicità di Matrucco non durò a lungo: ben presto si mutò in trepidazione. La giovane castellana non stava bene e il parto si preannunciava difficile.
Narra la leggenda che a Matrucco, preso dalla disperazione, venne in aiuto un amico – non se ne conosce il nome – suo fedele subalterno, che dimorava poco lontano in un fortilizio situato sulle alture di Piai, località in quel di Fregona.
Trasportata in questa dimora ospitale, alla buona consorte del re non mancava nulla di quanto si poteva desiderare in quei tempi bui e calamitosi; per di più sperimentò le affettuose e intelligenti attenzioni di Cita la governante di casa.
Anzi, fra le due donne s’intrecciò un legame di vera amicizia, tanto che, presaga ormai della sua prossima fine la giovane madre affidò la creatura che stava per nascere alla fedele amica Cita.
Queste le circostanze nelle quali Santa Augusta venne alla luce. Sua madre ebbe appena il tempo di contemplare il volto della sua creatura, poi con un ultimo fremito di amore e di indicibile sofferenza il suo sguardo si spense per sempre.
Così racconta la leggenda.
Ancor oggi la buona gente di Piai guarda la collina che sovrasta il borgo e, in cima, i ruderi dell’antico castello, con animo preso da tenerezza, pensando alla morte della madre di Santa Augusta.
Matrucco, per lenire il dolore che la perdita della sposa gli aveva procurato, era naturale, riversò sulla sua creatura tutto l’affetto di cui era capace.
La chiamò Augusta come presagio di un avvenire meraviglioso; e l’affidò a Cita.
La buona donna di Piai, trasferitasi a Serravalle nel castello del suo padrone, divenne una seconda madre per la piccola Augusta che cresceva al suo fianco come un angelo.
Matrucco cercava di educare la bambina secondo i costumi e le tradizioni del popolo barbaro cui apparteneva.
Ma essa, istruita dalla buona nutrice, avvertì ben presto la falsità del culto prestato da suo padre e dai cortigiani a Odino e altre divinità pagane.
Pertanto, crescendo in età, il suo interesse si rivolse sempre più verso quella nuova religione di cui Cita le parlava e che sapeva essere praticata di nascosto da non pochi Serravallesi, sfidando la persecuzione del barbaro re suo padre.
Santa Augusta riceve il Battesimo
Narra la leggenda che a quei tempi, dietro al monte Marcantone , in una profonda grotta scavata nella roccia, viveva un vecchio eremita tutto dedito all’orazione e alla penitenza.
Cita lo conosceva e così pure i Serravallesi cristiani che a lui si rivolgevano di nascosto per sentirlo parlare del Signore, per pregare insieme, per chiedergli consigli.
Un giorno Cita condusse di nascosto Augusta a far visita al santo vegliardo.
Questi, naturalmente, esortò la fanciulla ad amare il Signore e a praticare le virtù cristiane con coraggio, specialmente la carità verso i poveri, come insegnava il Vangelo.
Seguirono altre visite all’eremita che con le sue istruzioni preparò Augusta a ricevere il battesimo e così diventare cristiana per sempre.
Nessuno se ne accorgeva, nessuno l’avrebbe sospettato, meno che meno suo padre; eppure nel segreto Augusta rifletteva sulla decisione che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza.
Per questo si mortificava e pregava intensamente affidandosi a Dio.
E giunse il grande giorno quando il santo eremita fece scorrere sulla sua fronte l’acqua rigeneratrice della grazia. Al suo fianco Cita assisteva quasi fuori di se dalla gioia; aveva raggiunto lo scopo principale della missione affidatale dal Signore.
Diventata cristiana, Augusta alternava la preghiera all’esercizio della carità, perché le era stato insegnato che nel Vangelo i poveri, gli ammalati, i piccoli, gli umili occupano il primo posto.
Spesso scendeva dal suo castello ed entrava di nascosto nelle case dei cristiani perseguitati da suo padre, per consolarli e aiutarli nelle loro necessità, proprio come insegna Gesù nel Vangelo.
Augusta entrava non solo nelle case ma anche nel cuore della povera gente; partecipava alle riunioni di preghiera che i Serravallesi cristiani erano soliti tenere in qualche luogo segreto e appartato.
I pani diventano fiori
La leggenda, a questo punto, ci ha tramandato un episodio che dobbiamo proprio raccontare.
Augusta era solita raccogliere il pane avanzato sulla mensa del padre – soprattutto in occasione di feste e banchetti – per darlo ai poveri che aspettavano l’elemosina, “Dare il di più ai poveri”; è il Vangelo che parla.
Un giorno, come aveva fatto tante altre volte, Augusta tutta premurosa e sollecita, perché i poveri affamati non devono aspettare, interrompe le sue occupazioni e si riempie il grembiule di pane. Poi si avvia giù per il ripido sentiero che porta al piano verso la stretta di Serravalle.
Quand’ecco che a metà strada si trova d’improvviso di fronte a suo padre che, burbero e scontroso come d’abitudine, sta salendo a cavallo con la sua guardia di scorta, su verso il castello.
L’atteggiamento della figlia lo insospettisce.
“Che c’è, Augusta, dentro il grembiule?”. E lei, per nulla turbata, risponde: “Fiori di campo per i poveri, signore”. E pensa tra sé: “Non è bugia: non è forse un fiore, agli occhi di Dio, la carità fatta ai poveri?”
Ma Matrucco, sospettoso e incredulo, vuole accertarsi: apre il grembiule della figlia, e, a sua confusione, vede solo fiori di campo. Anche l’umile principessa è trasecolata: si sono proprio trasformati in fiori di campo quei tozzi di pane che l’amica dei poveri del buon Dio occultava, con tanto amore, nel suo grembiule.
Ancor oggi, dopo tanti secoli, a metà della salita che porta al santuario, si scorge infisso per terra nell’acciottolato un sasso grosso tutto lucido e in parte consumato. Esso sarebbe il luogo dove, secondo la leggenda, accadde l’episodio che abbiamo raccontato.
Per questo i pellegrini di passaggio sono soliti sostare qui brevemente, toccare il sasso e farsi il segno della croce. Di fianco al viottolo fu costruita anche un’edicola nella quale un bel dipinto ad affresco rievoca la scena dell’incontro di Santa Augusta con suo padre.
I sospetti di Re Matrucco
Siamo così giunti al tragico epilogo della vita di Santa Augusta; o meglio, al trionfo della sua fede e della sua purezza sopra le insidie e le brutalità di questo povero mondo.
Matrucco non era per nulla soddisfatto del comportamento della figlia: non praticava il culto alle divinità tenute in sommo onore dalla sua schiatta; rifuggiva dalle feste mondane che si tenevano a palazzo e, soprattutto, rifiutava ostinatamente le più lusinghiere offerte di matrimonio che avrebbero potuto assicurarle ricchezza e persino i fastigi di un trono regale.
Come spiegare la ritiratezza e il fare dimesso, così sconvenienti al suo rango, e soprattutto le attenzioni che dimostrava per il volgo e gli emarginati che il padre aborriva e con disprezzo scacciava lontano da se? E poi, dove si recava quando usciva furtivamente dal castello?
Da quest’ultimo interrogativo, a Matrucco nasceva un dubbio che non gli dava pace; forse la nuova aborrita religione dei cristiani aveva conquistato il cuore anche di sua figlia?
Non voleva crederlo, ma bisognava accertarsene, indagare.
Impaziente, Matrucco manda a chiamare uno dei suoi servi più scaltri e gli ordina di sorvegliare segretamente Augusta, per riferirgli poi ogni cosa.
Il servo, lusingato per l’incarico ricevuto e bramoso di acquistarsi benemerenze presso il suo padrone, da quel momento non perse più di vista la buona principessa che nulla sospettava.
Qualche giorno dopo, uscita dal castello, Augusta prese a discendere tranquillamente verso Serravalle. E il servo giù ad inseguirla, senza farsi vedere, veloce proprio come una spia.
Giunta all’abitato di fondo valle, Augusta entrò in una casa appartata, dove i cristiani erano soliti riunirsi per pregare e assistere alle funzioni religiose. Qui s’inginocchiò davanti all’altare del vero Dio, dando sfogo ai suoi sentimenti di fede e amore.
Il servo di Matrucco, introdottosi furtivamente nello stesso luogo, fu testimone, a debita distanza, della scena e non ebbe alcun dubbio: Augusta era cristiana.
Senza attendere un secondo più del necessario, esaurito il suo compito, se ne ripartì divorando la faticosa salita del Marcantone, bramoso di riferire tutto al suo padrone.
La denuncia del servo segnò l’inizio del martirio di Santa Augusta.
Dire la rabbia, o meglio, lo sconvolgimento psichico di Matrucco di fronte a una realtà così temuta e tanto amara – la diletta figlia fattasi cristiana – è impossibile: si può solo intravedere e in qualche modo immaginare.
L’orgoglio smisurato e la barbarie, di cui per natura ed educazione era impregnato il suo carattere, prevalsero sull’istinto paterno, per cui tutto divenne possibile, anche le determinazioni più crudeli e impensabili. L’amore sconfinato si tramutò in odio implacabile.
Augusta, ritornata a palazzo, fu tosto portata alla presenza del padre.
Questi – l’astuzia non gli faceva difetto e riusciva ancora a fingere – cercò con parole dolci e lusinghiere di far ragionare – così pensava – la figlia perché recedesse dalle sue scelte.
Augusta rassomigliava al padre, se non altro per la fortezza del temperamento e la lucidità delle idee. Fu irremovibile. Senza equivoci si dichiarò cristiana e disposta a morire piuttosto che rinnegare la fede.
Matrucco dovette ingoiare la prima sconfitta.
Dopo aver dato sfogo alla rabbia con una sequela di invettive e minacce, diede ordine alle guardie di rinchiudere Augusta nella prigione più tetra.
Il martirio
La tradizione racconta che Cita, la fedele governante, disperata per quanto stava accadendo, cercò di essere vicina il più possibile ad Augusta confortandola ed incoraggiandola.
Il giorno seguente, Matrucco interrogò nuovamente la figlia che sebbene fosse così giovane, per niente intimorita, oppose di nuovo il più netto rifiuto alle pretese del padre.
Questi allora decise di ricorrere alla tortura.
La storia del martirio inflitto ad Augusta addirittura da suo padre, sembrerebbe incredibile se le cronache del male non ci parlassero di numerosi simili episodi di inumana crudeltà.
Solo un uomo vittima di superstizioni ancestrali e, si direbbe, di una infestazione satanica poteva giungere al punto di torturare e uccidere la propria figlia con tanto sadismo.
Matrucco dà ordine al carnefice di strappare due denti dalla bocca di Augusta, forse con l’intento non solo di martoriarla, ma anche di deturparle il fresco e candido sorriso.
Dopo alcuni giorni di duro carcere, umiliata nel suo abbigliamento non più principesco, mal nutrita e costretta a riposarsi su una fredda pietra, Augusta fu trascinata di nuovo alla presenza del padre.
Sorpreso per il sereno e quasi gioioso portamento della figlia, Matrucco tentò nuovamente di lusingarla in tutti i modi per farla recedere dal suo proposito. Ma tutto fu inutile.
Preso da un nuovo eccesso di furore, il re ordinò il secondo atto del martirio ch’egli sperava fosse l’ultimo: il rogo.
Augusta che rinnegava e disprezzava la religione dei suoi avi, non meritava forse la morte riservata ai traditori?
I soldati presero la fanciulla e la collocarono legata mani e piedi, sopra un mucchio di legna e sterpaglia che si trovava presso le mura del castello.
Venne accesso il fuoco, ma questo, tra la sorpresa e la meraviglia dei presenti, non recò il minimo male ad Augusta perché il Signore volle confermare con un miracolo la verità della religione da lei abbracciata.
L’agonia di Cita presente allo strazio che si stava facendo della creatura che per vari motivi era anche sua, sembrò rallentare il morso crudele. Ma fu per poco.
Ormai la mente di Matrucco, del tutto ottenebrata, non era più in grado di ragionare e il cuore gli si era pietrificato. A nulla valse persino il miracolo cui aveva assistito e che egli forse attribuì a qualche potere magico.
La tradizione ci racconta che. irrigidendosi nella sua crudeltà, il padre snaturato pensò subito di infliggere alla figlia un nuovo e spaventoso supplizio.
Fece preparare una ruota armata di punte di ferro taglienti e ricurve.
Poi ordinò che vi si legasse sopra strettamente il corpo di Augusta perché, con il girare di questa ruota, le sue membra venissero lacerate. Iddio però intervenne con un nuovo miracolo. Quando gli aguzzini, esecutori degli ordini di Matrucco, stavano per far girare la ruota, un angelo, dal cielo discese sul monte, sfolgorante di luce, minaccioso sul volto e armato di una potente spada; con un sol colpo spezzò la macchina infame, tra la meraviglia e lo spavento di tutti i presenti.
Infatti, essendosi sparsa la voce di quanto stava accadendo su in cima al monte Marcantone, molta gente era salita a vedere, a rendersi conto. Non saremo tanto lontani dal vero nel pensare che dinanzi ai replicati prodigi e al portamento eroico di Augusta, molti si siano convertiti alla fede cristiana. Forse Matrucco rifletté sulla situazione e di conseguenza, anche per questo motivo, tolse ogni indugio alla conclusione della tragedia.
Augusta, tutta assorta in Dio, ormai non viveva più per questo mondo ed era ansiosa di trapiantare la sua tenda in cielo.
Come Odino – il riferimento viene spontaneo – aveva sacrificato sua figlia, la valchiria Brunilde, per punirla di una più lieve disobbedienza, così Matrucco, aggrappato alle mostruose superstizioni della sue stirpe, ferito nel proprio sconfinato orgoglio, ordinò al boia di decapitare Augusta.
Fra la commozione e il terrore dei presenti la spada scese fulminea sul collo della fanciulla, mentre il sangue prese a scorrere per terra. Dopo sì gloriosa testimonianza, l’anima di Augusta entrò in paradiso a ricevere la doppia corona della verginità e del martirio.
Come si rivelano inadeguate, persino grossolane le parole che usiamo per raccontare un fatto così grande! come non riescono ad esprimere tante cose che si pensano e
hanno pur una loro delicata ragionevolezza e un contenuto sostanzioso!
Santa Augusta non visse a lungo, ma alla sua morte aveva già fatto abbastanza per sé.
In lei si avverarono le parole del libro del Siracide (Sir. 39,12-13): “Il giusto non sarà mai dimenticato, non scomparirà il suo ricordo, il suo nome vivrà di generazione in generazione”.
Infatti, lungo i secoli, innumerevoli devoti esalteranno il suo martirio e proclameranno le sue lodi.
Tragedia di un padre
È tradizione che, consumato il delitto, Matrucco mutasse il suo furore in amarissimo pentimento e disperato dolore.
Vinto l’orgoglio che annebbiando la sua mente l’aveva spinto a compiere un’atrocità inaudita, andava proclamando ovunque l’innocenza della figlia mentre non cessava di chiamarla ed invocarla per nome.
Sperando di lenire in qualche modo il rimorso che gli rodeva il cuore, ordinò che il corpo di Augusta venisse sepolta in uno splendido sepolcro e volle scolpita nella pietra la storia del ripetuto martirio.
Così condannava se stesso all’esecrazione dei posteri e perpetuava nei secoli futuri il ricordo dell’invitta costanza della figlia.
Invano Matrucco andò cercando pace e riposo. Finché un giorno i Serravallesi lo videro abbandonare il suo splendido palazzo e partire con un corteggio di suoi fidi, per ritornare ai natii paesi di Germania. Non poteva più sopportare la vista di quei luoghi – pur bellissimi – che erano stati testimoni del suo orrendo delitto.
Se in cielo valsero – e non c’è da dubitarne – le fervide suppliche di Augusta, l’infinita misericordia di Dio avrà colto sotto il suo manto lo sventurato Matrucco, comunicandogli quella grazia efficace che, mentre rispetta appieno la libertà umana, sa trionfare sopra la volontà anche più restia.
La gloria di Augusta
La tradizione è incerta circa la sorte di Cita. Non si sa come questa donna tanto virtuosa, che rimase sempre fedelissima alla promessa fatta alla madre di Augusta, abbia concluso la sua esistenza.
È probabile che gli ultimi anni della sua vita siano stati un continuo crescendo nell’esercizio della carità e nelle pratiche religiose: finché il Signore la chiamò a sé.
Fu sepolta accanto ad Augusta, di cui condivise l’appellativo di “santa” e poi anche l’altare.
Col titolo di santa fu sempre chiamata e invocata dai Serravallesi e dai pellegrini che da secoli salgono devotamente il monte Marcantone, soprattutto in occasione della sua festa annuale, il 22 agosto.
La vicenda di Santa Augusta, inclita protettrice e gloria dell’illustre città di Serravalle, è tutta qui.
La brevità non le nuoce, forse ne aumenta il fascino. Proprio come un sogno avvincente o un luminoso miraggio suscitano nell’animo meraviglia ed emozione.
La vita della martire non fu mai dimenticata; essa si tramandò lungo i secoli soprattutto fra le popolazioni venete, che ne hanno diffuso il culto anche oltre oceano.
Infatti, come abbiamo recentemente appreso, due santuari, a lei dedicati, sono stati costruiti da emigranti veneti, alla fine dell’Ottocento: uno in Brasile (Braco do Norte, Stato di Santa Caterina) e l’altro in Argentina (Cuchilla redenda, provincia di Entre Rios). Da aggiungere che anche le nuove generazioni si mostrano interessate alla martire serravallese.
Non potrebbe essere altrimenti, perché il sacrificio di Augusta rappresenta la vittoria dei valori perenni del Vangelo sopra le passioni e le tragedie di questo mondo.
Accanto al glorioso sepolcro della figlia di Matrucco, sembra riecheggiare la voce dell’antico profeta come per rivolgere a tutti i pellegrini un pressante invito: “Quale incenso spandete un buon profumo e intonate un canto di lode, benedite il signore per tutte le opere sue” (Sir. 39,18-19).
Dall’alto della rupe, l’antica chiesa di Santa Augusta apparirà sempre quasi simbolo di una fedeltà dura come una roccia.
E in questo luogo santo molti cuori spenti verranno ad attingere luce di verità, fuoco di carità.
Per Serravalle e la Diocesi, Santa Augusta è un dono di Dio e un segno profetico.
Valore di una leggenda
Abbiamo raccontato seguendo la versione episodica tradizionale antica, ciò che si conosce della vita di Santa Augusta, dalla tradizione e dalla leggenda.
Se i nostri vecchi hanno ceduto al vezzo medievale dei racconti costruiti con immagini poetiche commoventi, ciò non significa che essi non abbiano inteso di tramandarci il ricordo di Santa Augusta quale personaggio realmente esistito nei suoi lineamenti e caratteristiche fondamentali.
La leggenda, se non è fonte , è bensì illustrazione della verità storica: costituisce un patrimonio di cultura.
Il culto a Santa Augusta si basa su una più che millenaria tradizione che non è mai venuta meno: confermata dall’esistenza del santuario cui, da sempre, accorrono i pellegrini, specialmente il 22 agosto festa tradizionale della martire.
Purtroppo le testimonianze archivistiche sono andate perdute, per la maggior parte, in conseguenza di distruzioni e saccheggi subiti nei secoli passati da Serravalle, e tramandati dalla storia.
Ancora alcuni dati principali.
In un documento del 1234 si nomina il “mons S.te Auguste idest Rocha Bigoncii”.
Gli Statuti di Serravalle del 1360 parlano di Santa Augusta.
Il 27 marzo 1450, in occasione di lavori al santuario, furono ritrovate le reliquie di Santa Augusta.
Nel 1581 venne pubblicata la prima biografia essenziale, della martire, scritta dal celebre e dotto serravallese Minuccio Minucci (1551-1604) che fu, tra l’altro, arcivescovo di Zara.
Nel 1630, i Serravallesi fecero il voto a Santa Augusta per ottenere – e furono esauditi – la grazia di essere preservati dalla peste.
Al suggestivo santuario, che sorge in posizione incantevole, si accede per una ripida stradicciola in parte selciata e ad intervalli attraversata da numerosi gradini.
Lungo il percorso sono distribuite sette artistiche cappelle, finite di costruire nel 1642, quasi tappe penitenziali prima di giungere al santuario.
Nell’anno 1643, la Santa Sede concedeva le indulgenze annesse alle sette principali Basiliche Romane, a coloro che avessero piamente visitato le dette cappelle lungo la salita del monte Marcantone.
Il raro privilegio permane tuttora avendolo la “Sacra Paenitentiaria Apostolica” confermato in perpetuum, l’ultima volta, con suo decreto 6 maggio 1968 su richiesta del Vescovo di Vittorio Veneto Albino Luciani.
Alla Santa, i fedeli ricorrono per ottenere, in particolare, la guarigione del mal di capo e di schiena.
Il 22 maggio 1754, su istanza del vescovo di Ceneda Lorenzo Da Ponte, il Papa Benedetto XIV, con apposito “Decreto” della Congregazione dei Riti, approvò solennemente il culto di Santa Augusta.
L’atteso e tanto sospirato “riconoscimento fu festeggiato dai serravallesi con celebrazioni religiose e civili memorabili che si protrassero per otto giorni.
Per una conoscenza più ampia ed esauriente delle origini e dello sviluppo del culto tributato alla nostra Santa, consigliamo il lettore di consultare: R. Bechevolo, Santa Augusta Vergine e Martire di Serravalle, Vittorio Veneto 1991.