• 06: SINASSI dei DODICI santi, illustri e gloriosi APOSTOLI

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

+ Il 30 di questo mese, celebriamo la SINASSI dei DODICI santi, illustri e gloriosi APOSTOLI [1].

 

In questo giorno, che resta illuminato dalla gloria dei Primi Corifei, la Chiesa associa alla loro memoria gli altri illustri Apostoli del Signore che formarono un coro di nuovi astri nel suo firmamento spirituale. Fondamenta e colonne della Chiesa, essi sono anche gli angeli in carica alla guardia delle dodici porte che aprono l’accesso alla Gerusalemme celeste (Apoc. 21,9).

Dodici erano i figli di Giacobbe, che furono all’origine del popolo d’Israele e dodici pure i discepoli che il Signore scelse, di cui fece i testimoni del Suo insegnamento e dei Suoi miracoli, che Egli inviò [2] a << predicare >> il Regno di Dio conferendo loro il potere di scacciare i demoni e di guarire ogni malattia (cg. Mt. 10), e che infine furono inviati da Lui dopo la Resurrezione, per andare nel mondo intero, proclamare il Vangelo a tutta la Creazione (Mc. 16,14), e battezzare tutti i popoli nel Nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito (Mt. 28,19). Così come il Figlio è stato inviato dal Padre in questo mondo per la nostra Salvezza, ugualmente scegliendo questi discepoli Egli li ha << inviati >> a proclamare che il Regno dei Cieli era molti vicino:<< Come il Padre mi ha inviato, così, anche io invio voi >> Gv. 20,21), egli diede loro come condizione per essere Suoi Apostoli, di rinunciare ad ogni attaccamento terrestre:<< Non procuratevi né oro né argento, né monete di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né tuniche, né sandali, nè bastone … >> (Mt. 9,10) e annunciò loro che avrebbero dovuto affrontare tribolazioni e persecuzioni per renderGli testimonianza:<< Ecco, io vi invio come pecore in mezzo ai lupi … Voi sarete odiati da tutti a causa del mio Nome (…), sarete condotti avanti ai governatori e ai re, a causa mia, per rendere testimonianza. Ma quando vi consegneranno non preoccupatevi di come parlare e di che dire, ciò che avrete da dire vi sarà suggerito sul momento perché non sarete voi a parlare, ma lo spirito del Padre vostro che parlerà in voi >> (Mt. 10,17-20). Testimoni della Resurrezione del Signore tanto con la loro vita che con le loro predicazioni, i santi Apostoli si sono offerti in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini, dicendo con Paolo:<< Noi siamo diventati come la spazzatura del mondo, maltrattati, erranti, nudi, sofferenti la fame, la sete e i tormenti di ogni sorta, divenuti il rifiuto di tutti >> affinché attraverso il loro sacrificio la Chiesa fosse edificata sulla potenza di Dio e non degli uomini (I Cor. 11,12). Attorno ai due Primi Corifei i santi e illustri Apostoli formano dunque un coro armonioso:

ANDREA, il Primo Chiamato, fratello di Pietro, che proclamò il Vangelo sul litorale della Bitinia, del Ponto, dell’Armenia. Ritornando attraverso il Ponto e Bisanzio, discese fino in Grecia e morì crocefisso a Patrasso, in Acaia (+ 30 nov.).

GIACOMO, figlio di Zebedeo, che testimoniò la Resurrezione in tutta la Giudea. Morì di spada su ordine del re Erode Agrippa, geloso della sua celebrità (+ 30 apr.).

GIOVANNI IL TEOLOGO, fratello di Giacomo, che riposò sul petto del Signore. Dopo aver proclamato il cristo nella provincia d’Asia, su ordine di Domiziano, fu esiliato a Patmos, dove scrisse il suo Vangelo e l’Apocalisse. Di ritorno a Efeso, si addormentò in pace in età molto avanzata (+ 26 sett.).

FILLIPPO di Betsaida in Galilea, concittadino di Pietro e Andrea, proclamò la Buona Novella nella provincia d’Asia e nella regione di Ierapoli in Frigia, in compagnia di sua sorella Marianna e di san Bartolomeo. Morì a Ierapoli, crocefisso dai pagani (+ 14 dic.).

TOMMASO, chiamato anche Didimo, diffuse il Vangelo tra i Parti, i Medi, i Persiani e gli abitanti dell’India. Morì trafitto da lance dai pagani (+ 6 ott.).

BARTOLOMEO predicò in Lidia e in Misia con l’Apostolo Filippo; poi dopo la morte di quest’ultimo, proseguì la sua missione in Arabia Felice, in Persia e in India e completò la sua corsa in Armenia, crocefisso ad Albanopoli (o Urbanopoli). Le sue spoglie, chiuse in un sarcofago di piombo e gettate in mare, furono in seguito raccolte in Sicilia (+ 11 maggio).

MATTEO il PUBBLICANO, chiamato precedentemente Levi, era fratello di giacomo figlio d’Alfeo. Dopo aver redatto il suo Vangelo, partì in missione verso i Parti. Morì, si dice, nel fuoco a Ierapoli sull’Eufrate (+ 16 nov.).

GIACOMO, figlio d’Alfeo, suo fratello annunciò il cristo a Gaza e Eleuteropoli e i suoi dintorni. Morì crocefisso nella città di Ostracina, in Egitto (+ 9 ott.).

SIMONE lo ZELOTA, di Cana in Galilea, che era chiamato anche Natanaele nel Vangelo di san Giovanni, proclamò la Buona Novella in Mauritania e nell’Africa del Nord, poi partì, si dice, per la Gran Bretagna, dove morì crocefisso (+ 10 maggio).

GIUDA, imparentato con il Signore, chiamato anche Taddeo e Levi da san Matteo, partì in missione in Mesopotamia e finì i suoi giorni nella regione del Monte Ararat, impiccato e trafitto da frecce dagli infedeli (+ 19 giugno).

MATTIA fu aggiunto al numero degli Apostoli dopo l’Ascensione, per rimpiazzare il traditore Giuda. Predicò il Vangelo in Etiopia, dove rimise la sua anima a Dio dopo numerosi tormenti che gli inflissero i pagani (+ 9 agosto).

A questi beati Apostoli, si ha l’uso di associare i beati Evangelisti: MARCO, figlio spirituale di san Pietro che evangelizzò Alessandria e la Pentapoli e soffrì il martirio schiacciato sotto un masso (+ 25 apr.), e LUCA, il medico e primo iconografo che, dopo aver seguito san Paolo nelle sue peripezie, scrisse il suo Vangelo, sotto la sua ispirazione. Arrivato a Tebe in Beozia, morì in pace all’età di sessanta anni (+ 8 ott.).

È dunque sulla testimonianza d questi santi Apostoli, le cui parole si sono fatte << sentire fin al’estremità del mondo >> (Ps. 18,5) per attestare la veridicità della Resurrezione del Cristo, che la Chiesa è stata edificata. E se essi occupano a giusto titolo il primo posto nell’assemblea dei santi, è perché, distaccandosi da tutto, sono divenuti suoi perfetti imitatori e gridano a tutto gli uomini:<< Divenite nostri imitatori come noi lo siamo stati del Cristo >> (I Cor. 11,1).

Una volta passata la generazione di quelli che avevano conosciuto il Signore durante il Suo soggiorno terrestre, il ministero apostolico non si è esaurito (come ne testimonia san Paolo) ma è stato trasmesso a tutti coloro che hanno contemplato a Resurrezione di Cristo [3] nell’illuminazione del Santo Spirito. La Grazia dell’Apostolato non si limita dunque alla predicazione orale della Buona Novella, ma si estende su tutti i santi, che hanno contribuito all’edificazione della Chiesa attraverso la loro testimonianza della Resurrezione.

Note:

1) La tradizione della Chiesa, tanto agiografica che iconografica, ha l’abitudine di collocare nei “Dodici” san Paolo e gli Evangelisti Marco e Luca, scartando per comodità Giuda, Giacomo figlio d’Alfeo e Matteo, senza tuttavia provar dell’onore dovuto agli Apostoli. Il Sinassario commemora oggi anche gli altri Apostoli, membri del collegio dei “Settanta” Discepoli, ma essi vengono anche celebrati nella loro Sinassi particolare, il 4 gennaio. A loro viene anche associato san Giacomo Fratello del Signore, le Sante Mirofore e tutti gli altri Apostoli, rimasti — che erano riuniti nel Cenacolo, in numero di centoventi, e che, il giorno di Pentecoste, ricevettero la pienezza della Grazia del Santo Spirito.

2) Apostolo significa “inviato”.

3) Preghiera recitata al Mattutino di domenica, dopo la lettura del Vangelo.

 

 

  • 06: Commento al Simbolo degli Apostoli di Rufino di Aquileia

Πιστεύω εἰς θεòν πατέρα παντοκράτορα, ποιητὴν οὐρανοῦ καὶ γῆς. Καὶ εἰς Ἰησοῦν Χριστòν, υἱὸν αὐτοῦ τòν μονογενῆ, τòν κύριον ἡμῶν, τòν συλληφθέντα ἐκ πνεύματος ἁγίου, γεννηθέντα ἐκ Μαρίας τῆς παρθένου, παθόντα ὑπὸ Ποντίου Πιλάτου, σταυρωθέντα, θανόντα, καὶ ταφέντα, κατελθόντα εἰς τὰ κατώτατα, τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ ἀναστάντα ἀπò τῶν νεκρῶν, ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανούς, καθεζόμενον ἐν δεξιᾷ θεοῦ πατρὸς παντοδυνάμου, ἐκεῖθεν ἐρχόμενον κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς. Πιστεύω εἰς τò πνεῦμα τò ἅγιον, ἁγίαν καθολικὴν ἐκκλησίαν, ἁγίων κοινωνίαν, ἄφεσιν ἁμαρτιῶν, σαρκὸς ἀνάστασιν, ζωὴν αἰώνιον. Αμήν.

 

 

«Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne,

la vita eterna. Amen.»

 

 Il mio animo, o fedelissimo papa Lorenzo, non tanto è riluttante a scrivere quanto neppure capace, ed io so che non è senza pericolo presentare al giudizio di molti un ingegno di modesta capacità. Ma, per dirla col tuo permesso, temerariamente tu mi forzi, in nome dei sacramenti di Cristo che noi riceviamo con la massima reverenza, a scrivere per te qualcosa sulla fede secondo la tradizione e l’interpretazione del Simbolo: perciò, anche se il peso della tua imposizione è al di sopra delle nostre capacità (non ignoro infatti le parole dei sapienti che molto giustamente affermano esser pericoloso dire di Dio anche cose vere), tuttavia se tu aiuterai con la preghiera l’obbligo derivante dalla richiesta che imponi, cercheremo di dire qualcosa più per rispetto di obbedienza che per presunzione d’ingegno; e questa esposizione non tanto sarà degna delle meditazioni dei perfetti quanto sarà adattata all’ascolto di coloro che sono piccoli in Cristo e si iniziano alla fede.

 

So che alcuni illustri scrittori hanno scritto su questo argomento brevemente e in modo ortodosso. Invece l’eretico Fotino ha scritto in proposito non per chiarire agli ascoltatori il significato delle parole (del Simbolo) ma per trarre a sostegno della sua dottrina ciò ch’era stato detto in forma semplice e conforme alla fede, dato che lo Spirito Santo aveva provveduto che in queste parole non vi fosse alcunché di ambiguo, di oscuro, di discordante col resto del discorso.

 

Infatti proprio a proposito di questo testo si realizza la profezia che dice: “È parola infatti che conclude con brevità ed equità, poiché il Signore parlerà con poche parole sulla terra” (Is. 10, 23; Rom. 9, 28). Perciò noi cercheremo sia di conservare la semplicità propria delle parole degli apostoli sia di completare ciò che è stato tralasciato dai precedenti interpreti. Ma perché diventi più chiaro il significato di questo testo che è – come abbiamo detto – di poche parole, esporrò dall’origine il motivo per cui questa tradizione è stata data alle Chiese.

 

  1. Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione del Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad ognuno degli apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi parlassero con diversi e svariati linguaggi sì che nessuna gente straniera, nessuna lingua barbara sembrasse loro inaccessibile e preclusa, fu loro comandato di partire alla volta di ogni singola nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5). Sul punto di partire e di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune la norma della loro futura predicazione, perché non avvenisse che, allontanandosi gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro che invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti insieme e ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva, compongono – come abbiamo detto – questa breve traccia della loro futura predicazione, e stabiliscono di dare tale norma a quanti avrebbero creduto.

 

La vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in greco la parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò che più persone mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli apostoli in quei loro discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva. È detto poi indizio e segno perché in quel tempo, come dice l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli apostoli (2Cor 11, 13; At 15, 1; Rom 16, 18). molti dei Giudei circoncisi fingevano di essere apostoli di Cristo e per guadagno e ingordigia partivano a predicare, nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non secondo le schiette linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo segno, al fine che si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente secondo le norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e medesimo il suono della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le norme del combattere, ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli che sono tenuti segreti, che in latino sono definiti segni (signa) e indizi (indicia): in tal modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di cui non si è sicuri, questi interrogato sul simbolo, rivela se sia nemico o amico.

 

Stabilirono infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di qualsiasi genere bensì fossero ritenute a memoria, perché fosse certo che nessuno le avrebbe apprese da un testo scritto, che talvolta può anche venire nelle mani di chi non è credente, e che invece tutti le avrebbero apprese dalla tradizione degli apostoli. Perciò, come abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a predicare, gli apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della loro fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima toccasse il cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore edificarono una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al nemico: né i venti l’avrebbero spinta giù né i fiumi in piena l’avrebbero travolta né i turbini delle tempeste l’avrebbero scossa (1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27). Perciò bene a ragione i figli di Noè, che sul punto di separarsi fra loro costruirono la torre della superbia, furono condannati a confondere le loro lingue, perché nessuno potesse comprendere le parole del suo vicino; invece agli apostoli, che costruivano la torre della fede, è stata donata la conoscenza di tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di peccato, questo invece segno di fede.

 

  1. Ma ormai è tempo che noi diciamo qualcosa anche proprio riguardo a questo tesoro, in cui in primo luogo è presentata la fonte e origine di tutte le cose, con le parole: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma prima di cominciare a trattare proprio del significato delle parole, ritengo che non sia fuor di luogo rammentare che in diverse Chiese troviamo che qualcosa è stato aggiunto a queste parole. Invece non consta che ciò sia avvenuto nella Chiesa di Roma, ritengo perché di lì non ha tratto origine alcuna eresia e vi si conserva l’antica usanza che coloro i quali stanno per ricevere la grazia del battesimo ripetano il Simbolo pubblicamente, cioè mentre ascolta il popolo dei fedeli; e per certo quelli che li hanno preceduti nella fede e stanno ad ascoltare non tollererebbero l’aggiunta di una sola parola. Invece in altri luoghi, per quanto è possibile comprendere, a causa di alcuni eretici è stata aggiunta qualche parola, per mezzo della quale si pensava di respingere il significato della nuova dottrina. Noi poi seguiamo la norma che abbiamo ricevuto nella Chiesa di Aquileia con la grazia del battesimo.

 

Innanzitutto è posta la parola Credo, come dice anche l’apostolo Paolo scrivendo agli Ebrei: “È necessario infatti che prima di tutto colui che si accosta a Dio creda che quello esiste e ricompensa quanti credono in lui” (Eb 11, 6). E il profeta afferma: “Se non avrete creduto, neppure comprenderete” (Is 7, 9). Al fine perciò che ti si apra l’accesso alla comprensione, giustamente tu prima di tutto affermi di credere, perché nessuno sale sulla nave e affida la propria vita al mare profondo se prima non crede di potersi salvare; né il contadino seppellisce i semi nei solchi e sparge in terra la biada, se non avrà creduto che verranno le piogge e ci sarà anche il calore del sole, sì che la terra nutrita e riscaldata produrrà abbondante messe e la farà crescere con lo spirare dei venti. Non c’è insomma alcuna azione che si possa compiere in vita se non avrà preceduto il credere. E allora che c’è da meravigliarsi se accostandoci a Dio innanzitutto noi affermiamo di credere, là dove senza di questo non si può vivere neppure la vita di tutti i giorni? Abbiamo premesso all’inizio queste considerazioni, perché i pagani son soliti obiettarci che la nostra religione, in quanto priva di fondamento razionale, si fonda soltanto sulla forza di persuasione che deriva dal credere. Perciò abbiamo dimostrato che nulla può esser fatto o può sussistere se non avrà preceduto la forza del credere. Infatti anche i matrimoni vengono fatti perché si crede che nasceranno i figli; e i giovani sono mandati a scuola ad apprendere le varie discipline perché si crede che la scienza del maestro si trasfonderà nei discepoli; e uno prende le insegne del potere perché crede che gli ubbidiranno città e popoli e anche l’esercito in armi. Che, se nessuno intraprende tutte queste azioni se prima non avrà creduto che esse potranno realizzarsi, perché mai ben più a ragione non si dovrebbe giungere alla conoscenza di Dio per mezzo del credere? Ma vediamo ormai che cosa ci proponga il Simbolo col suo testo abbreviato.

 

  1. Credo in Dio Padre onnipotente. Quasi tutte le Chiese d’Oriente tramandano così: Credo in un solo Dio Padre onnipotente. E ancora, nella frase che segue, dove noi diciamo: e in Gesù Cristo, unico Figlio suo, nostro Signore, gli orientali tramandano: e in un solo Signore nostro Gesù Cristo, unico Figlio suo, cioè professano un solo Dio e un solo Signore, secondo l’autorità dell’apostolo Paolo (1Cor 8, 6). Ma questo punto lo riprenderemo appresso; ora invece esaminiamo l’espressione in Dio Padre onnipotente. Dio, secondo quanto può pensare la mente dell’uomo, è definizione di quella natura o sostanza che è al di sopra di tutto. Padre è parola che racchiude un mistero profondo e indicibile. Quando senti nominare Dio, intendi una sostanza senza inizio e senza fine, semplice e senza alcuna mescolanza, invisibile incorporea indicibile incomprensibile, nella quale nulla c’è di aggiunto, nulla di creato. Non ha infatti creatore colui che è il creatore di tutte le cose. Quando senti nominare il Padre, intendi il Padre del Figlio, il quale Figlio è immagine della suddetta sostanza (Eb 1, 3; Col 1, 15). Come infatti nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un servo su cui esercita il dominio, e come nessuno è detto maestro se non ha un discepolo, così anche un padre in nessun modo può essere definito tale se non ha un figlio. Perciò con lo stesso nome con cui Dio è definito Padre si dimostra che anche il Figlio deve parimenti sussistere col Padre.

 

In che modo poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu lo esamini né che con troppa curiosità ti introduca nel mistero di questa profondità: c’è infatti pericolo che, mentre scruti con troppa insistenza lo splendore della luce inaccessibile, tu venga a perdere anche quella modesta capacità visiva che per dono divino è stata data ai mortali (Prov 25, 27). Che se poi tu credi che su questo argomento bisogna sforzarsi in ogni modo di comprendere, proponiti prima alla mente le realtà che sono alla nostra portata: se riuscirai a spiegarle coerentemente, allora spingiti dalle realtà terrestri a quelle celesti, dalle visibili alle invisibili (Rom 1, 20). Dapprima spiega, se ne sei capace, ed esponi in che modo la mente, ch’è dentro di te, generi la parola e quale sia in essa lo spirare della memoria. Come mai queste facoltà, pur diverse di fatto e per operazione, tuttavia sono una cosa sola per sostanza e natura? e come mai, pur procedendo dalla mente, non si distaccano mai da questa? Se poi queste facoltà, benché si trovino in noi e nella sostanza della nostra anima, tuttavia ci sembrano tanto più nascoste quanto più sono invisibili all’occhio corporeo, esaminiamo realtà più accessibili. In che modo la fonte genera da sé il fiume? da quale forza è trasportata la rapida corrente? perché mai, pur costituendo il fiume e la fonte una sola e inseparabile realtà, tuttavia né la fonte può essere intesa o chiamata come il fiume né il fiume come la fonte? E tuttavia chi avrà visto il fiume vede anche la fonte. Esercitati prima nella spiegazione di queste cose ed esamina, se sei capace, ciò che hai tra le mani: e allora passeremo a realtà più sublimi. E non credere che io ti voglia convincere a salire subito dalla terra al di sopra dei cieli; ma prima, se sei d’accordo, ti condurrò a questo firmamento che si vede con gli occhi, e qui, se sei capace, spiega la natura di questa luce visibile: in che modo questo fuoco celeste generi da sé lo splendore della luce; in che modo produce anche il vapore; e pur essendo tre di fatto, tuttavia nella sostanza sono una cosa sola.

 

Se sarai riuscito a indagare tutte queste realtà, sappi che il mistero della generazione divina è tanto più eccelso e trascendente quanto il creatore è più potente delle creature, quanto l’artefice è superiore alla sua opera, quanto colui che sempre è, è più nobile di colui che ha cominciato ad essere dal nulla. Perciò bisogna credere che Dio è Padre del suo unico Figlio e nostro Signore, non bisogna sottoporlo ad esame. Infatti non è permesso allo schiavo discutere circa la nascita del padrone. Lo ha affermato il Padre dal cielo dicendo: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo” (Mt 17, 5): il Padre afferma che quello è suo Figlio e comanda di ascoltarlo. Il Figlio dice: “Chi ha visto me ha visto anche il Padre”, e: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, e: “Io sono uscito da Dio e sono venuto in questo mondo” Gv 14, 9; 10, 30; 16, 28). Ma allora chi oserà mettersi in mezzo, per discutere, fra queste parole del Padre e del Figlio, e dividere la divinità, distinguere la loro volontà, spezzare la sostanza, tagliare a mezzo lo Spirito, dire che non è vero ciò che afferma la verità?. Perciò Dio è vero Padre, in quanto Padre della verità, e non crea dall’esterno ma da ciò ch’egli stesso è genera il Figlio: in quanto sapiente genera la sapienza, in quanto giusto la giustizia, in quanto eterno l’eternità, in quanto immortale l’immortalità, in quanto invisibile l’invisibile, in quanto luce lo splendore, in quanto mente la parola.

 

  1. Quando poi abbiamo detto che la Chiesa d’Oriente tramandano un solo Dio Padre onnipotente e un solo Signore, bisogna intenderlo in questo modo: uno è detto non riguardo al numero ma riguardo alla totalità. P. es., se uno dice: un uomo, o: un cavallo, qui egli ha introdotto uno in senso numerico; infatti ci può essere un secondo uomo e un terzo, e così per il cavallo. Ma là dove non si può aggiungere un secondo e un terzo, se si dice uno, questo nome non ha valore numerico ma indica la totalità. Così, se, p. es., diciamo: un sole, qui uno è detto in modo tale che non si può aggiungere un secondo e un terzo: infatti il sole è uno solo. Perciò ben più a ragione quando si dice un solo Dio, uno è detto con valore non di numero ma di totalità: cioè, egli è detto uno solo perché non ce n’è altri. Analogamente anche riguardo al Signore bisogna intendere che uno solo è il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale Dio Padre esercita la dominazione su tutte le cose. Di conseguenza la parola che segue definisce Dio onnipotente.

 

Dio pertanto è detto onnipotente perché esercita il dominio su tutte le cose. Ma tale dominio il Padre esercita per mezzo del Figlio, secondo quanto dice anche l’Apostolo: “Perché per suo mezzo sono state create tutte le cose, visibili e invisibili: sia i troni sia le dominazioni sia i principati sia le potenze” (Col 1, 16). E di nuovo, scrivendo agli Ebrei, dice: “Per suo mezzo stabilì i secoli, e lui ha costituito erede di tutte le cose” (Eb 1, 2). Che se per mezzo del Figlio il Padre ha stabilito i secoli e per suo mezzo sono state create tutte le cose ed egli è l’erede di tutte le cose, è anche per suo mezzo che il Padre esercita il dominio su tutte le cose. Infatti, come la luce deriva dalla luce e la verità dalla verità, così dall’onnipotente è nato l’onnipotente, secondo quanto anche nell’Apocalisse di Giovanni è detto dei Serafini: “E non si fermavano mai notte e giorno dicendo: Santo santo santo il Signore Dio, che era e che è e che verrà onnipotente” (Ap 4, 8). È definito onnipotente colui che verrà: e chi altro è colui che verrà se non Gesù Cristo il Figlio di Dio?

 

Qui è aggiunto nel Simbolo: invisibile e impassibile. È bene sapere che queste due parole non si trovano nel Simbolo della Chiesa di Roma. Ma sappiamo che presso di noi sono state aggiunte a causa dell’eresia di Sabellio, cioè quella che i Latini definiscono Patripassiana, in quanto afferma che proprio il Padre è nato dalla Vergine e sostiene che egli si è fatto visibile e ha patito nella carne. Pertanto, al fine di respingere tale empietà riguardo al Padre, i nostri predecessori hanno aggiunto tali parole ed hanno definito il Padre invisibile e impassibile. Sappiamo infatti che il Figlio, non il Padre, è nato nella carne e in forza della nascita carnale il Figlio è diventato visibile e passibile. Ma per quanto attiene alla sostanza immortale della divinità che per lui è una sola e la stessa del Padre, in tal senso non crediamo visibile e passibile né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo. In quanto poi il Figlio si è degnato di assumere la carne, egli nella carne è stato visto ed ha patito. Tutto ciò anche il profeta aveva predetto con queste parole: “Questo è il nostro Dio: e nessun altro sarà ritenuto tale a confronto con lui. Ha trovato ogni via di conoscenza e l’ha data a Giacobbe suo figlio e ad Israele suo diletto. Dopo è apparso in terra e si è trattenuto fra gli uomini” (Bar 3, 36-38).

 

  1. Il Simbolo continua così: e in Gesù Cristo unico Figlio suo nostro Signore. Gesù è parola di lingua ebraica, che presso di noi significa salvatore. Cristo prende nome dal crisma, cioè dall’unzione. Leggiamo nei libri di Mosè che Ause figlio di Nave, allorché fu eletto capo del popolo, mutato nome da Ause fu chiamato Gesù (Num 13, 16), e ciò fu al fine di dimostrare che questo è il nome che si addice ai principi e ai capi, almeno a quelli che traggono a salvezza i popoli che li seguono. Perciò fu chiamato Gesù quello che introdusse nella terra promessa il popolo che era stato tratto fuori dalla terra d’Egitto ed era stato liberato dalle peregrinazioni nel deserto: ed è chiamato Gesù questi che, tratto fuori il popolo dalle tenebre dell’ignoranza e richiamatolo dagli errori del mondo, lo introduce nel regno dei cieli. Cristo poi è nome che è proprio del pontefice e dei re: infatti anticamente i pontefici e i re venivano consacrati con l’atto dell’unzione. Ma quelli, in quanto mortali e corruttibili, venivano unti con l’unzione di materia corruttibile; invece questo, unto dallo Spirito Santo, diventa Cristo, come di lui dice la Scrittura: “Il Padre lo ha unto con lo Spirito Santo inviato dal Cielo” (At 10, 38); ed Isaia aveva prefigurato, parlando in persona del Figlio: “Lo Spirito del Signore è sopra di me: perciò mi ha unto e mi ha mandato a predicare la buona novella ai poveri” (Is 61, 1).

 

Poiché abbiamo spiegato che cosa significhi Gesù, cioè colui che salva il popolo, e che cosa significhi Cristo, cioè colui ch’è stato fatto pontefice in eterno, (Eb 6, 20), da ciò che segue vediamo riguardo a chi sono detti questi nomi: Unico Figlio suo nostro Signore. In questo modo apprendiamo che questo Gesù, del quale abbiamo parlato, e Cristo, del quale abbiamo trattato, è l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Cioè, perché tu non creda che quei vocaboli umani ti propongano un insegnamento terreno, perciò è stato aggiunto che questo è l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Infatti uno nasce da uno, perché uno solo è lo splendore della luce e una sola la parola del cuore: la generazione incorporea non degenera in un numero plurale né c’è divisione là dove colui che nasce mai viene separato da colui che lo genera. È unico, come l’intelligenza alla mente, come la parola al cuore, come la potenza al forte, come la sapienza al sapiente. Come infatti il Padre è definito dall’apostolo il solo sapiente, così anche solo il Figlio è definito Sapienza (Rom 16, 27; 1Cor 1, 24). Perciò il Figlio è unico: e poiché per gloria eternità forza regno potenza egli è ciò che è il Padre, tuttavia tutte queste prerogative non le ha senza principio, come il Padre, ma le deriva dal Padre, in quanto Figlio; e mentre egli è il capo di tutto, tuttavia suo capo è il Padre. Infatti è scritto: “Capo di Cristo è Dio” (1Cor 11, 3).

 

  1. Ma quando senti definire: Figlio, non voglio che tu pensi ad una generazione carnale, ma ricorda che ciò si dice di una sostanza incorporea e di una natura semplice. Se infatti, come già sopra abbiamo detto, nella generazione della parola dal cuore, dell’idea dalla mente, dello splendore dalla luce, non si ricerca alcunché di tal genere né in tale generazione si pensa ad alcunché di fragile, quanto più puramente e santamente dobbiamo pensare del creatore di tutte queste cose? Ma forse tu mi dirai che questa che ho portato come esempio è una generazione non sostanziale: infatti la luce non produce uno splendore sostanziale né il cuore genera una parola sostanziale: invece affermiamo che il Figlio di Dio è stato generato sostanzialmente. A questa obiezione in primo luogo risponderemo che anche riguardo ad altre cose, quando si portano degli esempi, questi non possono avere completa somiglianza con la cosa per la quale sono stati assunti, ma presentano somiglianza soltanto parziale, in forza della quale sono stati presi come esempi. P. es., dato che nel vangelo è detto: “Il regno dei cieli è simile al lievito che la donna mette in tre misure di farina” (Mt 13, 33), crederemo forse che il regno dei cieli sia così completamente simile al lievito che anche la sua sostanza sia altrettanto palpabile e fragile al punto da potersi inacidire e corrompere? o non piuttosto l’esempio è stato assunto soltanto per dimostrare che grazie alla predicazione del Verbo di Dio le menti umane possono crescere e svilupparsi insieme, grazie al lievito della fede? Analogamente, quando diciamo: “Il regno dei cieli è simile ad una rete calata in mare, che prende ogni genere di pesci” (Mt 13, 47), crederemo forse che la sostanza del regno dei cieli sia paragonata in tutto alla natura del lino, con cui si fa la rete, o ai nodi, con cui si intrecciano le maglie? e invece il paragone non è stato prodotto soltanto al fine di dimostrare che, come la rete trae sulla spiaggia i pesci dal profondo del mare, così grazie alla predicazione del regno dei cieli le anime umane sono liberate dal profondo errore di questo mondo? Di qui è chiaro che gli esempi non sono in tutto simili alle cose di cui sono esempi: altrimenti, se fossero in tutto uguali, non sarebbero più detti esempi, ma sarebbero piuttosto proprio quelle cose di cui ci si sta occupando.

 

Dobbiamo poi osservare che nessuna creatura può essere tale quale il suo creatore: perciò, come è senza esempio la sostanza divina, così è anche senza esempio la nascita divina. Aggiungeremo ancora che tutte le creature derivano dal nulla. Se pertanto, in quanto creata dal nulla, non è sostanziale quella creatura che genera da sé (un’altra creatura), in questo essa conserva la condizione della sua origine: invece la sostanza di quella luce eterna, che è sempre esistita, poiché in sé non ha nulla di non sostanziale, non ha potuto produrre da sé uno splendore non sostanziale. Perciò ben a ragione diciamo che il Figlio è unico. Infatti è unico e solo colui ch’è nato in questo modo, e ciò ch’è unico non può avere alcun termine di confronto, né colui ch’è il creatore di tutte le cose può esser simile alle sue creature quanto alla sostanza.

 

Pertanto questo è Gesù Cristo unico Figlio di Dio, ch’è anche nostro Signore. Unico si può riferire sia a Figlio sia a Signore: infatti Gesù Cristo è il solo veramente Figlio e il solo veramente Signore. Gli altri, anche se son detti figli, son detti tali per grazia di adozione, non per realtà di natura. E se altri son definiti signori, son detti tali in forza di un potere ch’è stato loro concesso, non senza origine. Ma questo solo è unico Figlio e unico Signore come dice anche l’Apostolo: “E un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose” (1Cor 8, 6). Così la norma di fede che ci è stata proposta, dopo aver presentato l’indicibile mistero della nascita del Figlio dal Padre, ora scende alla condiscendenza e all’economia della umana salvezza e colui che sopra aveva definito unico Figlio di Dio, ora lo definisce anche nostro Signore.

 

  1. Che è nato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Questa fra gli uomini è nascita dovuta all’economia della salvezza, mentre quella è della sostanza divina: questa è di condiscendenza, quella di natura. Nasce per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine: e certo a questo punto si richiedono più puri le orecchie e l’intelletto. Infatti a questi, che poco fa hai appreso nato indicibilmente dal Padre, ora apprendi che dallo Spirito Santo è stato preparato un tempio nel segreto del ventre verginale; e come nella santificazione dello Spirito Santo non si deve intendere nessuna fragilità, così anche nel parto della Vergine non si deve intendere alcuna corruzione. Ora infatti al mondo è stato dato un nuovo parto e non senza ragione. Chi infatti in cielo è unico Figlio, conseguentemente anche in terra è unico e nasce in modo unico. Su questo argomento sono a tutti note e riecheggiate nei vangeli le parole dei profeti, i quali affermano che “Una vergine concepirà e partorirà un figlio” (Is 7, 14). E anche il meraviglioso modo del parto il profeta Ezechiele aveva anticipatamente indicato, definendo simbolicamente Maria porta del Signore, cioè attraverso la quale il Signore è entrato nel mondo. Dice pertanto così: “La porta che guarda ad oriente sarà chiusa e non verrà aperta e nessuno vi passerà attraverso, perché proprio il Signore Dio d’Israele passerà attraverso questa porta, e sarà chiusa” (Ez 44, 2). Che cosa di altrettanto evidente si sarebbe potuto dire della consacrazione della Vergine? Rimase in lei chiusa la porta della verginità; attraverso di essa il Signore Dio d’Israele è entrato in questo mondo, e attraverso di essa è venuto dal ventre della Vergine, e in eterno la porta della Vergine è rimasta chiusa, poiché la verginità è stata preservata. Per tal motivo lo Spirito Santo è detto creatore della carne del Signore e del suo tempio.

 

Comincia già da qui a comprendere anche la maestà dello Spirito Santo. Infatti riguardo a questo anche la parola del vangelo afferma che, quando l’angelo parlò alla Vergine e le disse: “Partorirai un figlio e gli darai nome Gesù: infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”, ed ella rispose: “In che modo avverrà questo, dal momento che non conosco uomo”, allora l’angelo di Dio le disse: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà: perciò ciò che da te nascerà santo sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 31. 34. 35; Mt 1, 21). Osserva dunque la Trinità che coopera scambievolmente. È detto che lo Spirito Santo viene sulla Vergine e la potenza dell’Altissimo l’adombra. Ma qual è la potenza dell’Altissimo, se non proprio Cristo, che è potenza di Dio e sapienza di Dio? (1Cor 1, 24). Ma questa potenza di chi è? Dell’Altissimo, è detto. Perciò è presente l’Altissimo, è presente anche la potenza dell’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo. Questa è la Trinità, che dovunque è nascosta e dovunque appare, distinta nei nomi e nelle persone, sostanza inseparabile della divinità. E benché soltanto il Figlio nasca dalla Vergine, tuttavia è presente anche l’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo, perché venga santificato il concepimento della Vergine e il suo parto.

 

  1. Queste verità, in quanto sono affermate sulla base dei libri dei profeti, possono forse confutare i Giudei, per quanto essi siano infedeli e increduli. Ma i pagani sono soliti prenderci in giro, quando sentono che noi affermiamo il parto di una vergine. Perciò in poche parole bisogna rispondere anche alle loro calunnie. Ogni parto esige – come credo – tre condizioni: che la donna sia di età adulta, che ci sia l’uomo, che la donna non sia impedita dalla sterilità. Di queste tre condizioni, in questo parto che noi affermiamo ne è mancata soltanto una, l’uomo; e la sua funzione, poiché colui che nasceva non era un uomo terreno ma celeste (1Cor 15, 47), affermiamo ch’è stata assunta dallo Spirito celeste, restando così preservata l’incorruttibilità della Vergine. E d’altra parte, perché mai sembra strano che una vergine abbia concepito, dal momento che l’uccello d’Oriente, che chiamano Fenice, si sa che nasce e rinasce senza coniuge a punto tale che è sempre uno solo e nascendo e rinascendo succede sempre a se stesso? E certo tutti sanno che le api ignorano l’accoppiamento e senza congiungimento producono la prole. Si sa inoltre che anche alcune altre creature nascono in tal modo. Sembrerà allora incredibile che per la restaurazione dell’intero universo sia avvenuto per potenza divina ciò di cui l’esempio osserviamo anche nella nascita degli animali?

 

E d’altra parte ci si deve meravigliare che ciò sembri impossibile proprio ai pagani, i quali credono che la loro Minerva sia nata dal cervello di Giove. Che cosa è più difficile a credere e che cosa è più contro l’ordine di natura? Qui c’è una donna, qui è preservato l’ordine di natura, qui a suo tempo ci sono stati concepimento e parto. Invece lì non c’è neppure sesso femminile, ma soltanto l’uomo e il parto. Chi crede una tale cosa perché si deve meravigliare di quell’altra?. Ma anche Bacco affermano nato dalla coscia di Giove. Ecco un portento d’altro genere, e pure viene creduto. Anche Venere, che chiamano Afrodite, credono che sia stata generata dalla spuma del mare, come dimostra anche la composizione del suo nome. Affermano che Castore e Polluce sono nati da un uovo, i Mirmidoni dalla formica. E mille altri portenti, che contravvengono all’ordine di natura, eppure a loro sono sembrati degni di esser creduti, come le pietre scagliate da Deucalione e da Pirra e la messe di uomini nata di lì. E mentre prestano fede a tali e tante invenzioni, soltanto questo sembra loro impossibile; che una donna in età adulta abbia concepito un frutto divino non per contaminazione di uomo ma per ispirazione di Dio? Che se sono così difficili a credere, mai avrebbero dovuto prestar fede a quelle tante e tanto turpi mostruosità. Se invece sono facili a credere, molto più prontamente avrebbero dovuto accogliere queste nostre verità così pure e così sante, piuttosto che quelle loro storie tanto indegne e turpi.

 

  1. Ma forse obietteranno che certo Dio avrebbe potuto far sì che una vergine concepisse e anche partorisse: ma sembra indegno che quella così grande maestà sia passata attraverso gli organi genitali di una donna: dove, anche se non ci fosse stata contaminazione derivante da unione con un uomo, tuttavia ci sarebbe stata l’offesa del vergognoso contatto prodotto dal puerperio. A costoro rispondiamo brevemente secondo il loro modo di vedere. Se uno vede un bambino che viene ucciso in mezzo al fango profondo e, pur essendo uomo importante e potente, entra nel fango, per così dire, in punta di piedi per liberare il bambino che sta morendo, tu accuserai quest’uomo di essersi contaminato per aver calpestato un po’ di fango ovvero lo loderai per la sua pietà, dato che ha salvato la vita a uno che stava per morire? E questa considerazione può esser fatta anche a proposito di un uomo comune. Torniamo invece ora alla natura di colui ch’è nato. Quanto pensi che gli sia inferiore la natura del sole? Certamente quanto la creatura è inferiore al creatore. Ora osserva: se un raggio di sole giunge al fondo di una fossa fangosa, forse ne risulta di qui per qualche parte contaminato? o riterremo offesa per il sole anche solo l’aver illuminato quella sozzura? Di quanto la natura del sole è inferiore alle realtà di cui stiamo parlando? Eppure non crederemo che una qualche materia sozza e turpe messa sul fuoco possa contaminarlo.

 

Dato che evidentemente così è riguardo alle cose materiali, pensi tu forse che quella trascendente e incorporea natura, che è al di sopra di ogni fuoco e di ogni luce, possa in qualche modo essere insozzata e contaminata? Osserva infine anche questo. Noi diciamo che Dio ha creato l’uomo dal fango della terra (Gen 2, 6). Che se consideriamo vergognoso per Dio riscattare la sua opera, molto più vergognoso riterremo averla creata così dall’inizio. Ed è superfluo chiedere perché mai egli sarebbe passato attraverso membra vergognose, dato che potresti chiedere perché mai avrebbe creato tali membra. Del resto non la natura ma la consuetudine ci ha insegnato che tali parti del corpo sono vergognose. Infatti tutte le parti del corpo sono state fatte da un solo e stesso fango e si distinguono soltanto per gli usi e le funzioni naturali.

 

  1. Ma per risolvere completamente questa difficoltà non tralascerò neppure di rilevare che la sostanza di Dio, ch’è del tutto incorporea, non può inserirsi nei corpi né essere accolta da questi in modo primario, se non tramite la mediazione di una sostanza spirituale che possa essere capace di accogliere lo spirito divino. Per fare un esempio, la luce può illuminare tutte le membra del corpo, ma non può essere percepita da nessuna tranne che dal solo occhio: infatti soltanto l’occhio è capace di percepire la luce. Così nasce il Figlio di Dio dalla Vergine non unito in modo primario soltanto con la carne, ma generato essendo l’anima mediatrice fra la carne e Dio. Pertanto, dato che l’anima è un’entità intermedia ed è capace di accogliere il Verbo divino nell’intimo recesso dello spirito razionale, Dio è nato dalla Vergine senza contrarre quell’offesa che tu pensi. E così non dobbiamo immaginare niente di vergognoso là dove era presente la santificazione dello Spirito Santo, e l’anima, che era capace di accogliere Dio, diventava capace anche di accogliere la carne. Nulla devi ritenere impossibile là dove era presente la potenza dell’Altissimo; nulla devi pensare di umana fragilità là dove era presente la pienezza della divinità.

 

  1. Crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese nell’inferno. L’apostolo Paolo insegna che gli occhi del nostro cuore debbono essere illuminati per comprendere quale sia l’altezza e la larghezza e la profondità (Ef 1, 18; 3, 18). Altezza larghezza profondità sono descrizione della croce. Infatti Paolo ha chiamato profondità quella parte ch’è conficcata in terra; altezza quella parte che protesa nell’aria si erge in alto; larghezza infine quella parte che distesa si allarga a destra e a sinistra. Poiché dunque ci sono tante specie di morte, con le quali gli uomini sono soliti uscire da questa vita, l’Apostolo vuole che noi con cuore illuminato conosciamo il motivo per cui di tutte queste specie è stata scelta proprio quella della croce per la morte del Salvatore.

 

A tale proposito bisogna sapere che la croce era segno di trionfo: infatti il trofeo è il segno del trionfo, in quanto è segno della vittoria sul nemico. Poiché dunque Cristo col suo avvento ha sottomesso parimenti a sé i tre regni (questo infatti indica Paolo là dove dice: “In nome di Gesù si piegherà ogni ginocchio, delle creature celesti e terrestri e infernali” [Fil 2, 10]) e tutti e tre li ha vinti con la sua morte, è stata prescelta una specie di morte che fosse adatta ad indicare il mistero: infatti sollevato in alto e sottomettendo le potenze dell’aria, riportava vittoria su queste potenze eccelse e celesti; teneva poi le mani distese tutto il giorno, come dice il profeta (Is 65, 2), rivolto al popolo ch’è in terra, per accusare gl’increduli e invitare i credenti; con quella parte poi della croce che è immersa sotto terra sottometteva a sé i regni infernali.

 

  1. Infatti – per dire in breve qualcosa anche sugli argomenti più segreti – quando Dio all’inizio fece il mondo vi mise a capo alcune gerarchie di potenze celesti da cui fosse retto e amministrato il genere umano. Che così sia stato fatto indica Mosè nel cantico del Deuteronomio, dove dice: “Quando l’Eccelso divideva i popoli, stabilì i confini delle genti secondo il numero degli angeli di Dio” (Deut 32, 8). Ma alcuni di costoro, come anche colui ch’è chiamato principe del mondo (Gv 12, 31), usarono del potere ch’era stato dato loro da Dio non secondo le norme con le quali l’avevano ricevuto; e così insegnarono agli uomini a ubbidire non ai precetti divini bensì alle loro prevaricazioni: perciò è stata scritta a nostro danno l’obbligazione derivante dai peccati, perché, come dice il profeta, siamo stati venduti a causa dei nostri peccati (Is 50, 1). Infatti ognuno riceve un prezzo per la propria anima quando abbia soddisfatto i suoi cattivi desideri.

 

Ma questa obbligazione di noi tutti, ch’era in mano di quei pessimi reggitori, Cristo col suo avvento l’ha strappata via ed ha privato quelli di tale potere. Proprio a questo allude Paolo con parole piene di mistero, là dove dice di Cristo: “Distruggendo l’obbligazione che era contro di noi e inchiodandola sulla croce, espose alla pubblica derisione i principati e le potenze, trionfando su di loro in se stesso” (Col 2, 14-15). Perciò quei reggitori, che Dio aveva messo a capo del genere umano, voltisi alla tirannia con spirito di ribellione, intrapresero ad aggredire gli uomini ch’erano stati loro affidati e a debellarli con l’arma del peccato, secondo quanto accenna con parole coperte il profeta Ezechiele dicendo: “In quel giorno avanzeranno gli angeli affrettandosi a distruggere l’Etiopia, e ci sarà tra quelli gran turbamento nel giorno dell’Egitto, perché quel giorno verrà” (Ez 30, 9). Perciò a ragione è scritto che Cristo, dopo averli privati di tutto il loro potere, ha trionfato su di loro e ha trasferito il potere da loro agli uomini come egli stesso dice nel Vangelo ai suoi discepoli: “Ecco, vi ho dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni, e tutta la forza del nemico” (Lc 10, 19). Così la croce di Cristo ha assoggettato costoro, che male avevano usato del potere loro concesso, a quelli che una volta erano stati loro soggetti.

 

A noi poi, cioè al genere umano, insegna per prima cosa a resistere fino alla morte contro il peccato ed ad accettare volentieri la morte per la fede. Infine con questa sua croce propone a noi anche esempio di ubbidienza, come a quelli, che una volta erano stati nostri reggitori, ha stabilito pene per la loro protervia. Senti infatti come l’apostolo vuole insegnarci l’ubbidienza per mezzo della croce di Cristo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti ch’erano in Cristo Gesù: egli, essendo nella natura di Dio, non tenne gelosamente per sé l’essere uguale a Dio, ma annientò se stesso assumendo la forma di schiavo; fatto a somiglianza degli uomini e reso nell’aspetto come un uomo, fu ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2, 5-8). Poiché infatti è grande maestro colui che opera in conformità del suo insegnamento, egli ha insegnato che le persone pie debbono osservare l’ubbidienza anche a costo della morte, morendo egli stesso il primo per essa.

 

  1. Ma forse qualcuno si potrebbe spaventare ad ascoltare una tale dottrina: infatti trattiamo ora della morte di colui che poco fa abbiamo detto essere sempiterno insieme con Dio Padre e generato dalla sua sostanza, e che abbiamo insegnato essere una cosa sola col Padre per regno eternità maestà. Ma non voglio che ti spaventi, o fedele ascoltatore: colui che ora senti dire morto, fra poco di nuovo lo vedrai immortale. Infatti egli accoglie la morte per depredare la morte.

 

Infatti il mistero dell’incarnazione, che or ora abbiamo esposto, è stato determinato da questo motivo: che il Figlio di Dio nella sua divina potenza, come un amo, rivestito di aspetto umano e, secondo quanto ha detto or ora l’apostolo, reso nell’aspetto come un uomo (Fil 2, 7), potesse invitare alla lotta il principe del mondo. Consegnando a questo la sua carne come esca, egli lo ha afferrato grazie all’amo della divinità che gli si era profondamente conficcato dentro, e con l’effusione del sangue immacolato – infatti solo lui non conosce macchia di peccato – ha distrutto i peccati di tutti: di quelli almeno che avevano segnato col suo sangue la porta della loro fede (Es 12, 7). Se un pesce afferra l’amo ch’è nascosto dall’esca, non soltanto porta via l’esca insieme con l’amo ma egli stesso è strappato via dall’acqua, per essere poi esca per gli altri pesci: così anche colui che esercitava l’impero della morte ha portato via il corpo di Gesù per darlo alla morte, senza accorgersi che dentro quel corpo era nascosto l’amo della divinità; così quando l’ha divorata, egli stesso subito è rimasto attaccato e, rotti i cancelli dell’inferno, è tirato via quasi che fosse tratto fuori dal profondo del mare, al fine di essere esca per altri.

 

Che così sarebbe stato già lo aveva prefigurato il profeta Ezechiele con la stessa immagine dicendo: “Ti tirerò fuori con il mio amo e ti distenderò sulla terra. I campi saranno ripieni di te e radunerò su di te tutti gli uccelli del cielo e sazierò di te tutte le bestie della terra” (Ez 32, 3-4). Anche David dice: “Lo ha dato come esca ai popoli d’Etiopia” (Sal 73, 14). E Giobbe parla in modo analogo sullo stesso mistero: afferma infatti in persona di Dio che gli parla: “O condurrai il dragone con un amo o porrai una cavezza intorno alle sue narici” (Giob 40, 20).

 

  1. Perciò Cristo ha patito nella carne senza danno o offesa per la sua divinità ma al fine di operare la salvezza per mezzo della debolezza della carne, la natura divina è discesa nella morte, non per essere trattenuta dalla morte secondo la legge delle creature mortali, ma per aprire le porte della morte a quelli che grazie a lui sarebbero risorti. È come se un re si rechi ad una prigione ed entrato dentro apra le porte, sciolga catene e ceppi, infranga cancelli e chiavistelli, conduca fuori alla libertà quelli che erano incatenati e restituisca alla luce e alla vita quelli che sedevano nell’oscurità e all’ombra della morte (Sal 106, 10). Diremo allora che il re, certo, è stato in prigione, ma tuttavia non nella condizione che era stata di quelli che venivano tenuti in prigione: ma quelli vi erano tenuti per scontare le pene, egli invece c’è venuto per rimettere le pene.

 

  1. Quelli che hanno tramandato il Simbolo hanno anche indicato nel modo più preciso il tempo in cui tutto ciò è avvenuto: sotto Ponzio Pilato, per evitare che la tradizione dei fatti, incerta e generica in qualche parte, riuscisse meno probante. Bisogna poi sapere che nel Simbolo della Chiesa di Roma non è aggiunta l’espressione discese nell’inferno, ed essa non è in uso neppure nelle Chiese d’Oriente: ma lo stesso concetto di queste parole è espresso là dove è detto che egli è stato sepolto.

 

Ma poiché tu sei molto attaccato e interessato alle Sacre Scritture, certamente mi dirai che tutte queste verità debbono essere confortate da più perentorie testimonianze tratte appunto di lì. Quanto più infatti è importante ciò che si deve credere, tanto più necessita di testimonianze idonee e al di sopra di ogni dubbio. Ciò che tu chiedi è giusto e ragionevole: ma noi, in quanto ci rivolgiamo a chi conosce la Legge, per esigenza di brevità tralasciamo una gran massa di testimonianze. Presenteremo tuttavia poche cose fra le tante, se ci si accontenta anche di queste, sapendo che a quanti si dedicano allo studio delle Sacre Scritture si spalanca a tal proposito un immenso mare di testimonianze.

 

  1. Innanzitutto bisogna sapere che il valore della croce non è uno solo e lo stesso per tutti: ma essa ha un significato per i pagani, un altro per i Giudei, un altro per i credenti, come anche l’apostolo dice: “Noi poi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, ma per quanti sono stati chiamati sia Giudei sia Greci potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1, 23-24). E in un altro luogo: “Infatti la parola della croce è pazzia per quanti periscono, ma per coloro che si salvano è potenza di Dio” (1Cor 1, 18). Infatti i Giudei, che dalla Legge avevano appreso che il Cristo sarebbe rimasto in eterno (Gv 12, 34), traevano motivo di scandalo dalla sua croce, perché non vollero credere nella sua resurrezione. Ai pagani poi sembrava pazzia credere che Dio era morto, perché essi ignoravano il mistero della incarnazione. I fedeli invece, che avevano creduto che Cristo era nato, aveva patito ed era risorto dai morti, giustamente credevano che era potenza di Dio quella che aveva vinto la morte.

 

Per prima cosa dunque ascolta come dalla parola profetica di Isaia è indicato che i Giudei, cui i profeti avevano predetto queste verità, non avrebbero creduto, e invece avrebbero creduto quelli che mai avevano ascoltato ciò dai profeti: “Coloro – egli dice – cui questo non è stato annunziato, vedranno, e coloro che non hanno ascoltato, comprenderanno” (Is 52, 15). Lo stesso Isaia in questo modo predice che, mentre non credettero quelli che meditavano la legge di Dio dalla fanciullezza alla vecchiaia, tutto il mistero della salvezza sarebbe stato trasferito ai pagani: “Ecco – egli dice –, il Signore degli eserciti preparerà a tutte le genti un banchetto su questo monte: berranno la gioia, berranno vino, si ungeranno di profumi su questo monte: dà ai pagani tutti questi beni. Questa è la volontà del Signore onnipotente riguardo a tutti i pagani” (Is 25, 6-7).

 

Ma forse quelli che si vantano della conoscenza della Legge ci obietteranno: Bestemmiate voi che affermate che il Signore è stato soggetto alla corruzione della morte e alla passione della croce. Ma allora leggete quanto trovate scritto nelle Lamentazioni di Geremia, là dove egli dice: “Lo spirito del nostro volto, Cristo Signore, fu preso a causa dei nostri peccati, riguardo al quale abbiamo detto: Sotto la sua ombra vivremo fra i pagani” (Lam 4, 20). Ascolta come quello profetizza che Cristo Signore è stato preso e per noi, cioè a causa dei nostri peccati, è stato dato in preda alla corruzione; e poiché il popolo ch’è rimasto incredulo è stato rigettato via, dice che all’ombra del Signore vivremo non in Israele ma fra i pagani.

 

  1. Che se poi non sembra troppo laborioso, voglio indicare come nei profeti siano stati predetti tutti i particolari che riferiscono i vangeli: in tal modo quelli che ricevono i primi rudimenti della fede possono tenere scritte nel loro cuore queste testimonianze, perché non si insinui in loro alcuna funesta incertezza riguardo al contenuto di questa loro fede.

 

Il vangelo ci insegna che Giuda, uno degli amici e dei commensali di Cristo, lo tradì (Mt 26, 14-16): ascolta come ciò venga predetto nei Salmi: “Uno che ha mangiato il mio pane, ha teso l’insidia contro di me” (Sal 40, 10). E in un altro luogo: “I miei amici e i miei congiunti si sono avvicinati e stettero contro di me” (Sal 37, 12). E ancora: “Si sono ammorbidite le loro parole più dell’olio, ed esse erano dardi” (Sal 54, 22). Vuoi vedere in che modo si sono ammorbidite? “Venne – è detto – Giuda da Gesù e gli disse: Salve, Maestro, e lo baciò” (Mt 26, 49). Con l’allettamento dolce di un bacio infisse il dardo esecrando del tradimento. Per cui il Signore gli dice: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?” (Lc 22, 48).

 

Senti dire che egli è stato valutato trenta monete d’argento dalla cupidigia del traditore (Mt 26, 15). Ascolta anche su questo particolare la parola del profeta: “Dissi loro: Se vi par bene, datemi la ricompensa oppure dite di no”. E subito dopo: “E ricevetti trenta monete d’argento e le gettai nella casa del Signore per essere fuse” (Zac 11, 12-13). Non è proprio questo ciò che si legge nel vangelo, che Giuda preso da penitenza riportò indietro il danaro, lo gettò nel tempio e si allontanò? (Mt 27, 3-5). Bene anche il profeta ha parlato di ricompensa di Giuda, col sentimento di chi accusa e rimprovera. Infatti tante opere buone Gesù aveva fatto presso di loro: aveva dato la vista ai loro ciechi, l’uso dei piedi agli zoppi, la possibilità di muoversi ai paralitici; aveva restituito anche la vita ai morti (Gv 10, 32; Mt 11, 5). In contraccambio di tutti questi benefici gli danno la morte, valutata al prezzo di trenta monete d’argento. Nel vangelo è detto anche ch’egli fu legato. Lo aveva predetto la parola del profeta, dicendo così per bocca di Isaia: “Guai alle loro anime, perché hanno fatto un pessimo pensiero contro sé stessi, dicendo: Incateniamo il giusto, perché ci è molesto” (Is 3, 9; Ez 38, 10; Sap 2, 12).

 

  1. Ma qualcuno obietterà: Ma dobbiamo intendere tutto ciò del Signore? Che forse il Signore poteva essere preso dagli uomini e tratto in giudizio? Proprio di questo ti convincerà il medesimo profeta con queste parole: “Il Signore verrà in giudizio con gli anziani e con i capi del popolo” (Is 3, 14). Proprio il Signore viene giudicato secondo la testimonianza del profeta: non solo giudicato ma flagellato, percosso nel volto con le mani e sputacchiato (Gv 19, 1-3); e per noi sopporta ogni offesa e indegnità. E poiché tutti si sarebbero stupiti ad udire tali cose dagli apostoli, ecco che ancora il profeta in loro persona esclama e dice: “Signore, chi ha creduto alla nostra parola?” (Is 53, 1). Infatti era incredibile che si dicesse che Dio Figlio di Dio avesse patito tali tormenti; perciò questi vengono predetti dai profeti affinché non avessero a dubitare coloro che avrebbero creduto. Ecco pertanto che lo stesso Cristo Signore dice in sua persona: “Ho presentato la mia schiena ai flagelli e le mie guance alle percosse, e non ho distolto la mia faccia dalla vergogna degli sputi” (Is 50, 6).

 

Fra gli altri patimenti è scritto anche che legatolo lo condussero al cospetto di Pilato (Mt 27, 2). Anche questo ha predetto il profeta, là dove dice: “E legatolo lo condussero in dono al re Iarim” (Os 10, 6). A meno che uno non faccia questa obiezione: Ma Pilato non era re. Ma sta a sentire che cosa dice il vangelo subito dopo: “Pilato, ad udire ch’egli era della Galilea, lo mandò ad Erode, che allora era re in Israele” (Lc 23, 6-7). Ed a ragione il profeta ha aggiunto il nome Iarim, che significa selvatico. Infatti Erode non era della casa d’Israele né di quella vigna israelitica, che il Signore aveva portato fuori dall’Egitto e aveva piantato in cima ad un fertile colle (Is 5, 1); ma era selvatico, cioè apparteneva alla selva degli stranieri: per questo è chiamato selvatico, come quello che mai era cresciuto dai tralci della vite d’Israele. E anche ciò che ha detto il profeta: “in dono”, si adatta benissimo. Allora infatti – come afferma il vangelo (Lc 23, 12) – Erode e Pilato, che prima erano nemici, fecero pace e come dono per la loro riconciliazione mandavano legato Gesù l’uno dall’altro. Ma che cosa importa questo, purché Gesù dovunque riconcilii quelli che sono in discordia, ristabilisca la pace e la concordia? Anche di questo è scritto in Giobbe: “Il Signore riconcilia i cuori dei principi della terra” (Giob 12, 24).

 

  1. È anche raccontato che, volendolo Pilato lasciar libero, tutto il popolo gridò: “Crocifiggilo, crocifiggilo” (Gv 19, 12; Lc 23, 21). Lo aveva predetto il profeta Geremia, dicendo in persona proprio del Signore: “La mia eredità è diventata per me come un leone nella selva: ha lanciato contro di me la sua voce; per questo l’ho avuta in odio, e per questo ho abbandonato – egli dice – la mia casa” (Ger 12, 8. 7). E ancora in un altro passo: “Su chi avete aperto la vostra bocca e contro chi avete sciolto le vostre lingue?” (Is 57, 4). È scritto che, mentre veniva giudicato, Gesù taceva (Mt 26, 63). Molti passi della Scrittura ne son testimoni. Nei Salmi è scritto: “Sono diventato come uno che non sente e che non ha nella sua bocca parole per rimproverare” (Sal 37, 15). E ancora: “Ma io come un sordo non ascoltavo, ed ero come muto che non apre la sua bocca” (Sal 37, 14). E ancora un altro profeta: “Come un agnello di fronte al tosatore, così non ha aperto la sua bocca; nell’umiliazione fu portato il giudizio contro di lui” (Is 53, 7-8).

 

È scritto che gli fu imposta una corona di spine (Mc 15, 17). Riguardo a questo ascolta nel Cantico dei cantici, sull’iniquità di Gerusalemme, la voce del Padre che si meraviglia dell’ingiuria fatta al Figlio e dice: “Uscite e osservate, figlie di Gerusalemme, la corona con la quale lo ha coronato sua madre” (Ct 3, 11). E così un altro profeta ricorda le spine: “Ho aspettato che (la vigna) producesse uva; invece ha prodotto spine; non giustizia ma iniquità” (Is 5, 2. 7). Tuttavia, perché tu conosca anche le verità più segrete, era necessario che colui che era venuto a portar via i peccati del mondo, purificasse anche la maledizione della terra; essa infatti, a causa del peccato del primo creato, aveva ricevuto la sentenza per la prevaricazione, con queste parole del Signore: “La terra sarà maledetta per la tua azione, e produrrà per te spine e triboli” (Gen 3, 17-18). Perciò Gesù vien coronato di spine, affinché quella prima sentenza di condanna fosse abolita. È condotto alla croce, e al legno viene sospesa la vita di tutto il mondo (Mt 27, 35). Vuoi avere anche su questo la conferma delle parole del profeta? Ascolta Geremia che dice: “Venite e gettiamo il legno nel suo pane e spazziamolo via dalla terra dei vivi” (Ger 11, 19). E ancora Mosè, quasi compiangendoli, dice: “E la tua vita sarà sospesa davanti ai tuoi occhi, e temerai giorno e notte e non crederai alla tua vita” (Deut 28, 66). Ma dobbiamo passare oltre: infatti abbiamo già oltrepassato il limite della brevità che ci eravamo proposti e abbiamo protratto con lunga argomentazione il discorso abbreviato. Tuttavia aggiungeremo ancora qualcosa, per non trascurare completamente ciò che abbiamo incominciato.

 

  1. È scritto che Gesù, colpito al fianco, emise insieme acqua e sangue (Gv 19, 34). Certo questo particolare ha significato occulto: infatti proprio lui aveva detto: “Scaturiranno dal suo ventre fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38). E ha emesso anche quel sangue che i Giudei avevano chiesto che ricadesse su di loro e sui loro figli (Mc 27, 25). Perciò ha emesso l’acqua che purificasse i credenti, ed ha emesso il sangue che condannasse gl’increduli. Ma si può anche intendere che in questo particolare è simboleggiata la duplice grazia del battesimo: una è quella che viene data per mezzo dell’acqua battesimale; l’altra è quella che viene cercata per mezzo del martirio con l’effusione di sangue: infatti l’uno e l’altro sono chiamati battesimo. Che se ricerchi anche perché è detto che egli emise acqua e sangue non da altro membro ma proprio dal fianco, mi sembra che qui nel fianco sia indicata, per tramite della costola, la donna. Infatti poiché la fonte del peccato e della morte derivò dalla prima donna, che fu la costola del primo Adamo (Gen 2, 22), per questo anche la fonte della redenzione e della vita scaturisce dalla costola del secondo Adamo.

 

  1. È scritto che durante la sua passione discesero le tenebre dall’ora sesta all’ora nona (Mt 27, 45). Sta a sentire anche su questo punto la testimonianza del profeta che dice: “Il sole tramonterà per te a mezzogiorno” (Am 8, 9). E ancora il profeta Zaccaria: “In quel giorno – dice – non ci sarà luce. Ci sarà freddo e gelo in un giorno, e quel giorno è noto al Signore, e non ci sarà giorno né notte, e ci sarà luce al tramonto” (Zac 14, 6-7). Che cosa di altrettanto evidente avrebbe potuto dire il profeta, sì che sembrasse non tanto predire cose future quanto raccontare cose già passate? Ha predetto anche il freddo, anche il gelo: per questo infatti Pietro si riscaldava al fuoco (Gv 18, 18), perché era freddo; ed egli soffriva il freddo non soltanto del tempo ma anche della fede. Il profeta ha aggiunto ancora: “E quel giorno è noto al Signore, e non ci sarà né notte né giorno”. Che significa: Non ci sarà notte né giorno?. Che forse non ha parlato chiaramente delle tenebre che sono sopraggiunte durante il giorno, e della luce che è stata richiamata indietro? Quello non fu un giorno: infatti non cominciò col sorgere del sole. Né fu vera e propria notte: infatti non intraprese dall’inizio il cammino che le è assegnato, dopo ch’era stato completato il corso del giorno, né lo condusse fino al termine stabilito: ma la luce, allontanata dal delitto degli empi, tornò al tramonto. Infatti dopo l’ora nona, scacciate le tenebre, il sole è restituito al mondo. E di questo stesso fatto un’altra testimonianza dice: “E di giorno si oscurerà la luce sopra la terra” (Am 8, 9).

 

  1. La predicazione del vangelo c’insegna anche che i soldati si divisero le vesti di Gesù e trassero a sorte la sua tunica (Mt 27, 35). Anche questo lo Spirito Santo ha avuto cura che fosse annunziato dalla parola del profeta, che dice: “Si sono divise le mie vesti e hanno gettato la sorte sul mio vestito” (Sal 21, 19). Ma i profeti non hanno neppure taciuto di quella veste che – com’è scritto – i soldati gli fecero indossare per schernirlo, cioè la veste purpurea (Mt 27, 28). Ascolta infatti che cosa dice Isaia: “Chi è costui che viene da Edom? e le sue rosse vesti da Bosra? Perché è rosso il tuo vestito, e le tue vesti come quelle che vengon fuori da un torchio pigiato?” (Is 63, 1-2). Sì che egli stesso risponde: “Da solo ho pigiato il torchio, figlie di Sion” (Is 63, 3). Uno solo è infatti colui che non ha commesso peccato ed ha portato via il peccato del mondo (1Pt 2, 22; Gv 1, 29). Se infatti la morte è potuta entrare a causa del peccato di uno solo, quanto più ha potuto essere restituita la vita per opera di un solo uomo, ch’era anche Dio? (Rom 5, 12).

 

  1. È scritto anche che Gesù è stato dissetato con aceto o con vino mirrato, ch’è più amaro del fiele (Mt 27, 34.48). Ascolta che cosa su questo aveva predetto il profeta: “Per cibo mi hanno dato fiele e nella sete mi hanno dato da bere aceto” (Sal 68, 22). E riferendosi a questo fatto già a suo tempo Mosè diceva di quel popolo: “Delle vigne di Sodoma è la loro vite, e i loro tralci sono di Gomorra; la loro uva è di fiele e il loro grappolo è amaro” (Dt 32, 32). E rimproverandoli dice ancora: “Popolo sciocco e non saggio, hai contraccambiato così il Signore?” (Dt 32, 6). Anche nel Cantico sono prefigurati gli stessi fatti, dove è ricordato anche il giardino nel quale fu crocifisso. Infatti il Signore dice così: “Sono entrato nel mio giardino, sorella mia sposa, e ho vendemmiato la mia mirra” (Ct 5, 1), dove chiaramente ha indicato il vino mirrato col quale fu dissetato.

 

  1. È scritto che subito dopo rese lo spirito (Mt 27, 50). Anche questo era stato preannunziato dal profeta, che in persona del Figlio diceva al Padre: “Nelle tue mani affido il mio spirito” (Sal 30, 6). È raccontato che fu sepolto e che all’entrata della tomba fu apposta una grande pietra (Mt. 27, 60). Ascolta che cosa su questo abbia predetto la parola profetica di Geremia: “Hanno messo a morte in una fossa la mia vita e hanno posto una pietra su di me” (Lam 3, 53). È questo un accenno chiarissimo fatto dalla parola del profeta alla sua sepoltura. Ma stanne a sentire anche altri: “Il giusto – è scritto – fu tratto via dal cospetto dell’iniquità e il suo posto sarà in pace” (Is 57, 1). E altrove: “E darò i cattivi per sua sepoltura” (Is 53, 9). E ancora un altro passo: “Giacendo hai dormito come un leone e come un leoncello: chi lo risveglierà? (Gen 49, 9).

 

  1. Anche la sua discesa all’inferno (Rom 10, 7; 1Pt 3, 18-20) è prefigurata con chiarezza nei Salmi, dove egli dice: “Mi hai tratto nella polvere della morte” (Sal 21, 16). E ancora: “Che giovamento c’è nel mio sangue, mentre discendo nella corruzione?” (Sal 29, 10). E ancora: “Son disceso nel fango profondo e non c’è sostegno per me” (Sal 68, 3). Anche Giovanni dice: “Sei tu che verrai? – senza dubbio nell’inferno – o aspettiamo un altro?” (Lc 7, 20). Sì che anche Pietro dice: “Cristo messo a morte quanto alla carne, ma riportato in vita quanto allo spirito, con questo spirito va anche a predicare a quegli spiriti che erano stati chiusi in carcere, che erano stati increduli nei giorni di Noè” (1Pt 3, 18-20). Qui è anche spiegato che cosa egli abbia operato nell’inferno. Ma proprio il Signore, quasi riferendosi al futuro, dice per mezzo del profeta: “Non abbandonerai l’anima mia nell’inferno e non permetterai che il tuo santo provi la corruzione” (Sal 15, 10). E nondimeno, con parola profetica egli dimostra ancora che questo si è verificato, quando dice: “Signore, hai condotto fuori dall’inferno la mia anima e mi hai salvato da quelli che discendevano nella fossa” (Sal 29, 4).

 

  1. Poi il Simbolo continua: Il terzo giorno è risorto. La gloria della resurrezione ha dissolto in Cristo tutto ciò che appariva debole e fragile. Se poco fa non ti sembrava possibile che l’immortale venisse a morte, osserva ora come non possa essere mortale colui che, vinta la morte, è detto essere risorto. E comprendi in questo la bontà del creatore, perché egli avendo pietà di te è disceso fin là dove tu eri stato precipitato a causa del peccato. Né accuserai d’impotenza Dio creatore di tutte le cose, sì da credere che la sua creatura a causa della caduta sia stata imprigionata là dove egli non poteva arrivare per liberarla. Parliamo di livelli inferiori e superiori in relazione a noi, che chiusi in una ben delimitata forma corporea, siamo ristretti entro i limiti della norma che ci è stata assegnata. Ma per Dio, ch’è dovunque e non manca da nessuna parte, che cosa è inferiore e che cosa superiore? E tuttavia nell’incarnazione si realizza anche questa delimitazione.

 

È risorta la carne che era stata deposta nel sepolcro, perché si adempisse ciò ch’era stato predetto dal profeta: “Non permetterai che il tuo santo provi la corruzione” (Sal 15, 10). Perciò torna vincitore dai morti, traendo con sé le spoglie dell’inferno: infatti ha condotto fuori coloro ch’erano trattenuti dalla morte, come egli stesso aveva predetto con queste parole: “Quando sarò innalzato, trarrò tutto a me” (Gv 12, 32). E di ciò è testimone anche il vangelo, là dove dice: “Si aprirono i sepolcri, e molti corpi di santi che vi riposavano risorsero e apparvero a molti, ed entrarono nella città santa” (Mt 27, 52-53): per certo entrarono in quella città santa della quale l’apostolo dice: “Ma la Gerusalemme di lassù è libera, essa ch’è la madre di tutti noi” (Gal 4, 26). Come dice in altro passo anche agli Ebrei: “Era giusto che colui, per il quale e dal quale sono state create tutte le cose, volendo condurre alla gloria molti figli, elevasse a perfezione, per mezzo dei patimenti, l’autore della loro salvezza” (Eb 2, 10). Perciò (Cristo) ha collocato nel più alto dei cieli alla destra del trono di Dio la carne elevata a perfezione dai patimenti, per mezzo della quale con la potenza della resurrezione aveva riparato il peccato del primo creato; sì che anche l’apostolo dice: “Insieme con lui ci ha resuscitato e insieme ci ha fatto sedere nei cieli” (Ef 2, 6). Infatti egli era il vasaio che, come c’insegna il profeta Geremia, “il vaso che gli era sfuggito di mano e si era rotto, di nuovo lo tirò su con le sue mani e lo plasmò di nuovo, come volle” (Ger 18, 4). Così il corpo, che aveva assunto mortale e corruttibile, innalzato dalla pietra del sepolcro e fatto immortale e incorruttibile, egli ha voluto collocare non già in terra ma in cielo e alla destra del Padre. Di questi misteri sono piene le Scritture del Vecchio Testamento: non ne ha taciuto nessun profeta, nessuno scrittore di leggi, nessuno scrittore di salmi; ma ne parla quasi ogni pagina sacra. Mi sembra perciò superfluo indugiare a radunare testimonianze. Addurremo tuttavia pochi passi, proprio pochi, rinviando alle stesse fonti dei libri divini quanti vogliono abbeverarsi più copiosamente.

 

  1. È detto subito nei Salmi: “Mi ero assopito e immerso nel sonno, e mi svegliai perché il Signore mi difenderà” (Sal 3, 6); e in un altro passo: “Per lo strazio dei miseri e il gemito dei poveri subito mi leverò, dice il Signore” (Sal 11, 6); e in un altro passo, come sopra abbiamo detto: “Signore, hai condotto fuori dell’inferno la mia anima, mi hai salvato da quelli che discendevano nella fossa” (Sal 29, 4); e ancora: “Perché rivolto a me mi hai ridato la vita e mi hai tratto fuori di nuovo dalla profondità della terra” (Sal 70, 20). E nel modo più chiaro nel Salmo 87 è detto di lui: “E diventò come un uomo senza aiuto, libero fra i morti” (Sal 87, 5-6). Il salmista non ha detto “uomo”, ma “come un uomo”. Infatti era come un uomo, perché era disceso nell’inferno; ma era libero tra i morti, perché la morte non lo poteva trattenere: perciò una parola presenta la natura dell’umana fragilità, e l’altra la natura della maestà divina. Il profeta Osea ha predetto con evidenza anche il terzo giorno in questo modo: “Ci risanerà dopo due giorni; e il terzo giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto” (Os 6, 3). Osea qui parla nella persona di quelli che, risorgendo con lui il terzo giorno, sono richiamati dalla morte alla vita; e son questi che dicono: “Il terzo giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto”. Invece Isaia dice apertamente: “Colui che trasse fuori dalla terra il grande pastore delle pecore” (Is 63, 11).

 

Quanto poi al fatto che le donne avrebbero visto la sua resurrezione, mentre gli scribi, i farisei e il popolo non avrebbero creduto, anche questo Isaia predice con tali parole: “Donne, che venite dallo spettacolo, accorrete: infatti non è un popolo che abbia raziocinio” (Is 27, 11). Quanto poi a quelle donne di cui si dice che vennero al sepolcro, lo cercarono e non lo trovarono, come di Maria si dice che venne prima dell’alba e, non avendolo trovato, disse piangendo all’angelo che stava là: “Hanno portato via il Signore e non so dove l’hanno messo” (Lc 24, 1-3; Gv 20, 1. 13), anche tutto ciò è predetto nel Cantico dei cantici così: “Nel mio letto ho cercato quello che la mia anima ha amato; di notte l’ho cercato e non l’ho trovato” (Ct 3, 1. 2). Anche riguardo alle donne che lo trovarono e abbracciarono i suoi piedi, ecco la predizione nel Cantico dei cantici: “Lo abbraccerò e non lo lascerò andar via, lui che l’anima mia ha amato” (Ct 3, 4). Ecco per ora poche testimonianze fra le tante: infatti cerchiamo di essere brevi e perciò non ne possiamo mettere insieme di più.

 

  1. È asceso in cielo, siede alla destra del Padre: di li verrà a giudicare i vivi e i morti. Questo contiene la continuazione del discorso abbreviato sulla fede, dove è chiaro ciò che vien detto ma bisogna ricercare in che senso tutto ciò debba essere inteso: infatti una volta che non intendiamo secondo la dignità della divinità l’essere asceso e l’essere seduto e l’essere in procinto di venire, con tali espressioni sarà indicato l’agire dell’umana fragilità. E infatti, realizzato completamente ciò che aveva operato in terra e richiamate dall’inferno le anime prigioniere, si dice che Gesù ascende in cielo, come aveva predetto il profeta: “Ascendendo in alto, ha condotto prigioniera la prigionia, ha dato doni agli uomini” (Sal 67, 19 Ef 4, 8). Quei doni, cioè, che Pietro, negli Atti degli apostoli, indicava nello Spirito Santo: “Perciò esaltato dalla destra di Dio, ha effuso questo dono, che voi vedete e ascoltate” (At 2, 33). Perciò Cristo ha dato agli uomini il dono dello Spirito Santo, perché i prigionieri, che prima il diavolo aveva condotto giù nell’inferno a causa del peccato, egli grazie alla resurrezione dalla sua morte li ha richiamati in cielo.

È asceso in cielo, non dove prima il Verbo Dio non era stato (infatti egli era sempre in cielo e rimaneva presso il Padre), ma dove il Verbo fatto carne prima non aveva seduto. Poiché infatti tale ingresso appariva nuovo ai custodi e principi delle porte del cielo, al vedere la natura della carne che entrava nel recesso più intimo del cielo, essi dicono l’un l’altro, come riferisce David pieno di Spirito Santo: “Alzate, principi, le vostre porte e innalzatevi, porte eterne, ed entrerà il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia” (Sal 23, 7-8). Certo queste parole vengono pronunziate non a causa della potenza della divinità, ma per la novità rappresentata dalla carne che ascendeva alla destra di Dio. E dice altrove lo stesso David: “È asceso Dio fra il giubilo, il Signore al suono della tromba” (Sal 46, 6). È costume infatti che il vincitore ritorni dalla battaglia al suono della tromba. Di lui è detto anche: “Egli stabilisce in cielo il suo trono” (Am 9, 6). E ancora altrove: “Egli è salito sui Cherubini ed ha volato, ha volato sulle ali dei venti” (Sal 17, 11).

  1. Anche sedere alla destra del Padre è mistero della carne assunta. Infatti ciò non si adatta convenientemente alla incorporea natura di Cristo senza l’assunzione della carne; ed è non la natura divina bensì quella umana che progredisce fino alla sede celeste. Per cui è detto: “Da allora, Signore, è preparata la tua sede: da ogni tempo tu sei” (Sal 92, 2). Perciò è preparata già da ogni tempo la sede in cui si sarebbe seduto colui nel cui nome “si piegherà ogni ginocchio: delle creature celesti e terrestri e infernali, e ogni lingua proclamerà che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre” (Fil 2, 10-11). Di questo David dice così: “Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici sgabello dei tuoi piedi” (Sal 109, 1). Infatti proprio spiegando nel vangelo queste parole, il Signore diceva ai Farisei: “Ma se David, ispirato dallo Spirito, lo chiama Signore, come può essere suo figlio?” (Mt 22, 45). Con ciò dimostra che secondo lo spirito egli è Signore, e secondo la carne è figlio di David. Sì che proprio il Signore dice ancora: “Anzi vi dico: D’ora in avanti vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della potenza” (Mt 26, 64). E l’apostolo Pietro dice di Cristo: “Egli, che siede in cielo alla destra di Dio” (1Pt 3, 22). E anche Paolo, scrivendo agli Efesini: “Secondo l’operazione – dice – della sua smisurata potenza, che egli ha realizzato in Cristo, risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra” (Ef 1, 19-20).
  2. Che verrà a giudicare i vivi e i morti, ce lo insegnano molte testimonianze delle Sacre Scritture. Ma prima di riferire queste predizioni dei profeti, ritengo opportuno richiamare alla mente che questa tradizione di fede vuole che noi giorno per giorno stiamo attenti e preparati all’arrivo del giudice, sì da predisporre le nostre azioni come se siamo sul punto di render conto al giudice che sta per arrivare (1Pt 4, 5). Era proprio questo ciò che diceva il profeta dell’uomo felice, che “dispone con giustizia le sue parole” (Sal 111, 5). Quanto poi al fatto che è detto che egli giudica i vivi e i morti, ciò non significa che verranno al giudizio alcuni vivi e altri morti, bensì che egli giudicherà insieme le anime e i corpi, dove come anime sono indicati i vivi e come corpi i morti. Proprio il Signore dice così nel vangelo: “Non temete quelli che possono uccidere il corpo ma non possono far nulla all’anima; ma temete piuttosto colui che può mandare a perdizione nella Gehenna e l’anima e il corpo” (Mt 10, 28).
  3. Ma ora, se sembra opportuno, dimostriamo brevemente che anche queste verità sono state predette dai profeti. Se poi vorrai maggior numero di testimonianze, tu stesso le metterai insieme da tutta l’ampiezza delle Scritture. Ecco quel che dice il profeta Malachia: “Ecco, viene il Signore onnipotente; e chi sosterrà il giorno del suo arrivo, o chi sosterrà la sua vista? Poiché egli al suo arrivo sarà come il fuoco dei fonditori e come la liscivia dei lavandai. E siederà per fonderli e purificarli come l’argento e come l’oro” (Mal 3, 1-3). Ma perché tu apprenda con maggiore chiarezza chi sia questo Signore, di cui si parla in tal modo, sta a sentire cosa dice anche il profeta Daniele: “Io contemplavo nella visione notturna: ed ecco che sulle nubi del cielo veniva come un Figlio di uomo, e arrivò fino all’Antico dei giorni e fu presentato al suo cospetto; e a lui fu dato principato onore e regno; e tutti i popoli tribù lingue gli serviranno; e il suo potere è potere eterno, che non passerà, e il suo regno non vedrà la corruzione” (Dan 7, 13-14). Di qui perciò impariamo a conoscere non soltanto la venuta e il giudizio, ma anche il suo potere e il suo regno: cioè, che il suo potere è eterno, e che il suo regno non vedrà né termine né corruzione. Come anche nel vangelo si dice: “E del suo regno non ci sarà fine” (Lc 1, 33). Per cui è del tutto estraneo alla fede chi sostiene che un giorno il regno di Cristo avrà fine.

Dobbiamo tuttavia sapere che questa venuta di Cristo apportatrice di salvezza il nemico cercherà di simulare con astuta frode, per trarre in inganno tutti i fedeli; e in luogo del Figlio dell’uomo, di cui aspettiamo la venuta nella maestà di suo Padre, presenterà il figlio della perdizione con prodigi e miracoli menzogneri, sì da introdurre in questo mondo, invece di Cristo, l’Anticristo del quale proprio il Signore ha fatto ai Giudei questa predizione nel vangelo: “Io sono venuto in nome del Padre mio e non mi avete accolto; verrà un altro in proprio nome, e questo lo accoglierete” (Gv 5, 43). E dice ancora: “Allora vedrete l’abominazione della desolazione nel luogo santo, come dice il profeta Daniele. Chi legge comprenda” (Mt 24, 15). Infatti Daniele nelle sue visioni ci dà molti esaurienti insegnamenti circa l’insorgere di questo errore; ma sarebbe troppo difficoltoso addurre qui tali esempi, perché si tratta di racconti molto estesi: perciò rinviamo chi vuole conoscere questo argomento in modo più esauriente, a rileggersi piuttosto proprio le visioni. Ma di questo parla anche l’apostolo: “Nessuno v’inganni in alcun modo, perché prima dovrà venire l’apostasia e si rivelerà l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che avversa e si erige contro tutto ciò che viene definito e venerato come Dio, sì da sedere nel tempio di Dio, manifestando se stesso come se fosse Dio” (2Tess 2, 3-4). E poco dopo: “E allora si rivelerà l’empio, che il Signore Gesù ucciderà col soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. L’avvento di costui sarà accompagnato dalle opere di Satana, con ogni potenza miracoli e prodigi menzogneri” (2Tess 2, 8-9). E ancora poco dopo: “Perciò Dio permetterà che essi cadano nell’errore, perché credano alla menzogna, e siano giudicati tutti quelli che non hanno creduto alla verità” (2Tess 2, 11-12).

Perciò questo errore ci viene predetto dalle parole dei profeti, del vangelo e degli apostoli, al fine che nessuno in luogo della venuta di Cristo creda alla venuta dell’Anticristo. Ma, come ha detto proprio il Signore, “quando vi diranno: Ecco, Cristo è qui, oppure: È lì, non credete. Infatti verranno molti falsi cristi e molti falsi profeti e trarranno in inganno molti” (Mt 24, 23-24). Ma vediamo come egli abbia presentato il segno del vero Cristo: “Come il lampo – dice – risplende da Oriente fino a Occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24, 27). Quando poi il vero Signore Gesù Cristo sarà venuto, siederà e giudicherà, come è detto nel vangelo: “Separerà le pecore dai capretti” (Mt 25, 32), cioè, separerà i giusti dagli ingiusti. Come anche l’apostolo scrive: “Tutti noi dobbiamo presentarci davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ognuno ciò che gli spetta secondo quanto ha operato quando era nel corpo, sia bene sia male” (2Cor 5, 10). Infatti saremo giudicati non soltanto per ciò che avremo fatto ma anche per ciò che avremo pensato, secondo quanto dice ancora l’apostolo: “Reciprocamente tra di loro con pensieri che li accusano e anche li difendono, nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini” (Rom 2, 15-16). E con ciò basta su questo argomento.

  1. Appresso, nell’esposizione di fede è scritto: E nello Spirito Santo. Le verità che qui sopra sono state tramandate in forma un po’ più particolareggiata su Cristo, riguardano il mistero della sua incarnazione e della sua passione. Poiché esse riguardano la stessa persona (del Figlio), sono inserite nella parte intermedia del Simbolo e così hanno ritardato un po’ la menzione dello Spirito Santo. Se invece si fosse tenuto conto soltanto della divinità, allo stesso modo con cui all’inizio è detto: “Credo in Dio Padre onnipotente” e subito dopo: “In Gesù Cristo unico suo Figlio nostro Signore”, così subito dopo seguirebbe: “E nello Spirito Santo”. Infatti tutte le altre verità che sono tramandate su Cristo, si riferiscono – come abbiamo detto – all’economia della carne. Perciò nella menzione dello Spirito Santo si completa il mistero della Trinità.

Infatti come diciamo un solo Dio e non c’è altro Padre, e come diciamo un solo Figlio unigenito e non c’è altro unigenito, così anche lo Spirito Santo è uno solo e non ci può essere un altro Spirito Santo. Pertanto a fine di distinguere le persone sono distinti i termini che indicano le relazioni, con i quali intendiamo come Padre colui dal quale derivano tutte le altre realtà e che non ha padre egli stesso; questo è il Figlio, in quanto è nato dal Padre; questo è lo Spirito Santo, in quanto procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa. E per dimostrare che una sola e la stessa è la divinità della Trinità, come diciamo di credere in Dio Padre, aggiungendo, cioè, la preposizione in, così diciamo di credere anche in Cristo suo Figlio e così anche nello Spirito Santo. Ma perché risulti più chiaro ciò che diciamo, comproviamolo con ciò che segue.

  1. Infatti subito appresso il Simbolo continua: La santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione di questa carne. Non è detto: “Nella santa Chiesa” né “nella remissione dei peccati” né “nella resurrezione della carne”. Se infatti fosse stata aggiunta la preposizione in, uno solo e il medesimo sarebbe stato il valore insieme con le espressioni che precedono. Invece in queste espressioni in cui si definisce la fede intorno alla divinità, si dice: “in Dio Padre” e “in Gesù Cristo suo Figlio” e “nello Spirito Santo”. Invece nelle altre espressioni, che trattano non della divinità ma delle creature e dei misteri della salvezza, non si aggiunge la preposizione in sì che si dica: “nella santa Chiesa”, ma si deve credere soltanto “la santa Chiesa”, cioè, non come se fosse Dio, ma come Chiesa riunita insieme per Dio. Così si deve credere “la remissione dei peccati” e non “nella remissione dei peccati”; e “la resurrezione della carne” e non “nella resurrezione della carne”. Così grazie a questa preposizione di una sola sillaba si distingue il Creatore dalle creature e le realtà divine sono separate da quelle umane.

Lo Spirito Santo è colui che nel Vecchio Testamento ha ispirato la legge e i profeti, e nel Nuovo i vangeli e gli apostoli. Sì che anche l’apostolo dice: “Ogni Scrittura ispirata da Dio è utile ad insegnarsi” (2Tim 3, 16). Perciò a questo punto sembra conveniente enumerare uno per uno, come ho appreso dalle testimonianze dei padri, quali siano i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, che secondo la tradizione dei nostri predecessori noi crediamo ispirati proprio dallo Spirito Santo.

  1. Del Vecchio Testamento ci sono stati tramandati all’inizio i cinque libri di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Dopo di questi Giosuè, figlio di Nave, e il libro dei Giudici insieme con Ruth. Dopo di questi i quattro libri dei Re, che gli Ebrei contano come due; quello dei Paralipomeni, che è detto libro dei Giorni, e due libri di Esdra, che presso gli Ebrei sono contati come uno solo; e il libro di Esther. I libri dei profeti sono: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele; e inoltre un solo libro dei Dodici profeti. Libri isolati sono anche quello di Giobbe e i Salmi di David. Di Salomone tre libri sono stati tramandati alle Chiese: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei cantici. Con questi libri è concluso il numero dei libri del Vecchio Testamento.

Fanno parte del Nuovo Testamento i quattro vangeli: di Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, che scrisse Luca; quattordici lettere dell’apostolo Paolo; due lettere dell’apostolo Pietro; una di Giacomo, fratello del Signore e apostolo; una di Giuda; tre di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni. Questi sono i libri che i nostri padri hanno riunito nel canone e sui quali hanno voluto che fossero fondate le verità della nostra fede.

  1. È opportuno però sapere che ci sono anche altri libri, che i nostri predecessori hanno chiamato non canonici bensì ecclesiastici: la Sapienza, ch’è detta di Salomone; e un’altra Sapienza, ch’è detta del figlio di Sirach; questo libro presso i latini con termine generico è chiamato Ecclesiastico, col quale nome non si indica l’autore del libro bensì la qualità del contenuto. Della stessa categoria fanno parte il libro di Tobia, quello di Giuditta e i libri dei Maccabei. Relativi al Nuovo Testamento sono il libro ch’è detto del Pastore ovvero di Erma, e quello ch’è intitolato Due vie o Giudizio di Pietro.

Tutti questi libri i nostri padri vollero che fossero letti nelle Chiese ma non che fossero addotti per confermare l’autorità della fede. Tutti gli altri scritti li hanno chiamati apocrifi e hanno proibito che fossero letti nelle Chiese. Queste norme, che – come ho detto – ci sono state tramandate dai nostri padri, mi è sembrato opportuno riportare in questo punto del libro per istruzione di quelli che imparano i primi rudimenti della fede, perché sappiano da quali fonti essi debbano attingere la bevanda della parola di Dio.

  1. Poi la tradizione di fede afferma: la santa Chiesa. Già sopra abbiamo spiegato il motivo perché non sia detto anche qui: “nella santa Chiesa”, ma “la santa Chiesa”. Perciò coloro che sopra hanno appreso a credere in un solo Dio nel mistero della Trinità, debbono credere anche questo: che una soltanto è la santa Chiesa, nella quale una sola è la fede, uno solo il battesimo, nella quale si crede in un solo Dio Padre e in un solo Signore Gesù Cristo Figlio suo e in un solo Spirito Santo. Questa perciò è la santa Chiesa, che non ha macchia né ruga (Ef 5, 27). Infatti anche molti altri hanno riunito chiese intorno a sé, come Marcione Valentino Ebione Mani e tutti gli altri eretici. Ma quelle chiese non sono senza macchia e ruga di perfidia; perciò di loro diceva il profeta: “Ho odiato la chiesa dei malvagi e non siederò insieme con gli empi” (Sal 25, 5). Invece di questa Chiesa, che conserva integra la fede di Cristo, ascolta che cosa dice lo Spirito Santo nel Cantico dei cantici: “Una sola è la mia colomba, una sola la perfetta per sua madre” (Ct 6, 8). Perciò chi riceve questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili di vanità e non si metta con quelli che fanno il male (Sal 25, 4).

Infatti concilio di vanità è quello che fa Marcione, il quale nega che il Padre di Cristo sia il Dio creatore, che per mezzo di suo Figlio ha creato il mondo. Concilio di vanità è ciò che insegna Ebione, che bisogna credere in Cristo in modo tale da praticare la circoncisione della carne, l’osservanza del sabato, la solennità dei sacrifici e tutte le altre osservanze secondo la lettera della Legge. Concilio di vanità è ciò che insegna Mani, che per prima cosa ha affermato di essere proprio lui il paracleto; poi dice che il mondo è stato fatto dal male, nega che Dio sia il creatore, respinge il Vecchio Testamento; afferma che ci sono una natura buona e una cattiva, reciprocamente coeterne; sostiene secondo la dottrina dei Pitagorici che le anime degli uomini secondo diversi cicli di generazione passano nelle pecore, nelle bestie feroci e in altri animali; nega la resurrezione della nostra carne, sostiene che la nascita e la passione di Cristo sono avvenute non nella realtà della carne ma in apparenza.

Concilio di vanità è anche ciò che ha sostenuto Paolo di Samosata e poi il suo successore Fotino: che Cristo non è nato prima dei tempi dal Padre ma ha avuto inizio da Maria; e ritiene non che egli Dio sia nato come uomo ma che da uomo sia diventato Dio. Concilio di vanità è anche ciò che hanno insegnato Ario ed Eunomio, i quali sostengono che il Figlio di Dio non sia nato dalla stessa sostanza del Padre, ma sia stato creato dal nulla. Concilio di vanità è anche quello che fanno coloro i quali affermano, sì, che il Figlio deriva dalla sostanza del Padre, ma separano e distaccano lo Spirito Santo, mentre invece il Salvatore nel vangelo ha dimostrato che una sola e la stessa è la potenza e la divinità della Trinità, dicendo: “Battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19). Ed è evidentemente empio che l’uomo separi ciò che è unito in forza della divinità. Concilio di vanità è anche quello che non molto tempo fa ha riunito una ostinazione tenace e perversa, affermando che Cristo certo ha assunto carne umana, ma non anche un’anima razionale, mentre invece una sola e la stessa salvezza è stata apportata da Cristo alla carne e all’anima e alla sensibilità e alla mente. È concilio di vanità anche quello che Donato ha riunito in Africa accusando falsamente la Chiesa di aver consegnato i libri sacri; e quello che ha messo su Novaziano rifiutando la penitenza ai peccatori e condannando le seconde nozze, anche se talvolta la necessità abbia costretto a contrarle.

Perciò tutte queste fuggile quali riunioni di malvagi. E anche quelli, se ce ne sono, di cui si dice che affermino che il Figlio di Dio non vede e conosce il Padre allo stesso modo con cui è conosciuto e visto dal Padre, che il regno di Cristo dovrà finire e che la carne non risorgerà conservando intatta la sostanza della sua natura, che non ci sarà il giusto giudizio di Dio nei riguardi di tutti gli uomini e che il diavolo sarà assolto dalla meritata punizione: tutti costoro – lo ripeto – i fedeli rifiutino di ascoltarli. Tieniti invece ben saldo alla santa Chiesa, che afferma Dio Padre onnipotente e l’unigenito suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore e lo Spirito Santo nell’unità di una medesima sostanza; che crede che il Figlio di Dio è nato dalla Vergine e ha patito per la salvezza degli uomini ed è risuscitato dai morti con la medesima carne con la quale è nato; che spera che egli stesso verrà giudice di tutti; e in lui predica la remissione dei peccati e la resurrezione della carne.

  1. Quanto alla remissione dei peccati, dovrebbe bastare il solo credere. A che infatti ricercare cause e motivazioni là dove è fondamentale il perdono? E invece, mentre non è soggetta a critiche la generosità del re terreno, la liberalità divina è messa in discussione dalla temerarietà degli uomini. Infatti i pagani sono soliti irriderci dicendo che noi inganniamo noi stessi ritenendo che possano essere espiati con parole delitti che sono stati commessi con l’azione. E dicono: Che forse può non essere omicida colui che ha commesso un omicidio o non essere adultero chi ha fatto adulterio? In che modo uno che sia reo di tali crimini vi sembra diventare d’un tratto santo e puro? Ma a tali obiezioni, come ho detto, rispondo meglio con la fede che con la ragione. Infatti colui che ci ha fatto questa promessa è re di tutti, signore del cielo e della terra. E a colui che mi ha creato uomo dalla terra non vuoi che io creda che da peccatore mi può rendere innocente? E colui che, quando ero cieco, mi ha fatto vedere e, quando ero sordo, mi ha fatto sentire e che mi ha fatto camminare quando ero zoppo, egli non potrà ridarmi l’innocenza che ho perduto?

E tuttavia veniamo anche alla testimonianza della stessa natura. Non sempre è criminoso uccidere un uomo: ma è criminoso ucciderlo per malvagità e non secondo le leggi. Perciò, dato che talvolta questa azione è giusta, se io mi trovo in tale situazione, non è l’azione che mi condanna ma l’anima che mi ha mal consigliato. Ma allora, se in me viene corretta l’anima che è diventata peccatrice e nella quale c’è stata l’origine del crimine, perché tu non credi che io possa diventare innocente, così come prima sono stato peccatore? Infatti, come sopra abbiamo detto, tutti sanno che il peccato sta non nell’azione ma nella intenzione. E allora, come la cattiva volontà, per malvagia istigazione del demonio, mi ha assoggettato al peccato e alla morte, così la stessa volontà, volta al bene per il buon volere di Dio, mi restituisce all’innocenza e alla vita. Simile ragionamento vale anche per tutti gli altri peccati; e così vediamo che la nostra fede non è in contrasto con la ragione naturale, in quanto la remissione dei peccati è accordata non alle azioni, che non possono essere cambiate, bensì all’anima, che certamente può passare dal male al bene.

  1. Le ultime parole del Simbolo, che affermano la resurrezione dei morti, nella loro stringata brevità, portano a compimento la somma di tutta la perfezione, benché anche a tal proposito la fede della Chiesa sia impugnata non solo dai pagani ma anche dagli eretici. Infatti Valentino nega nel modo più assoluto la resurrezione della carne, e anche Mani, come sopra abbiamo dimostrato. Ma costoro non hanno voluto ascoltare il profeta Isaia che dice: “Risorgeranno i morti e si sveglieranno quelli che sono nei sepolcri” (Is 26, 19), e neppure Daniele, il più sapiente di tutti, che afferma: “Allora risorgeranno quelli che sono nella polvere della terra: questi alla vita eterna, questi altri invece alla vergogna e alla confusione eterna” (Dan 12, 2). D’altra parte, anche dai vangeli, ch’essi sembrano accettare, avrebbero dovuto imparare dal Signore Salvatore nostro che, insegnando ai Sadducei, dice: “Quanto poi al fatto che i morti non risorgerebbero, non avete letto come venga detto a Mosè nel rovo: il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è Dio dei morti ma dei vivi” (Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27). E in un passo precedente di questo stesso contesto ha anche ricordato quale e quanta sia la gloria della resurrezione, dicendo: “Nella resurrezione dei morti né gli uomini avranno moglie né le donne avranno marito, ma saranno come gli angeli di Dio” (Mt 22, 30).

Perciò la potenza della resurrezione conferisce agli uomini la condizione angelica, perché coloro che sono risorti dalla terra vivano non più di nuovo in terra con gli animali, bensì in cielo con gli angeli. Ma ciò vale per quelli che saranno ammessi a tale condizione in forza di un modo di vita sufficientemente puro: cioè, coloro che già ora custodendo la carne come compagna dell’anima nel servizio di Dio, l’avranno assoggettata con il freno della pudicizia all’obbedienza dello Spirito Santo; in tal modo, purificatala da ogni sozzura di peccato e trasformatala in gloria spirituale per virtù della santificazione, meriteranno di introdurla anche nel consorzio degli angeli.

  1. Ma gl’infedeli obiettano e dicono: Ma la carne, che si dissolve putrefatta o si muta in polvere e talvolta anche viene inghiottita dal profondo del mare e viene dispersa dai flutti, in che modo può ricomporsi di nuovo e reintegrarsi insieme, sì che da essa venga di nuovo formato il corpo dell’uomo? A costoro indirizziamo subito una prima risposta con le parole di Paolo: “Sciocco tu! Ciò che semini non prende vita se prima non muore; e quello che tu semini non è il corpo che dovrà nascere, ma semini un nudo chicco di grano o di qualche altra semente. Dio poi gli dà corpo come vuole” (1Cor 15, 36-38). E perciò quel che vedi annualmente accadere per i semi che getti in terra, non credi che possa verificarsi per la tua carne, che per legge divina viene seminata in terra? Perché – ti prego – valuti tanto poco la potenza di Dio da non ritenere possibile che la polvere dispersa di una qualsiasi carne possa riunirsi e ricomporsi secondo la sua forma originaria, mentre vedi che la capacità dell’uomo riesce a scorgere anche le vene dei metalli immerse nel profondo della terra? Infatti l’occhio del competente scorge l’oro là dove l’inesperto vede soltanto terra. E a colui che ha creato l’uomo non concediamo neppure tanto quanto può riuscire a fare l’uomo ch’è stato creato da lui? Così, mentre la capacità dell’uomo mortale scopre che c’è una vena propria dell’oro, un’altra propria dell’argento e una molto diversa del bronzo, e che sotto la superficie della terra sono nascoste vene diverse di piombo e di ferro, non crederemo che la potenza divina sia in grado di individuare e ritrovare le componenti naturali proprie di ogni corpo carnale, anche se esse sono disperse?
  2. Ma cerchiamo ancora di aiutare con ragionamenti naturali le anime che vengono meno nella fede. Immaginiamo che uno mescoli insieme semi diversi e indiscriminatamente li dissemini e li sparga qua e là in terra. Che forse il principio formale di ogni seme, dovunque questo sarà capitato, non farà nascere a tempo opportuno il germe secondo la natura della sua specie e non riprodurrà lo stelo secondo la sua forma e il suo corpo? Analogamente, ammettiamo anche che la sostanza di una qualsiasi carne sia stata variamente dispersa in diversi luoghi: tuttavia, allorché per volontà di Dio arriderà la primavera per i corpi seminati in terra, il principio formale che c’è in ogni carne ed è immortale – infatti è carne dell’anima immortale – raccoglierà da terra e riunirà insieme le parti componenti della sua sostanza e li restituirà a quella forma che una volta la morte aveva dissolto. Così avviene che a ogni anima non viene restituito un corpo estraneo o variamente mescolato, ma proprio quello suo, che aveva già avuto: in tal modo, in ragione delle prove della vita presente, la carne insieme con la sua anima o sarà premiata, se si sarà ben comportata, o sarà punita, se si sarà comportata male. Perciò la nostra Chiesa ha qui fatto al Simbolo una prudente e provvidenziale aggiunta, sì che, mentre le altre Chiese tramandano: “la resurrezione della carne”, essa tramanda, con l’aggiunta di un solo aggettivo: “la resurrezione di questa carne”: di questa, cioè, che colui che fa la professione tocca con la mano, mentre fa sulla fronte il segno della croce. Così ognuno dei fedeli sa che, se avrà custodito pura dal peccato la sua carne, questa sarà vaso per uso onorevole, utile al Signore, adatto per ogni opera buona; se invece la sua carne si sarà contaminata nel peccato, essa sarà vaso d’ira per la morte (2Tim 2, 21; Rom 9, 22).

Se poi uno a questo punto desidera saperne di più sulla gloria della resurrezione e sulla grandezza delle promesse, troverà che questi argomenti sono esposti quasi in ogni libro della Sacra Scrittura. Di tutte queste testimonianze noi ora qui ne ricorderemo solo poche, che servono di richiamo, e così termineremo l’opera che tu ci hai richiesto. L’apostolo Paolo afferma che i morti risorgeranno portando questi argomenti: “Se poi non c’è la resurrezione dei morti, allora neppure Cristo è risorto. Ma se Cristo non è risorto, è vana la nostra predicazione e priva di senso la nostra fede” (1Cor 15, 13-14). E poco dopo: “Ma ecco che Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Come infatti per causa di un uomo è venuta la morte, così per causa di un uomo ci sarà la resurrezione dei morti. Come infatti tutti sono morti in Adamo, così tutti avranno vita in Cristo; ma ognuno secondo il suo posto: prima di tutti Cristo, poi quelli che sono di Cristo al momento della sua venuta; quindi ci sarà la fine” (1Cor 15, 20-24). E dopo aggiunge anche queste parole: “Ecco che vi svelo un mistero: tutti certo risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati (o, come troviamo in altri codici: “non tutti saremo morti, ma tutti saremo trasformati”): in un attimo, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba: i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati” (1Cor 15, 51-52). E scrivendo ai Tessalonicesi dice così: “Non voglio, fratelli, che voi siate nell’ignoranza riguardo a coloro che sono morti, perché non abbiate a rattristarvi come quegli altri che non hanno la speranza. Infatti se crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così anche quelli che sono morti Dio trarrà a sé per mezzo di Gesù e insieme con lui. Ecco infatti che cosa vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo, che siamo superstiti, all’arrivo del Signore non precederemo coloro che sono morti. Infatti il Signore stesso al comando dato dalla voce dell’arcangelo e dalla tromba di Dio scenderà dal cielo e i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi. Poi noi che viviamo, che siamo superstiti, insieme con quelli saremo tratti sulle nubi incontro a Cristo in aria: e così staremo sempre col Signore” (1Tess 4, 13-17).

  1. Perché poi tu non creda che la resurrezione dei morti sia annunziata soltanto dalla nuova predicazione di Paolo, ascolta che cosa abbia predetto già tanto tempo fa il profeta Ezechiele ispirato dallo Spirito Santo: “Ecco, io aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri” (Ez 37, 12). E sta a sentire con quanta chiarezza predica la resurrezione dei morti anche Giobbe, tutto traboccante di parole misteriose: “C’è speranza per l’albero – egli dice –: infatti se sarà stato tagliato, potrà ancora germogliare, e il suo virgulto non viene mai meno. Se sarà invecchiato, la sua radice è piantata nella terra; e se il suo tronco sarà morto sulla roccia, rifiorirà al sentore dell’acqua e farà nascere il ramo quasi fosse una pianta novella; e se l’uomo sarà morto, se n’è andato, e se il mortale sarà caduto, ormai non esisterà più?” (Giob 14, 7-10). Non ti sembra che con queste parole Giobbe ammonisca gli uomini in modo un po’ coperto e dica così: A tal punto sono sciocchi gli uomini che, mentre vedono germogliare di nuovo da terra il tronco di un albero tagliato e il legno morto ricevere di nuovo la vita, essi ritengono che per sé non ci sarà nulla di simile al legno e all’albero? Perché poi tu sappia che si deve leggere in forma interrogativa la frase: “e se il mortale sarà caduto, non risorgerà?” (Giob 14, 12), abbine prova da ciò segue. Infatti Giobbe subito aggiunge: “Se infatti l’uomo sarà morto, vivrà” (Giob 14, 14). E poco dopo dice: “Aspetterò fino a esistere di nuovo” (Giob 14, 14). E dice ancora: “Egli risusciterà sulla terra la mia pelle, questa che ora è secca” (Giob 19, 25-26).
  2. Questi passi siano stati addotti a comprovare la nostra professione di fede, con la quale nel Simbolo affermiamo la resurrezione di questa carne. Infatti l’aggiunta di “questa” osserva quanto sia in armonia con tutti questi concetti che abbiamo ricordato dalle testimonianza delle Sacre Scritture. Che cos’altro infatti è indicato nelle parole di Giobbe che abbiamo riportato sopra, quando dice: “risusciterà la mia pelle, questa che ora è secca” (Giob 19, 26), cioè, quella che patisce questi tormenti? non dice forse apertamente che avverrà la resurrezione di questa carne, di questa – dico – che ora sopporta i patimenti delle tribolazioni e delle tentazioni? E quando l’apostolo dice: “Bisogna che questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità e questo corpo mortale rivesta l’immortalità” (1Cor 15, 53), che forse la sua non è parola di chi in certo modo tocca col dito il suo corpo? Perciò questo corpo, che ora è corruttibile, sarà incorruttibile per la grazia della resurrezione, e questo corpo, che ora è mortale, sarà rivestito dalle prerogative della immortalità. In tal modo, come Cristo, risorgendo dai morti, ormai non muore più e la morte non dominerà più su di lui (Rom 6, 9), così anche quelli che risorgono in Cristo, non saranno più soggetti alla corruzione e alla morte, non perché venga abolita la natura della carne, ma perché sarà trasformata la sua condizione e la sua qualità. Perciò il corpo che risorgerà dai morti sarà incorruttibile e immortale, non solo il corpo dei giusti ma anche dei peccatori: dei giusti, perché possano rimanere sempre con Cristo; dei peccatori, perché paghino le pene dovute, senza mai essere distrutti e annientati.
  3. Che i giusti rimarranno sempre con Cristo Signore, già sopra lo abbiamo spiegato, dove abbiamo addotto le parole dell’apostolo: “Poi noi che viviamo, che siamo superstiti, insieme con quelli saremo tratti sulle nubi incontro a Cristo in aria: e così staremo sempre col Signore” (1Tess 4, 17). Non meravigliarti se la carne dei santi sarà trasformata dalla resurrezione in tanta gloria da essere tratta al cospetto del Signore sospesa sulle nubi e trasportata in aria, dal momento che lo stesso apostolo, descrivendo quanta dignità Dio conferirà a quelli che lo amano, dice: “Egli che trasformerà il corpo della nostra umiliazione in conformità del corpo del Figlio della sua gloria” (Fil 3, 21). Perciò non c’è niente di assurdo nel dire che i corpi dei santi saranno innalzati in aria sulle nubi, dato che vien detto che essi saranno trasformati in conformità dell’aspetto del corpo di Cristo, che siede alla destra di Dio. E il santo apostolo aggiunge ancora riguardo a sé e a quanti gli son pari per meriti e sede: “Ci ha risuscitato insieme con Cristo e insieme ci ha fatto sedere in cielo” (Ef 2, 6).

Dal momento che la resurrezione dei morti comporterà, secondo le promesse, tali magnificenze e molte altre a queste simili, non sarà certo difficile credere anche a questo che i profeti hanno predetto: “I giusti risplenderanno come il sole e come il fulgore del firmamento nel regno di Dio” (Dan 12, 3). Infatti che difficoltà ci sarà a credere che essi avranno lo splendore del sole e saranno adornati dal fulgore delle stelle e di questo nostro firmamento, dal momento che è preparata loro in cielo la vita e la compagnia degli angeli di Dio e di loro si dice che saranno resi conformi alla gloria del corpo di Cristo (Fil 3, 20-21)? Proprio guardando a questa gloria promessa dalla parola del Salvatore (Mt 13, 43), il santo apostolo ha detto: “Viene seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale” (1Cor 15, 44). Se infatti è vero, come certamente è vero, che la divina bontà assocerà tutti i giusti e i santi al consorzio degli angeli, è certo che trasformerà anche i loro corpi nella gloria del corpo spirituale.

  1. Né tale promessa ti sembri essere in contrasto con i principi naturali del corpo. Noi infatti crediamo, secondo quanto è scritto, che Dio, prendendo fango dalla terra, plasmò l’uomo (Gen 2, 7); e questo è il principio naturale del nostro corpo, che per volontà di Dio la terra si trasformi in carne: ma allora perché ti sembra assurdo e contraddittorio se, per il medesimo principio per cui diciamo che la terra ha progredito fino a formare il corpo animale, crediamo che a sua volta il corpo animale progredisca fino a diventare corpo spirituale?.

Tali affermazioni e molte altre simili a queste troverai nelle Sacre Scritture riguardo alla resurrezione dei giusti. D’altra parte, come sopra abbiamo detto, anche ai peccatori sarà dato in forza della resurrezione uno stato di incorruttibilità e immortalità che, come ai giusti serve alla perennità della gloria, così ai peccatori serve al prolungamento della tristezza e della pena. Così attesta anche la parola del profeta che abbiamo ricordato poco fa, là dove dice: “E molti risorgeranno dalla polvere della terra: questi alla vita eterna, questi altri alla confusione e alla vergogna eterna” (Dan 12, 2).

  1. A questo punto abbiamo compreso con quanta venerazione Dio onnipotente sia detto Padre, per quale mistero il Signore nostro Gesù Cristo sia ritenuto suo unico Figlio, con quale perfezione sia nominato il suo Spirito Santo, e come la santa Trinità sia una cosa sola quanto alla sostanza, ma distinta per relazione e persone. Abbiamo anche compreso il significato del parto della Vergine, della nascita del Verbo nella carne, del mistero della croce; quale sia l’utilità della discesa di Dio nell’inferno, quale il significato della gloria della resurrezione e del richiamo delle anime dalla prigionia dell’inferno, dell’ascensione al cielo e dell’attesa del giudice venturo. Infine abbiamo compreso quale conoscenza si debba avere della santa Chiesa contro i concili di vanità, quale sia il numero dei libri della Sacra Scrittura e quali le sètte eretiche da evitare; come nella remissione dei peccati la ragione naturale non contrasti affatto con la liberalità divina, e come la resurrezione della nostra carne sia confermata non solo dalle parole della Scrittura ma anche dallo stesso esempio del nostro Signore e Salvatore e dalla logica coerenza della ragione naturale. Se professiamo queste verità in modo organico e completo secondo la norma della tradizione presentata sopra, allora preghiamo che a noi e ai nostri ascoltatori il Signore conceda che, custodita la fede che abbiamo ricevuto e terminata la corsa, noi aspettiamo la corona di giustizia che ci è riservata (2Tim 4, 7-8) e siamo annoverati fra coloro che risorgono alla vita eterna, liberi dalla confusione e dalla vergogna eterna, per Cristo nostro Signore, per mezzo del quale è a Dio Padre onnipotente con lo Spirito Santo gloria e impero nei secoli dei secoli. Amen.

 

 testo in italiano pubblicato già su vari siti internet

  • 06: Imitiamo la virtù degli apostoli

Imitiamo la virtù degli apostoli

di San Giovanni Crisostomo

         Imitiamo la virtù degli apostoli, e non gli saremo inferiori in nulla. Infatti non i loro miracoli li hanno fatti apostoli, bensì la santità della loro vita. A questo riconosciamo un discepolo di Cristo. Questo segno ci è stato chiaramente accennato dal Signore. Quando egli ha voluto tracciare il ritratto dei suoi discepoli e rivelare il segno che avrebbe distinto i suoi apostoli, ha detto : « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli ». Sarà forse a causa dei prodigi che essi avrebbero operato ? a causa dei morti che essi avrebbero risuscitati ?  Niente affatto ! Da cosa allora ? «  Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13,35).

         Ora l’amore non è questione di miracoli, ma semplicemente di virtù. « Pieno compimento della legge è l’amore » (Rm 13,10)… Abbiate dunque l’amore in voi e sarete tra gli apostoli, anzi nei primi posti tra di loro ! « Se mi ami, dice Gesù a Pietro, pasci le mie pecorelle ». Ancora qui, notate bene, è la virtù ad essere stata valorizzata : lo zelo, la compassione, la fatica del comandamento, l’abnegazione, l’oblio del proprio interesse, la preoccupazione della carica pastorale, tutto ciò è il frutto della virtù, dell’amore ; non dei miracoli o dei prodigi, bensì dell’amore.