9 marzo:- Memoria dei santi quaranta martiri di Sebaste; del beato Cesare, fratello di san Gregorio il Teologo
Kontàkion
Tono pl. 2. Compiuta l’economia.
Lasciando ogni milizia mondana, avete aderito al Sovrano che è nei cieli, o quaranta vittoriosi del Signore: infatti dopo esser passati per il fuoco e l’acqua, o beati, avete degnamente ricevuto dai cieli gloria e corone copiose.
Ikos
Nella mia indegnità adoro colui che è portato sul tremendo trono, colui che stende la luce come una tenda, fissa la terra sulle sue basi e raduna le acque nelle loro raccolte, colui che dal non essere a tutto ha dato l’esistenza, a tutti provvede respiro e vita, colui che riceve l’inno degli arcangeli, è glorificato dagli angeli e da tutti adorato, Cristo onnipotente, Creatore e nostro Dio: a lui presento la supplica, chiedendo la grazia di una parola per poter anch’io piamente celebrare i santi che egli stesso ha reso vincitori, donando loro dai cieli gloria e corone copiose.
Sinassario
Il nove di questo mese memoria dei santi quaranta megalomartiri, martirizzati nella città di Sebaste.
Stichi. Completiamo, Signore, con le nostre gambe spezzate ciò che mancò alla tua crocifissione, noi, quaranta che abbiamo sofferto la nostra passione a Sebaste, il nove, nelle acque ghiacciate.
Lo stesso giorno memoria del santo martire Urpassiano.
Stichi. Una gabbia, Urpassiano, fu il carro di fuoco, che ti portò come una quadriga verso Dio.
Lo stesso giorno memoria di san Cesare, fratello di san Gregorio il teologo.
Stichi. Ogni parola dalla mia bocca sarà ridicola, avendo pronunziato Gregorio la tua orazione funebre.
Lo stesso giorno i santi martiri Nonno, Nonna, Padre, Madre e due figli, uccisi a fil di spada.
Stichi. Su tre generazioni di una stessa famiglia di atleti rifulge la corona grazie alla spada.
Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.
- 03: I quaranta Martiri di Sebaste
di San Basilio il grande
San Basilio
I quaranta Martiri di Sebaste
Proemio
l. Quale sazietà può mai generare la (celebrazione annuale della) memoria dei martiri in chi sia devoto di essi, dal momento che l’onore verso i buoni “con-servi” è dimostrazione di amore al comune Signore? Ci si aspetta infatti che colui che manifestamente approva gli uomini valorosi non mancherà di imitarli in circostanze similari. Anche tu proclama con convinzione beato colui che ha affrontato il martirio, affinché tu pure divenga martire della volontà e ti renda degno delle medesime ricompense pur senza (essere sottoposto alla) persecuzione, al fuoco, ai flagelli.
Non uno solo è proposto alla nostra ammirazione devota, neppure due e nemmeno fino a dieci soltanto giunge il numero di coloro che proclamiamo beati, ma addirittura quaranta uomini sono coloro che dimostrarono di avere quasi un’anima sola in corpi diversi, di respirare all’unisono e in perfetta concordia di fede, unica anche la forza di sopportazione nei tormenti e la costanza a difesa della verità. Reciprocamente si somigliavano tutti: uguali nell’intendimento, uguali nella lotta; per questo furono ritenuti degni anche di uguali corone di gloria. Or dunque quale discorso potrebbe mai giungere a lodarli degnamente? Neppure quaranta lingue basterebbero a decantarne il valore. Tuttavia se anche uno solo fosse l’oggetto della nostra ammirata celebrazione, sarebbe sufficiente a soverchiare la forza delle nostre parole; figuriamoci una tale moltitudine, una falange di soldati, una guarnigione inespugnabile, invincibile in battaglia così come inarrivabile nella lode!
La narratio: memoria e imitazione
2. Orsù dunque, riportiamoli con la memoria in mezzo a noi e ai presenti proponiamo di ricavarne comune utilità ponendo sotto gli occhi di tutti, come in un quadro, le gesta di questi eroi. Infatti oratori e pittori son soliti rappresentare eroiche gesta di guerra, gli uni con parola ornata, gli altri con pitture su quadri, ed entrambi con ciò indussero molti al coraggio. Quel che la narrazione storica presenta attraverso l’udito, la pittura esibisce tacitamente attraverso l’imitazione. Così pure anche noi ricorderemo ai presenti il valore di tali uomini e, quasi ponendo sotto gli occhi le loro gesta, stimoleremo alla loro imitazione i più generosi e più affini per volontà. Esortare alla virtù i fedeli convenuti è l’encomio (più bello) per i martiri.
I discorsi sui santi non tollerano però di essere asserviti alle leggi (profane) degli encomi. Infatti quanti fanno bei discorsi traggono origine e motivo di lodi da cause mondane; ma per coloro per i quali il mondo è crocifisso come vi si potrebbe trovare motivo alcuno di esaltazione?
Patria, famiglia e professione dei quaranta
Non unica era la patria di questi santi, ma chi veniva dall’una e chi dall’altra. E che? li diremmo apolidi o piuttosto cittadini dell’ecumene? Come infatti nelle collette delle associazioni, quel che è stato contribuito dai singoli diventa comune contribuzione di tutti i partecipanti, così anche per questi beati la patria di ciascuno è comune a tutti gli altri e, da qualunque luogo sian essi venuti, tutti partecipano della stessa patria. Anzi, che bisogno c’è di ricercare quale patria abbiano avuto sulla terra, quando invece è necessario comprendere qual è la loro città attuale? Città dei martiri è la città di Dio, il cui architetto e costruttore è Dio, la celeste Gerusalemme che è libera ed è madre di Paolo (Gal. 4, 26) e di quanti gli somigliano.
Diversi l’uno dall’altro per parentela fisica, unica per tutti era la parentela spirituale. Infatti loro padre comune era Dio e tutti divennero tra loro fratelli, non per generazione terrena da un padre e da una madre, ma per l’adozione dello Spirito, tra loro congiunti nella concordia che deriva dall’amore. Divennero così coro già pronto ad accrescere il gran numero di coloro che in eterno lodano il Signore, confluiti non ad uno ad uno, bensì tutt’insieme. In qual maniera avvenne una tale confluenza? Eccellendo fra tutti i coetanei per prestanza fisica, vigore giovanile e forza, costoro furono iscritti nei ruoli dell’esercito; presto per esperienza bellica e coraggio meritarono le più alte onorificenze dagli imperatori, divenendo famosi dappertutto per il loro valore.
L’editto di persecuzione
3. Dopo che fu promulgato l’empio e scellerato editto che proibiva di confessare Cristo sotto pena di tormenti, fu minacciata ogni forma di supplizio e contro i cultori di Dio si mosse tutta l’ira e la ferocia dei giudici d’ingiustizia. Insidie e tranelli si tendevano d’ogni parte, s’apprestavano tormenti d’ogni genere, nessuna pietà negli aguzzini: pronto il fuoco, affilata la spada, piantata la croce, e ancora fosse, ruote e flagelli. Chi fuggiva, chi soccombeva, chi esitava: alcuni già prima della prova rimasero atterriti dalle sole minacce; altri, invece, in presenza dei supplizi, ne furono sconvolti, altri ancora, cominciata la lotta e non riuscendo a sopportare fino alla fine il supplizio, nel mezzo della battaglia vennero meno e, non diversamente da chi è travolto in alto mare dalla tempesta, nel naufragio persero anche quanto già guadagnato per mezzo della pazienza.
Autodenuncia dinanzi al governatore
Fu allora che questi invitti e prodi soldati di Cristo, fattisi innanzi, al governatore che mostrava loro l’editto dell’imperatore esigendo obbedienza, con voce spiegata, coraggiosi e impavidi, per nulla atterriti alla vista dei supplizi e insensibili alle minacce, dichiararono di “essere cristiani”. O lingue beate che proferirono quelle sacre parole! Le accolse l’aria e ne fu santificata, le ascoltarono gli angeli e plaudirono, il diavolo ne fu ferito a morte assieme ai démoni, mentre il Signore le iscrisse nei cieli.
4. Ciascuno di loro si fece innanzi e ad uno ad uno dichiararono: “Io sono cristiano”. E come negli stadi quanti entrano in gara, dopo aver pronunciato l’uno dopo l’altro il proprio nome, passano al posto di combattimento, così anche costoro, ripudiati i nomi assegnati sin dalla nascita, presero ciascuno quello del comune Salvatore. E così fecero tutti, l’uno dopo l’altro; sicché unico per tutti fu il nome: non il tale o il tal altro, ma tutti quanti si proclamarono “cristiani”.
Il processo
Che fece allora il governatore?
Egli era abile e astuto: ora circuiva con lusinghe, ora aggrediva con minacce. Dapprima li lusingava nel tentativo di snervare ostinazione e fermezza della loro fede: “Non vogliate tradire la vostra giovinezza – diceva – e scambiare questa dolce vita con una morte prematura. Sarebbe infatti assurdo che voi, abituati a primeggiare per valore in battaglia, moriate della morte dei malfattori”. Inoltre prometteva ricchezze; prometteva anche onori ed elargizioni di dignità a nome dell’imperatore; s’ingegnava infine in mille modi ad espugnarne l’animo. Poiché quelli non cedevano minimamente dinanzi a tale prova, egli si volse a un’altra specie di armi, passando a minacciare ferite e morte e intollerabili supplizi. Così (si comportava) il governatore.
Quale la risposta dei martiri?
“Perché o nemico di Dio – dicono – cerchi di allettarci con promesse di beni affinché, ribellandoci al Dio vivo, diveniamo schiavi di démoni esiziali? Cosa dài che valga ciò che ti premuri di togliere? Noi abbiamo in odio i doni che procurano danno; non accettiamo onori che generano disonore. Tu dài ricchezze che rimangono (su questa terra) e una gloria che appassisce. Vuoi renderci familiari dell’imperatore, ma ci estranei dal vero Re. Perché ci proponi così poco dei beni di questo mondo? (Sappi che non solo una parte ma) tutto ciò che è del mondo è da noi tenuto in disprezzo. Tutto quel che è sottoposto ai nostri occhi non è pari alla speranza che ardentemente ci spinge”.
“Vedi questo cielo come è bello e quanto è grande? E la terra quant’è, e quante meraviglie contiene? Nulla di tutto ciò uguaglia la felicità beata dei giusti: le cose terrene passano, quelle cui noi aspiriamo rimangono. Un solo dono c’infiamma di desiderio: la corona di giustizia; una sola gloria aspettiamo con animo anelante: quella che è nel Regno dei cieli. Di onori celesti noi siamo bramosi e temiamo quel solo supplizio che è nella geenna: il fuoco che è là ci spaventa, quello da voi minacciato è nostro “con-servo”. Esso sa aver riguardo per chi disprezza gli idoli”.
“Colpi da fanciulli stimiamo i vostri tormenti. Infatti tu colpisci il corpo, che sarà coronato di più fulgido serto se più a lungo saprà resistere al supplizio; se, invece, troppo presto verrà meno, se ne andrà libero da voi, giudici così violenti che, avendo ricevuto il compito di governare i corpi, pretendete anche il dominio sulle anime: poiché non anteporvi al nostro Dio è ritenuta da voi la più grave delle offese che noi potessimo arrecarvi, vi sdegnate e minacciate questi terribili supplizi, imputandoci la fede a delitto. Però troverete in noi gente non timorosa né attaccata alla vita o che facilmente si abbatta, poiché per amore di Dio siamo pronti ad essere stesi sulla ruota, tormentati con l’aculeo, arsi col fuoco e affrontare ogni specie di tormenti”.
La condanna a morte per assideramento
5. Udito ciò, quell’uomo orgoglioso e barbaro, non tollerando una tale libertà di parola e ardendo d’ira, cercava come potesse escogitare per loro una morte lunga e straziante. Infine gli venne in mente quest’idea; quanto feroce, vi prego, osservate attentamente.
Considerato il clima già freddo della regione, attraversata in quel tempo dalla stagione invernale, egli attese quella notte in cui più pungente fosse il freddo per il soffiare della tramontana, e ordinò che tutti (i 40 soldati), nudi, a cielo scoperto, in mezzo alla città, morissero per congelamento. Voi tutti sapete, per avere esperienza dei rigori d’inverno, quanto intollerabile sia questo genere di tormento. Perché non è possibile farlo capire se non a chi per sua propria esperienza abbia già provato i sintomi che sto per dire. Il corpo, esposto al gelo, dapprima diventa totalmente livido per il coagularsi del sangue, poi è sconvolto da fremiti e brividi; i denti battono, muscoli e nervi si contraggono per lo spasimo, tutto l’organismo necessariamente si rattrappisce. Inoltre un dolore acuto e un tormento indicibile, penetrando fin nel midollo delle ossa, cagionano i più terribili spasimi a coloro che subiscono il gelo. Poi le estremità del corpo risultano tagliate e private di ogni sensibilità come fossero arse dal fuoco. Il calore, respinto dalle parti periferiche, si rifugia nell’interno: donde si ritira lascia la morte, procura dolorosi strazi dove si raccoglie, man mano che avanza la morte per congelamento.
Furono condannati a trascorrere la notte a cielo scoperto allorquando lo stagno, intorno al quale era stata costruita la città in cui questi santi martiri dovevano affrontare tale prova, appariva trasformato dal ghiaccio in una piana transitabile con cavalli e, fattosi solido e duro, offriva sulla sua superficie sicuro transito agli abitanti. I fiumi scorrenti giù dai monti, bloccati dal ghiaccio, si erano fermati: la natura molle dell’acqua si era cambiata nella durezza della pietra e violenti venti di tramontana opprimevano fino alla morte ogni essere animato.
Il discorso di commiato: esortazioni reciproche e preghiera fiduciosa (2 1)
6. Allora udito il comando – considera, ti prego, l’invitto coraggio dei nostri uomini! -, con gioia si spogliarono tutti finanche della tunica e s’avanzarono incontro alla morte per gelo, incoraggiandosi reciprocamente come per far preda di spoglie nemiche.
“Non del vestito – dicono – noi ci spogliamo, ma del vecchio uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Ti ringraziamo, o Signore, perché con questo vestito noi deponiamo il peccato. Poiché ci vestimmo a causa del serpente, per Cristo ora noi ci spogliamo. Lasciamo perdere i vestiti per (riacquistare) il paradiso che una volta perdemmo. Cosa renderemo al Signore in contraccambio? Anche il Signore nostro fu spogliato. Quale gran cosa per il servo soffrire i patimenti del padrone? Per di più proprio noi abbiamo spogliato il Signore. Infatti quella fu scellerata impresa di soldati, che lo spogliarono e ne divisero le vesti. Pertanto cancelliamo questa imputazione registrata a nostro carico per causa loro”.
“Duro è l’inverno, ma dolce è il paradiso; doloroso è il gelo, ma dolce è il riposo (eterno). Ancora un poco e il seno del patriarca (Abramo) ci riscalderà. Una sola notte val bene l’intera eternità. Bruci (per il gelo) il piede perché possa in perpetuo danzare con il coro degli angeli; si stacchi pure (per insensibilità) la mano perché possa levarsi (in preghiera) a Dio in libertà. Quanti nostri commilitoni caddero sul campo per mantenere fede a un imperatore mortale, e noi non getteremo via questa vita per la fede nel vero Re? Quanti delinquenti, sorpresi in flagrante, sopportarono la morte? Non la sopporteremo noi per la giustizia? Non cediamo, o commilitoni, non offriamo le spalle al diavolo. Nessun risparmio per le nostre carni: dal momento che in ogni caso bisogna morire, moriamo almeno per vivere. Il nostro sacrificio avvenga al tuo cospetto, o Signore, e saremo accolti come sacrificio vivente a te gradito mentre in questo freddo siamo offerti in olocausto: bella l’offerta, nuovo l’olocausto, non dal fuoco ma dal gelo consumato”.
Questi conforti si davano l’un l’altro, esortandosi a vicenda: trascorrevano così la notte come se adempissero ad un servizio di guardia in guerra, eroicamente sopportando le sofferenze presenti e lieti per i beni sperati, infine irridendo l’avversario.
Una preghiera era sulle labbra di tutti: “Quaranta siamo entrati nello stadio, quaranta ne dobbiamo uscire coronati, o Signore. Neppure uno manchi a quel numero venerando che tu hai onorato con un digiuno di quaranta giorni, attraverso il quale la Legge entrò nel mondo ed Elia nel digiuno di quaranta giorni cercò il Signore e fu fatto degno di vederlo”
Tale era la loro preghiera.
Una dolorosa e inutile “diserzione”
Nondimeno uno del numero, soccombendo alla violenza del supplizio, disertò, arrecando ai santi un indicibile dolore. Però il Signore non permise che le loro suppliche restassero inefficaci. Infatti colui al quale era stata affidata la guardia dei martiri, mentre si riscaldava nei pressi di un ginnasio, ne osservava la fine, pronto ad accogliere i soldati che avessero voluto sfuggire alla morte.
Era stato provveduto che lì vicino vi fosse un bagno, nel quale offrire pronto soccorso a coloro che avessero mutato proposito. Un tale luogo di prova fu malvagiamente escogitato e apparecchiato dagli avversari affinché il pronto sollievo offerto valesse a piegare la fermezza dei combattenti: ciò mostrò più insigne la sopportazione dei martiri. Costante infatti non è colui che manca del necessario, ma chi nell’abbondanza dei beni affronta saldamente le avversità.
7. Mentre dunque essi combattevano la suprema prova, la guardia ne osservava l’esito. Or ecco che egli vide uno spettacolo nuovo: milizie che scendevano dal cielo come per distribuire a nome del re splendidi doni ai soldati. A tutti distribuivano i loro doni fuorché ad uno solo, giudicato indegno degli onori celesti, quello, cioè, che soccombendo al dolore, disertò verso il campo avversario. Miserando spettacolo per i giusti: un soldato divenuto disertore, uno dei primi e dei più forti fatto prigioniero, una pecorella di Cristo ghermita dal lupo! E tanto più miserando perché egli fallì il traguardo della vita eterna senza neppure godere di quella presente perché il contatto repentino con il calore (dell’acqua) subito dissolse le sue carni.
Conversione e martirio del carnefice
E mentre per amore della vita, inutilmente resosi colpevole, quello cadde, a sua volta il carnefice, appena lo vide staccarsi dal gruppo e correre verso il bagno, prese egli stesso il posto del disertore e, gettate le vesti, si mescolò agli altri denudati gridando al pari dei santi: “Sono cristiano!”.
Stupendo gli astanti per l’improvvisa conversione, egli finalmente ricompose il numero (di quaranta) e con la sua aggregazione lenì il dolore per l’altrui cedimento, in ciò imitando coloro che in battaglia si slanciano a ricoprire il posto lasciato vuoto sulla linea di combattimento dal soldato caduto in prima fila affinché lo schieramento non si rompa. Altrettanto fece costui. Vide i prodigi celesti, conobbe la verità, si rifugiò nel Signore, fu annoverato fra i martiri. Rinnovò le gesta dei discepoli: andò via Giuda, subentrò Mattia. Divenne imitatore di Paolo: ieri persecutore, oggi evangelizzatore. Anche lui ricevette dall’alto la chiamata, non dagli uomini, né per mezzo degli uomini. Credette nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, in lui fu battezzato, non da un altro, ma dalla propria fede, non nell’acqua, ma nel proprio sangue.
Patrocinio dei martiri e frammentazione di reliquie
8. Così alla prima luce del giorno, mentre ancora respiravano, (i corpi dei martiri) furono dati alle fiamme e i resti carbonizzati furono gettati nel fiume, sicché la lotta sostenuta dai beati passasse attraverso tutti gli elementi. Combatterono sulla terra, a cielo scoperto resistettero alla prova, furono consegnati al fuoco, li accolse infine l’acqua. A loro appartiene quanto dice la Scrittura: Passammo attraverso il fuoco e l’acqua ma poi ci hai portati al refrigerio.
Essi serbano sotto il loro patrocinio la nostra regione come torri poste l’una accanto all’altra ad offrirci sicura difesa dall’assalto degli avversari, perché non si rinchiusero in un solo luogo, bensì ospitati in molti siti adornarono molte città. Ed è straordinario che non separati vengono a chi li riceva, ma uniti fra loro insieme tripudiano.
Oh, prodigio! Non diminuiscono di numero, neppure aumentano. Se tu li dividi in cento parti, non oltrepassano il loro numero; se in uno li raccogli, anche così rimangono in quaranta; similmente alla natura del fuoco. Anche il fuoco, infatti, passa a chi ne attinge eppure resta tutto intero presso chi lo aveva dapprima; così pure i quaranta stanno tutti insieme e nessuno manca presso il singolo (fedele che li invochi): (è questo) un beneficio tutt’altro che lesinato, un dono che mai si esaurisce, pronto ausilio per i cristiani è tale accolta di martiri, schiera di trionfatori, coro di lode a Dio.
Quanto t’affaticasti (o fedele) per trovare uno che supplicasse per te il Signore? (Ecco che) ben quaranta sono coloro che innalzano (per te) una preghiera concorde: Dove sono due o tre radunati nel nome del Signore, egli è lì in mezzo a loro. Dove sono in quaranta, chi potrebbe dubitare della presenza di Dio? Chi è nell’afflizione ricorre ai quaranta, anche chi è nella letizia a loro accorre: il primo per trovare liberazione dai mali, il secondo perché gli sia conservata la prosperità. Qui trovi la donna pia pregare per i figli e chiedere il ritorno per il marito lontano, o la salute, se malato.
Una “vera madre di martire”
Unite le vostre preghiere con quelle dei martiri. I giovani imitino tali coetanei; i padri implorino di essere padri di tali figli, le madri apprendano il comportamento di un’ottima madre.
Infatti la madre di uno di quei beati, avendo visto tutti gli altri già morti per il freddo, mentre il figlio suo respirava ancora (forse) perché più robusto e resistente alla sofferenza, e (temendo che) i carnefici lasciassero in vita uno che avrebbe potuto (in simili condizioni) mutare proposito, sollevatolo con le sue stesse mani, lo depose sul carro, su cui tutti gli altri erano stati adagiati per essere condotti alla pira: vera madre di un martire! Non una lacrima di paura ella versò, né proruppe in lamenti indegni e inopportuni, ma “vai – disse -, o figlio, per la buona strada assieme ai coetanei, assieme ai compagni: non separarti dal coro né comparire secondo rispetto agli altri dinanzi al Signore!”.
Germoglio buono di radice davvero buona! Mostrò quella madre generosa di aver allevato il figliuolo molto più con gli insegnamenti della pietà che con il latte. Come era stato nutrito, così fu avviato dalla pia madre (all’estremo supplizio), mentre il diavolo si allontanava umiliato. Infatti pur avendo egli mosso ogni elemento della natura contro i martiri, trovò che tutti erano stati superati e vinti dalla virtù e dal coraggio di tali uomini: la notte sferzata dal vento (di tramontana), il clima freddo del luogo, la stagione invernale, la nudità del corpo.
L’epilogo: invocazioni finali ai martiri
O coro santo, sacra schiera, serrata e compatta falange, protettori comuni del genere umano, buoni sodali delle nostre quotidiane cure, compagni delle nostre preghiere, intercessori potentissimi, astri dell’ecumene, fiori delle Chiese!
La terra non vi ricoprì, vi accolse il cielo: per voi si aprirono le porte del paradiso. Spettacolo degno delle milizie angeliche, degno dei patriarchi, dei profeti e dei giusti questi uomini che nel fiore medesimo della giovinezza disprezzarono la vita per poter amare il Signore al di sopra dei genitori e dei figli. Pur essendo in età la più dolce da vivere, disdegnarono questo temporaneo soggiorno per lodare Dio nelle proprie membra; divenuti spettacolo dinanzi al mondo, agli angeli e agli uomini, risollevarono i caduti, confermarono i dubbiosi, raddoppiarono l’ardore nei seguaci della fede. Finalmente avendo innalzato tutti un unico trofeo alla pietà, di un’unica corona di giustizia sono stati anche adornati in Cristo Gesù nostro Signore, a cui sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.
testo pubblicato già su vari siti internet
- 03: memoria dei Santi Quaranta Martiri di Sebaste
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Tutti questi Quaranta Santi erano soldati del battaglione d’elite dell’esercito di Licinio. Quando questi scatenò la persecuzione contro i cristiani, i Quaranta Santi furono arrestati immediatamente dal prefetto Agrikola (a Sivas). All’inizò li lodò e promise loro premi e incarichi, per far rinnegare la loro fede. Allora uno dei quaranta, Candido, rispose:<< Grazie per la lode del nostro valore. Ma Cristo, al quale noi crediamo, ci insegna che ad ogni signore dobbiamo offrire ciò che gli appartiene. Ed è per questo che al re offriamo l’obbedienza militare. Se, tuttavia, mentre seguiamo il Vangelo, non danneggiamo lo Stato, ma piuttosto gli gioviamo per il nostro servizio, perché ci interroga circa la fede, che forgia tali caratteri, che porta a tali opere? ” Agrikola si rese conto che non poteva costringerli in modo pacato e ordinò di torturarli. Quindi, una fredda notte d’inverno, li fece gettare nelle acque fredde di un lago. Il tormento era orribile. I corpi hanno cominciato riportare edemi. Ma questi si incoraggiavano l’un l’altro, dicendo:<< L”inverno è inteso, ma dolce è Paradiso. Poco dobbiamo sopportare e in una notte conquisteremo tutta l’eternità >>.
Mentre procedeva il martirio, uno solo si scoraggiò ed uscì del lago. Lo sostituì la guardia (Aglaios), che vide corone sopra le loro teste. Confessò il Cristo, ed entrò nel lago con i 39 e si prese la corona del martirio, poiché mezzi morti li presero la mattina dalla riva del lago e schiacciarono loro le membra. Le reliquie dei martiri furono trovate dai cristiani su una scogliera, da dove furono tratte per economia divina e sepolti con riverenza.
Nell’Evergetinòs viene riportato che, mentre i Quaranta Martiri di Sebaste si trovavano nello stadio della lotta, essendo rimasti tutta la notte nel lago ghiacciato e quando li trascinarono sul litorale per schiacciare loro le gambe, la madre di uno dei martiri, rimase lì per soffrire con loro, a guardare suo figlio che era il più giovane in età di tutti, e forse a causa della sua giovane età e l’amore per la vita, indietreggiò e si trovò indegno dell’ onore e del grado di soldato di Cristo. Quindi, stando in piedi raggiunse con le mani suo figlio dicendo:<< O mio dolcissimo figlio, sopporta ancora un pò e diventerai un figlio del Padre celeste. Non avere paura della tortura. Ecco, il Cristo sarà tuo aiuto. Da ora in avanti nulla sarà amaro, nessun dolore sentirai. Tutti queste cose passano, tutte queste cose batterai con il tuo coraggio. La gioia dopo tali cose, la serenità, l’allegrezza. Tutto queste cose gusterai, perché sarai vicino a Cristo e Lui pregherai per me che ti diedi alla luce >>.
Le reliquie dei Santi furono trovate per mezzo di una apparizione divina, nell’anno 438 d.C, dall’imperatrice Pulcheria (vedi 17 febbraio ) nascoste nel tempio di San Tirso dietro il pulpito, nella tomba della diaconessa Eusebia in due teche d’argento, che secondo la testimonianza di Eusebia, furono depositate nella tomba dalla parte della testa. Poulcheria costruì una chiesa fuori le mura di Troadision.
Studi dal punto di vista storico da parte di recenti ricerche considerano che il “Testamento dei Quaranta Martiri”, miri a prevenire la dispersione delle reliquie tra i cristiani, che era solita avvenire in Oriente durante quei tempi.
I genitori di Basilio Magno, che possedevano “polvere” e frammenti delle reliquie dei Quaranta Martiri, eressero la prima chiesa in Oriente per onorare i santi, dove seppellirono in una loro proprietà nel Ponto.
Una chiesa dedicate ai Santi Quaranta Martiri era nella zona centrale di Costantinopoli,ed era stata costruita dall’imperatore Tiberio I (579-582 d.C) e completata dall’imperatore Maurizio (582-602 d,C). La chiesa fu ornata da Andronico Comneno (1183 – 1185 d.C). In questo tempio il giorno della commemorazione dei martiri, gli imperatori presiedevano alla Divina Liturgia. Altre chiese esistevano:
a) al palazzo, e che festeggiava al 27 agosto,
b) sull’isola Plàti,o Plateia
c) nel monastero di Chora,
d) a Emmesa di Siria.
Il 29 dicembre si fa memoria della loro Sinassi in relazione alla inaugurazione di una chiesa a loro dedicata.
Infine vale la pena ricordare che i quaranta martiri di Sebaste sono patroni del Sacro Monastero Xiropotamu sulla Santa Montagna dell’Athos, il catholikon che è dedicato alla loro memoria. Oltre alle ripeture incursioni turche, subì anche rovinosi incendi. Quello del 1507 lo distrusse completamente: si poterono infatti salvare soltanto i paramenti sacri e gli oggett di un certo pregio. In questa triste circostanza si interessò al monastero perfino il sultano Selim I il Feroce (1514 – 1519), il quale in seguito ad una visione (i Santi Quaranta Martiri lo avrebbero aiutato in una impresa bellica), volle emanare il famoso <>. Con questo <> del 1517, conservato ancora oggi nel monastero, furono concessi molti privilegi ed esenzioni fiscali alle comunità athonite ed in special modo a Xiropotamu che era appunto consacrato ai Martiri della Visione; inoltre una icona dono di Selim, rimane a testimonianza dell’adesione da parte del sultano alle indicazioni offertegli.
Secondo i Codici Parigini 1575 e 1476 i nomi dei santi maritiri erano:
Cirione, Candido ( o Caudio ), Domno, Eutichio, Severiano, Cirillo, Teodulo, Bibbiano, Aggia, Esichio, Eunoico, Melitone, Iliade ( o Elia ) [ Ηλιάδης o Ηλίας ] , Alessandro, Sacedone ( o Sacerdone ), Valente (Ουάλης), Prisco, Ludione ( Χουδίων ), Eraclio, Ekdikio ( o Eudicio), Giovanni, Filottemone, Flavio, Xanthio, Valerio, Nicola, Atanasio, Teofilo, Lisimaco, Gaio, Claudio, Smaragdo, Sisinnio, Leonzio, Aetios,, Acacio, Domeziano ( o Domezio ), due Gorgonio, Giuliano ( o Eliano o Iliano ) e Aglaio. ( Alcuni codici riportano addizionalmente ai quaranta nomi, come anch’essi fra i santi, Aithala e Gorgonio ). La mascella di sant’Aglaio si trova nel Monastero di Kostamonitou della Santa Montagna dell’Athos.